L’educazione dei giovani, la formazione degli imam e la rappresentanza istituzionale. Massimo AbdAllah Cozzolino spiega gli obiettivi, le attività e la struttura della Confederazione Islamica Italiana

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:00:59

La Confederazione Islamica italiana è una delle principali organizzazioni musulmane in Italia. Nel 2017 è stata tra le firmatarie del Patto nazionale per un Islam italiano, promosso dal ministero dell’Interno. Abbiamo parlato con il suo segretario generale, Massimo AbdAllah Cozzolino, che ci ha spiegato la natura e le finalità di questa “associazione di associazioni”.

 

Intervista a cura di Viviana Schiavo

 

* L’intervista fa parte della serie “Voci dell’Islam italiano”, realizzata nell’ambito del progetto “L’Islam in Italia. Un’identità in formazione

 

Lei è il segretario generale della Confederazione Islamica Italiana (CII). Ci può spiegare come è nata, con quali motivazioni e qual è la sua struttura?

La Confederazione è una organizzazione nazionale che si è costituita nel 2012, in un Congresso tenutosi a Roma, al quale hanno partecipato delegazioni di musulmani provenienti da tutte le regioni d’Italia. Lo scopo della Confederazione è coordinare i tanti luoghi di culto ad essa aderenti, per promuovere obiettivi, progetti e azioni, unitari, nonché il dialogo con le autorità italiane a livello nazionale e locale. Tra gli scopi statutari della CII occupano un posto di rilievo il dialogo interreligioso come strumento essenziale per l’integrazione tra persone di ogni fede e il rispetto del diritto di libertà religiosa, pur nella professione di fede islamica e nella sua predicazione della stessa.

 

La CII si adopera per la diffusione della cultura islamica, per la regolamentazione delle moschee (luoghi di culto) che al loro interno raccolgono una pluralità di soggetti e di culture, e che costituiscono «gli Islam» italiani, per riprendere un’espressione di Stefano Allievi, per favorirne la realizzazione in zone e con strutture adeguate, per la formazione degli imam, al fine di una maggiore consapevolezza del loro ruolo e delle loro funzioni in una società libera e pluralista, per la partecipazione delle comunità musulmana alla vita civile, nel rispetto del patrimonio dei valori spirituali, religiosi e laici della repubblica italiana. I caratteri fondanti e irrinunciabili della CII sono l’islamicità e l’italianità. Lo spirito della CII è in linea con la «Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione» promulgata dal Ministero dell’Interno nell’aprile del 2007.

 

Il primo obiettivo della CII è andare incontro alle aspettative e alle necessità religiose, spirituali e materiali di ogni musulmano. In questo ambito, la speranza di ciascuno musulmano in Italia rimane quella di vivere in un Paese dove vi sia un riconoscimento concreto dell’Islam come seconda componente religiosa a livello demografico nella società italiana ed europea. Infatti, una delle principali difficoltà della comunità musulmana italiana è la mancanza di un riconoscimento formale da parte dello Stato italiano.

 

Come è strutturata la Confederazione?

La Confederazione è organizzata in questo modo: innanzitutto, vi è l’adesione delle realtà islamiche presenti sul territorio. Questa adesione non consiste nella semplice formalizzazione di un’iscrizione a un’associazione di associazioni, ma prevede la normalizzazione di una serie di pratiche amministrative interne. Molto spesso infatti le associazioni culturali, ossia le strutture giuridiche sotto le quali esistono i luoghi di culto, non hanno una vita associativa regolare, a volte non vi è trasparenza e chiarezza, per esempio rispetto alla gestione dei fondi che vengono raccolti, alla struttura gerarchica interna, alle deliberazioni che dovrebbero esser fatte attraverso regolari convocazioni di assemblea, etc. Noi abbiamo imposto ai nostri centri una forma di normalizzazione; sicuramente molti centri stanno ancora procedendo in tale percorso, ma questo è stato un elemento peculiare. L’adesione, inoltre, non si ferma al solo livello amministrativo, ma richiede l’assoluta corrispondenza e accettazione della nostra carta dei valori.

 

La moschea quindi, in questa prospettiva, diventa la base per l’applicazione di questi principi, sia nelle attività che nella sua stessa natura. A partire da ciò, ciascuna moschea ha il compito di accogliere le comunità di musulmani, di indirizzarle nel modo giusto e di interagire in senso positivo con il contesto circostante, rappresentato dalle autorità locali e dalla società civile.

 

Al fine di evitare che l’attività delle moschee rimanesse circoscritta alla dimensione locale era indispensabile creare un’unione più vasta, la Confederazione appunto, organizzando le proprie attività, sviluppando i propri metodi e ampliando i propri orizzonti a livello sia regionale che nazionale.

 

Le realtà territoriali rispondono a delle organizzazioni regionali, ossia le Federazioni. Al momento, sono solamente due le regioni in cui non siamo ancora presenti: l’Abruzzo e la Sardegna. In tutte le altre abbiamo un’associazione, la Federazione, che è costituita dalle adesioni, dalle presenze e dalle partecipazioni dei direttivi delle moschee esistenti sul territorio, per le quali essa svolge un ruolo di mediazione a un primo livello regionale. Le rappresentanze regionali hanno al loro interno un direttivo formato da un Presidente, un vice-Presidente, un tesoriere e dei consiglieri costituiti dai delegati delle moschee e dei centri culturali. I Presidenti delle Federazioni, così come previsto dal nostro statuto, partecipano di diritto alle riunioni della Confederazione. Quindi, in definitiva, la Confederazione non è una organizzazione di persone ma di associazioni, o di associazioni di associazioni, che raggruppa internamente le Federazioni, che a loro volta hanno l’adesione dei centri. Nessuna organizzazione e/o associazione che non abbia al suo interno la presenza di un luogo di culto può aderire alla Confederazione.

 

 

Negli ultimi anni la Confederazione ha organizzato molte attività rivolte alla formazione dei giovani, come le giornate regionali e il forum europeo della gioventù. Qual è la visione del ruolo dei giovani all’interno dell’organizzazione? C’è un progetto specifico per loro?

In questi anni abbiamo organizzato una pluralità di attività, ma la nostra attenzione si è incentrata su tre filoni principali. Il primo è quello delle giovani e dei giovani e della loro formazione, per renderli protagonisti di un percorso di crescita in armonia con i principi costituzionali e con la Carta dei valori della Confederazione. L’idea è quella di favorire scambi culturali, impedire qualsiasi possibilità di polarizzazione, o, eventualmente, di radicalizzazione, all’interno delle nostre comunità, cercando di raggruppare non solo i giovani che frequentano le moschee ma anche quei ragazzi che, per varie ragioni, sono più distanti dalla vita associativa e che frequentano il mondo dell’università o della scuola. Ecco perché abbiamo coinvolto i centri di eccellenza, le accademie, le università, organizzando dei percorsi formativi incentrati sui principi della religione, del dialogo e della coesistenza pacifica. Tutto ciò ha permesso di rendere i nostri giovani protagonisti di un cambiamento all’interno della Confederazione. Quest’azione è stata importante e abbiamo ottenuto dei risultati che riteniamo soddisfacenti, come il semplice fatto di aver riunito tanti giovani provenienti da realtà regionali molto distanti.

 

In questo percorso, i giovani si sono ritrovati a collaborare e a lavorare insieme sulla base di un quadro di valori significativi per fare prevalere, con il proprio studio e lavoro, con le proprie parole e le proprie azioni, le ragioni dell’unità nella diversità, del rispetto riproco, del perseguimento del bene comune.

 

In un mondo lacerato da lotte e discordie, il dialogo sereno e collaborativo sono la strada maestra per giungere insieme ad una piena sinergia di intenti e di azioni.

 

Con l’Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (Unedi) della CEI, abbiamo organizzato due summer schools che hanno avuto un notevole successo: vi hanno partecipato circa 50 ragazzi e ragazze. “Fratellanza umana per la pace e la convivenza comune” era il titolo della seconda edizione, tenutasi nel settembre scorso a Monte Sole, Marzabotto, per riunire da tutta Italia giovani cristiani e musulmani in età universitaria, per un’attività di formazione, riflessione, scambio sui temi centrali della pace e dell’identità religiosa di ciascuno e del rapporto di questa identità con la comunità civile alla quale tutti apparteniamo.

 

Molto importante è stato favorire rapporti di condivisione con i giovani della Comunità ebraica italiana (UGEI) per avviare progetti di dialogo e di incontro proiettati ad una dimensione inclusiva delle relazioni con le istituzioni sociali e civili. L’incontro nel 2017, al Viminale, con il Ministro dell’Interno, On. Marco Minniti, delle delegazioni di giovani della CII, dell’UGEI e della Comunità di Sant’ Egidio, è stata un’altra tappa importante verso un dialogo interreligioso e interculturale e per promuovere i valori di tolleranza e di coesistenza pacifica.

 

La visita alla sinagoga e al museo ebraico di Roma costituiscono le linee sulle quali la CII ha inteso sviluppare la propria azione di strategie inclusive e di programmazione rivolte ai giovani come risorsa di valore aggiunto che occorre assolutamente valorizzare per renderli partecipi della confederazione attraverso percorsi formativi ma anche associativi. Fondamentale è stata la promozione ed organizzazione di iniziative culturali, sportive, ricreative e ludiche, mirate a coinvolgere la giovane generazione musulmana ed a esercitare un’azione preventiva contro l’esclusione sociale e le influenze di ideologie estremiste ed oscurantiste. Al momento, a Torino, è in corso un torneo di calcio a cui aderiscono 46 squadre delle più disparate rappresentanze, dal mondo cattolico a quello della società civile, passando per le scuole, le varie realtà aggregative islamiche, i centri e i luoghi di culto, le associazioni, etc. Riteniamo che anche questo sia importante per la crescita e per la formazione dei giovani.

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Massimo AbdAllah Cozzolino, segretario generale della Confederazione Islamica Italiana

 

E gli altri due filoni?

Un secondo filone è quello della formazione rivolta ai predicatori. Abbiamo prestato notevole attenzione e cura a questo aspetto. In che modo? Innanzitutto, favorendo scambi e momenti di conoscenza tra imam appartenenti alle realtà più disparate. Inoltre, abbiamo organizzato dei momenti formativi, coinvolgendo anche il Consiglio Europeo degli Ulema Marocchini, che è venuto più volte in Italia per svolgere dei corsi, in particolare sul modo di condurre un sermone, una khutba: gli argomenti da trattare e il linguaggio da utilizzare per prevenire interpretazioni erronee, con una particolare attenzione al contesto e ai caratteri propriamente europei.

 

Oltre a questo aspetto, che per gli imam è stato molto formativo, abbiamo stretto una collaborazione con l’università di Padova,  nel quadro del progetto PriMed (Prevenzione e Interazione nello spazio Trans- Mediterraneo), lanciato dal MIUR, che prevede tre ambiti di macro-azione: la cooperazione scientifica internazionale con i Paesi OCI (Organizzazione della Cooperazione islamica), la formazione dei dirigenti e del personale religioso, e l’alta formazione rivolta ai protagonisti delle politiche dell’integrazione in ambito pubblico e privato.   

 

Molti dirigenti in possesso di laurea, organici alle Federazioni e alla CII, hanno frequentato il Master in “Studi sull’Islam d’Europa” presso l’Università di Padova, così come tanti i predicatori e le murshidāt (le predicatrici) in possesso di un titolo di studio con dei requisiti minimi, hanno seguito il Corso di Alta formazione.

 

Le donne hanno un ruolo fondamentale per la crescita dei giovani, all’interno delle famiglie e delle comunità islamiche. Il loro ruolo viene da noi considerato alla stregua di quello degli imam, per quanto riguarda la diffusione di un messaggio religioso corretto. Per questa ragione, tali attività formative sono state aperte soprattutto a loro. Non parlo solo degli aspetti religiosi ma anche degli aspetti pedagogici. È cosa nota che nelle nostre realtà e nelle nostre associazioni ci siano dei corsi di lingua araba rivolti ai bambini e svolti prevalentemente dalle donne. Spesso il bambino non parla la lingua araba, ma conosce soltanto qualche rudimento appreso in famiglia. Da qui l’importanza di fornire a queste donne un approccio adeguato dal punto di vista pedagogico, perché spesso esse sono prive di strumenti o di riferimenti e testi aggiornati, con esempi adatti alla realtà in cui insegnano. Infatti, se si usa un testo che propone un esempio non calzante in un contesto europeo, perché si tratta di un libro utilizzato in un Paese lontano, questo diventa uno strumento inefficace per trasmettere i principi contenuti nella nostra carta dei valori, che rappresentano il nostro punto di riferimento. Per questo abbiamo avviato dei corsi per gli insegnanti di lingua araba con esperti che hanno fornito informazioni dal punto di vista eminentemente didattico. Inoltre, stiamo cercando di adottare un libro di testo a livello nazionale che sia in armonia con i nostri principi.

 

Il legame con il Consiglio Europeo degli Ulema marocchini riguarda anche le direttive e i documenti prodotti da questa istituzione? Per voi costituiscono un punto di riferimento?

Sì, sono un punto di riferimento importante nel nostro percorso. Ecco perché ricorriamo al Consiglio per la formazione dei nostri predicatori e anche dei giovani, ma non c’è un rapporto diretto di subordinazione. C’è una libera scelta, una consapevolezza da parte della Confederazione del tipo di riferimento prescelto.

 

Rimane il terzo filone. In che cosa consiste?

Il terzo filone, che rappresenta un altro nostro obiettivo, è la volontà di rafforzare la nostra rappresentanza favorendo all’interno delle nostre strutture un percorso democratico. Spesso questo percorso presenta notevoli difficoltà, proprio per la bellezza di un cammino che s’intende aperto a tutti e che richiede la partecipazione di tutti, nel rispetto delle regole. Si tratta di favorire un ricambio, di permettere la partecipazione anche di coloro che sono spesso assenti nei dibattiti che avvengono nelle nostre moschee, nei nostri luoghi di culto, nelle Federazioni e, di conseguenza, anche all’interno della struttura della Confederazione.

 

Molte sono state le occasioni di incontro a livello locale con sindaci, prefetti e autorità religiose che le varie Federazioni hanno promosso a livello regionale, in continuità con il passo delineato dalla CII. Il risultato di questo intenso e articolato dialogo istituzionale ha consentito alla CII di ottenere un notevole margine di visibilità e di accreditamento anche sul piano nazionale, come organizzazione impegnata a sviluppare una forma di Islam italiano disciplinato, trasparente e credibile.  

 

Per realizzare tale importante obiettivo decisiva è stata la firma della convenzione con il dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, per ricevere consulenza legale ai fini della presentazione della domanda di riconoscimento giuridico quale stadio prodromico per creare le condizioni per il raggiungimento dell’intesa con lo Stato italiano. Si tratta di passi significativi che hanno una valenza culturale ma anche formativa.

 

C’è un ultimo aspetto che in un certo qual senso raggruppa tutti e tre i filoni in modo trasversale: è il nostro impegno contro l’islamofobia e la radicalizzazione, partecipando al progetto europeo Cicero (Campagna Contro narrativa per la prevenzione della radicalizzazione) coordinato dall’Università di Torino.

 

La confederazione ha un legame privilegiato con il Marocco. L’Islam marocchino ha dei connotati specifici, rappresentati dalla scuola giuridica malikita, dalla dottrina teologica ash‘arita e dalla spiritualità sufi. È questo è il tipo di Islam che viene proposto anche in Italia?

Ovviamente il punto è molto più complesso. Nel senso che sì abbiamo un legame privilegiato con il Marocco, ma questo non significa che c’è una forma di appiattimento della nostra poliedrica realtà nazionale, costituita da vari soggetti, da varie associazioni. Abbiamo molte associazioni che sono prevalentemente costituite da cittadini musulmani originari dell’Africa subsahariana e dell’Asia. Senz’altro ritroviamo importanti principi ed elementi di affinità con il Marocco, con la scuola giuridica malikita, con la dottrina teologica ash‘arita e con la spiritualità sufi; ecco perché, nelle direttive della nostra Confederazione e anche nei percorsi formativi, tendiamo a privilegiare quell’apertura tipica del contesto marocchino. Questo è dettato anche da un’esigenza numerica e statistica, ossia la corposità della comunità marocchina in Italia. Tutto ciò determina forme di interesse da parte del Regno del Marocco, nel fare in modo che la comunità cresca fuori dal proprio territorio ma nel rispetto dei principi democratici e costituzionali italiani ed europei. Soprattutto, nel fare sì che la comunità stessa non diventi, nel Paese di origine, in questo caso il Marocco, veicolo di religiosità distanti da quelle che sono invece le tradizioni locali di coesistenza pacifica, portando a delle pericolose forme di polarizzazione.

 

Un’ultima domanda rispetto alla comunità bangladese a Roma e, in generale, in tutta Italia. AbdulHamid Saydawai, presidente della Federazione Regionale del Lazio, è stato uno dei promotori della Jamaat Tabligh in Italia, uno dei movimenti più diffusi all’interno della comunità bangladese. Che tipo di rapporto c’è tra la Confederazione e il movimento tabligh italiano? Le moschee tabligh sono tra quelle che hanno sottoscritto l’adesione alla Confederazione o ricadono, in qualche modo, sotto la sua influenza?

Ci sono molte delle moschee tabligh che ricadono sotto la Confederazione, non c’è però nessun accordo tra la confederazione e la Jamaat Tabligh, assolutamente no. Ci sono alcune persone, e AbdulHamid Saydawai ne è un esempio, che fanno parte della Confederazione e sono stati tra i precursori di questo movimento in Italia, di questa tendenza. Quindi non c’è a livello generale un patto, semplicemente ci sono alcune moschee che sono all’interno della Confederazione islamica italiana, non solo a Roma.

 

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