Commento del card. Scola al discorso di Giovanni Paolo II ai rappresentanti delle Chiese cristiane e Comunità ecclesiali

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:45:06

Il 27 ottobre 1986 i rappresentanti delle principali religioni del mondo vennero convocati dal Papa Giovanni Paolo II per una comune preghiera. Venti anni dopo quel gesto sprigiona ancora una grande forza di testimonianza. L'uomo percepisce la necessità del suo impegno personale per la pace e si rende conto che esiste un nesso profondo tra la volontà di potenza, e perciò la guerra, e il peccato. Di qui la decisione di porre in Dio la propria speranza.

Suscitare un movimento mondiale di preghiera per la pace» [cfr. Omelia del 25 gennaio 1986]. Questo è lo scopo per cui Giovanni Paolo II invitò ad Assisi, il 27 ottobre 1986, i rappresentanti delle principali religioni del mondo. È assai significativo che le adesioni all'invito papale siano state molto numerose. Si tratta di una conferma importante che in miliardi di uomini, simbolicamente presenti ad Assisi coi loro responsabili religiosi, si fa sempre più salda la convinzione che il destino dell'umanità, e di ogni singolo uomo, è in gioco nel complesso e drammatico problema della guerra.

A chi può rivolgersi a questo punto l'uomo? Dove può trovare l'energia per dominare le irresistibili forze irrazionali che si accompagnano ai minacciosi preparativi di guerra e di guerra nucleare? L'uomo comune, lontano dalle strategie complesse e bilanciate dei pochi che possono decidere una guerra, percepisce la necessità del suo impegno personale, solidale con quello di altri uomini, perché la pace possa affermarsi. Egli si rende conto inoltre che esiste un nesso profondo tra la volontà di potenza, e perciò la guerra, e il peccato. Di qui la decisione di porre in Dio la propria speranza. Solo l'iniziativa di Dio nei confronti dell'uomo può infondere la mitezza del cuore, necessario presupposto per una vita pacifica a livello personale, di comunità intermedie e di potenze planetarie.

 

Unica e Identica Natura

Riporre le proprie speranze di pace in un movimento mondiale di preghiera e investire in esso le proprie energie significa affermare una ben precisa concezione della pace stessa. Chi non sarebbe infatti portato a sorridere di fronte al tentativo di ergere a baluardo di pace, a fianco di complessi e malsicuri equilibri costruiti su armi dotate di capacità di distruzione planetaria, un movimento inerme fatto di umile e fervente preghiera? Basterebbe una considerazione banale, a mostrare l'apparente paradosso di questa iniziativa. L'uomo lungo la sua storia è mai stato capace di non usare oggetti che ha costruito a prezzo di tanta fatica e con il dispendio di tante risorse? Basterà la memoria di Hiroshima a fermare la logica della volontà di potenza che sembra spingere l'uomo contemporaneo ad applicare in ogni campo l'irrazionale imperativo tecnologico: «Posso perciò devo»?

Proprio questo angoscioso interrogativo apre la strada a comprendere che la pace è "anzitutto dono di Dio". Essa infatti non è per prima cosa frutto di un equilibrio tra forze che divergono su interessi di varia natura, ma è una dimensione della vita stessa dell'uomo, un suo bene.

Il fondamento antropologico della pace è sperimentabile da ogni uomo nella sua quotidiana esistenza. In essa l'uomo si accorge che ottenere la pace significa misurarsi con la verità e con il compito morale che, inevitabilmente, questo paragone suscita. L'indissolubile rapporto della pace con la verità testimonia che essa è dono di Dio. Come potrebbe infatti l'uomo trovare la pace del cuore fuori dal rapporto con gli altri uomini e con le cose che hanno come fondamento ultimo Dio stesso? La dimensione antropologica della pace, cioè l'aver pace con sé e con tutti gli uomini, scopre un principio in Dio, un principio d'ordine che regola l'idea stessa della giustizia e perciò della convenienza tra uomini e tra popoli. Solo nella verità vi è infatti la libertà e solo nella libertà la dignità di ogni uomo e di ogni popolo. Ciò spiega perché uomini accomunati da esperienze religiose sia pur molto disparate hanno risposto con pronta disponibilità all'invito di Giovanni Paolo II.

Non esiste soluzione di continuità tra la pace intesa come dimensione dell'esistenza di ciascun uomo e come superamento della logica di guerra all'interno di una convivenza concorde tra i popoli. Affermare che la pace è dono di Dio significa riconoscere l'unica e identica natura della pace che pur si esprime in diversi aspetti. Senza cadere in semplicismi alienanti si può dire che non ci sarà pace senza il lavoro appassionato di ognuno per la verità di sé e per la costruzione di una civiltà della verità e dell'amore. La guerra invece, al di là delle diverse teorie dei polemologi sulla sua origine, è sempre una decisione di pochi. Questo è il significato profondo della grande affermazione agostiniana su cui Giovanni Paolo II non si stanca di fare eco: la pace si ottiene solo con la pace, non con la guerra!

Ma la pace è "dono di Dio affidato all'uomo". Esso diviene pertanto compito primario per la vita dell'uomo, compito a cui l'uomo è chiamato a educarsi. Scongiurare la guerra è possibile solo attraverso una lenta e paziente costruzione di una nuova umanità. L'educazione è la condizione suprema di tale costruzione. San Francesco ha elaborato una famosa preghiera che può giustamente essere considerata come il contenuto di questo compito pedagogico: «Signore fa di noi gli artefici della pace, là dove domina l'odio che noi annunciamo l'amore; là dove ferisce l'offesa che noi offriamo il perdono, là dove infierisce la discordia che noi costruiamo la pace!».

Per i cristiani essere in attesa del ritorno definitivo di Cristo vivendo «per quanto possibile in pace» [cfr. Rm 12,18] significa aver coscienza che la pace tra i popoli, e quindi la pace dell'umanità, sarà possibile solo a partire dalla pace della persona. Inoltre i cristiani sanno che la pace esige una lotta, e una lotta sempre aperta allo scacco. Per questo è da domandare a Dio che ne è l'unico artefice in senso pieno.

 

Condizione Privilegiata

Il movimento mondiale di preghiera per la pace che Giovanni Paolo II ha contribuito a creare ha solide radici. Infatti nella storia dei popoli e delle religioni la preghiera per la pace ha occupato un posto di primaria importanza. Questo imponente flusso di innovazioni indica che la preoccupazione quotidiana per la pace è da sempre motivo che spinge ad approfondire quel modo privilegiato di rapporto tra Dio e l'uomo che è la preghiera. Essa è essenzialmente domanda. Domanda dell'uomo al suo Fattore per la propria realizzazione. Domanda che nasce dentro le circostanze storiche concrete in cui egli versa. Sono proprio esse a urgere l'uomo ad approfondire tale dialogo costitutivo con Dio. «Dal cuore di questa domanda sgorga la richiesta della pace» come della condizione privilegiata in cui l'uomo può conoscere se stesso e l'altro e tentare con lui l'edificazione di una società più giusta, in cui verità, bontà e bellezza siano dimensioni vissute.

Ma tale preghiera nasce pure dalla percezione, confermata drammaticamente dalla storia, che l'uomo non sa darsi pace da solo perché egli da solo non può dominare la volontà di potenza che il peccato semina nel cuore. La pace, nelle sue dimensioni personali e planetarie, è strutturalmente minacciata dall'arbitrio con cui l'uomo è tentato di vivere il rapporto con sé, con Dio e con gli altri uomini.

Nel dono sempre invocato della pace l'uomo scopre che Colui che ci crea, ci crea istante per istante. Siamo sospesi a Lui, tenace vigore dell'essere. In Lui, diceva Paolo, «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» [At 17,28] perché di Lui siamo, in un certo senso, la stirpe. Invocare la pace da Dio diviene in tal modo la migliore garanzia di pace, non certo perché ciò possa esimere dall'incessante e complesso lavoro per la costruzione delle multiformi condizioni che consentono lo stato di pace, ma perché Dio solo può cambiare il cuore dell'uomo e "opporre alla volontà di potenza la potenza pacifica del suo amore".

 

Domanda di Verità

Ad Assisi i rappresentanti delle principali religioni mondiali si trovarono insieme per pregare il Dio della pace, perché preservasse l'umanità dalla distruzione. Ogni rappresentanza portò la ricchezza della sua tradizione religiosa e dei popoli che la vivono. Per questo, dopo l'accoglienza da parte del Sommo Pontefice, ogni gruppo si recò in un luogo prefissato a pregare secondo il proprio rito religioso. E in un secondo momento, quando tutti i gruppi si ritrovarono nella Basilica Superiore di S. Francesco, ognuno di essi a turno pregò davanti agli altri che ascoltarono in silenzio. Più che un pregare assieme fu quindi un "essere insieme per pregare". Infatti, al grande movimento di preghiera per la pace ognuno partecipò con il proprio volto. Ciò corrisponde pienamente alla concezione di vita di uomini che cercano la pace anche con la preghiera. Costoro infatti, proprio pregando per la pace, testimoniano che non si dà pace senza verità. La preghiera è infatti, in ultima analisi, domanda di verità. Per questo ogni religione autentica, approfondendo la propria identità, si spalanca sempre più alla verità. Alla verità oggettiva, che non sarà intesa alla stregua di una sintesi eclettica ed indifferenziata delle diverse identità religiose, ma sarà invece appassionatamente perseguita, riconosciuta ed accolta là dove essa avrà voluto manifestarsi.

La pace quindi è un valore solo se lo si persegue, come ogni altro valore, dall'interno della domanda di verità. Se così non fosse, la parola pace diventerebbe una parola vuota e perciò la strada della pace non sarebbe una strada percorribile. Da sempre infatti dai quattro angoli della terra gli uomini chiedono la pace e ...fanno la guerra! Ciò su cui gli uomini sono divisi, profondamente divisi, non è la pace, ma la verità. Ma il desiderio di pace, che si fa più ardente dopo gli ancor freschi documenti della distruzione atomica e a partire dalle mille e mille testimonianze quotidiane di nuovi più micidiali ordini di guerra, può essere la grande strada su cui oggi Dio chiama tutti gli uomini alla verità, ineliminabile fondamento di una pace duratura.

Per questo l'incontro di Assisi nel momento stesso in cui fu preghiera costituì un "avvenimento di cultura e di civiltà".

Di cultura, perché la preghiera stessa riceve forma dalla natura specifica dell'incontro con Dio e con i fratelli. E perciò anche nella preghiera si comunica questa forma culturale. In questo senso l'incontro di Assisi fu una sinfonia in cui la voce si armonizzò ordinatamente alle altre proprio perché fu la stessa! L'anelito inestinguibile alla pace che riunì rappresentanti di religioni diverse diventò anche un segno di civiltà. Fu di fatto un appello rivolto a tutti gli uomini, ma soprattutto ai potenti di questo mondo, a riconoscere che il progresso morale dell'umanità, che non può non poggiare sulla pace, esige un superamento delle ideologie. Esse infatti impediscono all'uomo di accogliere la verità data nella natura di ciascuno, perciò in qualche modo embrionalmente sperimentabile da tutti, ma soprattutto rivelata da Colui che è venuto a portare la «pace in terra agli uomini che Egli ama» [Lc 2,14].

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