Rassegna stampa ragionata sul Medio Oriente e sul mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:57

Di cosa parliamo questa settimana:

  • il Medio Oriente a dieci anni dalla Primavera araba
  • il rapimento di 300 studenti da parte di Boko Haram in Nigeria
  • le sanzioni americane alla Turchia
  • la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo

 

Il 17 dicembre di dieci anni fa, Muhammad Bouazizi, giovane venditore ambulante tunisino, si diede fuoco per protesta dopo che la polizia locale gli aveva ritirato della merce. Questo episodio è indicato come l’inizio della Primavera araba, l’ondata di manifestazioni che in pochi mesi ha contagiato Libia, Egitto, Siria, Yemen e Bahrein. In parte vittoriose per aver destituito dittatori che erano al potere da decenni, in parte represse nel sangue e sfociate in conflitti che durano ancora oggi, le rivoluzioni di dieci anni fa hanno in ogni caso cambiato volto al Medio Oriente.

 

Se volessimo quindi scattare una fotografia del Medio Oriente oggi, a dicembre 2020, che istantanea ne verrebbe fuori? È vero che la speranza portata dalla Primavera araba si è inaridita tramutandosi in un lungo inverno? A queste domande abbiamo provato a rispondere nell’ultimo numero di Oasis intitolato Rivoluzioni incompiute. L’equazione irrisolta del mondo arabo.

 

Anche secondo Foreign Affairs il ciclo di rivoluzioni cominciato dieci anni fa non può dirsi concluso, come hanno evidenziato le manifestazioni esplose in Algeria, Libano, Iraq e Sudan nel 2019. Per Marc Lynch fintanto che i regimi autoritari «formeranno lo zoccolo duro dell’ordine regionale non ci sarà stabilità. Per questo «nuovi scoppi di proteste di massa sembrano inevitabili». Steven A. Cook su Foreign Policy presenta una prospettiva diversa, concentrandosi sull’esito delle proteste scoppiate tra fine 2010 e inizio 2011: le rivolte, scrive Cook, hanno rovesciato alcuni regimi ma – a differenza di “vere” rivoluzioni come quella iraniana del 1979 – non hanno rovesciato l’ordine sociale. Anche per questo, conclude Cook, dovessero accadere nuove rivolte, l’esito è tutt’altro che scontato.

 

Le Monde ha dedicato un approfondimento in sei puntate alla Tunisia, Paese da cui è partita l’ondata di proteste, mentre Al Jazeera e Middle East Eye hanno creato delle sezioni apposite sui loro siti che ospitano riflessioni sui cambiamenti del mondo arabo negli ultimi dieci anni.

 

Occhi puntati sulla Tunisia, quindi, dove oggi la democrazia sembra fare due passi avanti e uno indietro. Da una parte Tunisi è diventata rifugio di attivisti provenienti dagli altri Paesi arabi, scrive Arianna Poletti, dall’altra le istituzioni tunisine devono ancora portare a termine il processo di piena democratizzazione, osserva Orient XXI.  

 

A causa di «impegni urgenti», il presidente della Repubblica Kais Saied non si è recato a Sidi Bouzid per le celebrazioni dell’anniversario dell’auto-immolazione di Bouzizi,. La settimana scorsa invece avevamo segnalato gli scontri, non solo verbali, avvenuti tra alcuni parlamentari, in un crescendo di tensione tra le forze politiche del Paese, che non riescono a risolvere il disagio socio-economico della popolazione.

 

L’attività economica è paralizzata, la disoccupazione, soprattutto giovanile, in crescita, così come le disuguaglianze sociali (soprattutto nelle aree periferiche) e la corruzione; tutti elementi che spingono i tunisini a migrare irregolarmente. E la pandemia non ha fatto che infliggere un ulteriore colpo al piccolo Paese nordafricano. Elementi che secondo alcuni sondaggi stando facendo crescere il consenso del Partito Destouriano Libero, nostalgico del regime di Ben Ali. Come ha sintetizzato il sociologo tunisino Aziz Krichen, la rivoluzione ha fatto cadere la testa del regime, ma «è rimasto il corpo».

 

L’anniversario tunisino è anche l’occasione per un bilancio della tragedia siriana. Le Figaro ha intervistato Michel Kilo, scrittore siriano rifugiato in Francia, secondo cui tutti hanno perso, «i rivoluzionari e il regime. Il regime ha rifiutato una soluzione pacifica all’inizio della rivoluzione, e la rivoluzione ha perso la sua unità, compromessa dall’influenza degli islamisti». L'80% delle frontiere siriane ora è sotto il controllo di potenze straniere, spiega il quotidiano francese, 

 

Boko Haram in Nigeria

 

I circa 300 studenti che erano stati rapiti a Kankara in Nigeria sono stati liberati venerdì mattina. I giovani scolari erano stati sequestrati una settimana prima da uomini armati appartenenti all’organizzazione terroristica Boko Haram, la cui storia in Nigeria è raccontata da Alexander Thurston in un libro che abbiamo recensito. Questo drammatico episodio ha subito fatto pensare al rapimento delle 276 ragazze di Chibok, sequestrate e seviziate sempre da Boko Haram nel 2014. Un centinaio non sono più tornate a casa.

 

La vicenda si è svolta nello stato di Katsina, nella Nigeria nordoccidentale. Il governo non ha rilasciato dichiarazioni su come sia avvenuto il salvataggio, e buona parte della popolazione pensa che ci sia stato uno scambio di prigionieri. Inizialmente si pensava che a compiere il sequestro fossero stati «banditi locali», ma martedì Boko Haram ha rivendicato l’azione e rilasciato anche un video in cui mostrava alcuni dei ragazzi. Il governo centrale, incapace di garantire la sicurezza della popolazione, aveva deciso di chiudere le scuole in cinque Stati a rischio.

 

La situazione securitaria in Nigeria e in Niger continua a essere drammatica. Solo nella prima metà del 2020 più di mille persone sono state uccise in Nigeria secondo Amnesty International, mentre Boko Haram si sta espandendo dalle sue roccaforti tradizionali, cioè gli Stati di Borno, Yobe e Adamawa, spiega ISPI. Alla base del conflitto ci sono contrasti interetnici, a loro volta alimentati dalla competizione per la terra e le risorse idriche, sempre più a rischio a causa dei cambiamenti climatici, che nel Sahel sono particolarmente impattanti.

 

Nelle settimane precedenti al sequestro si erano verificati altri episodi violenti, tra cui un attacco in cui sono morte una trentina di persone in Niger e un altro a fine novembre nel quale Boko Haram ha ucciso almeno 70 agricoltori accusati di aver svelato la presenza dell’organizzazione jihadista nel loro territorio, racconta il New York Times.

 

In un paragrafo

 

Le sanzioni americane alla Turchia

 

Gli Stati Uniti hanno imposto delle sanzioni alla Turchia per aver comprato un sistema missilistico di difesa russo, racconta Axios. Erdogan potrebbe perdere un alleato con la dipartita di Trump dalla Casa Bianca, anche se secondo Soner Cagaptay la Turchia vuole tentare di invertire la narrazione secondo cui i rapporti tra Washington e Ankara sarebbero «in caduta libera». Con la Russia le relazioni sembrano invece essere sempre più strette, nonostante Mosca e Ankara siano su fronti opposti nelle guerre regionali.

 

La liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo

 

I pescatori di Mazara del Vallo che per tre mesi sono stati detenuti in Libia sono stati liberati giovedì. È sicuramente una buona notizia. Più problematico, dal punto di vista italiano, è come sia avvenuto il salvataggio. Come scrive infatti il Foglio: «Sul piano internazionale è la prova che l’Italia non ha più credibilità e non ha più capacità di deterrenza nel Mediterraneo, che è la regione che conta di più per noi e in questi anni sta diventando un territorio sempre più teso e ostile». Il generale Khalifa Haftar mirava infatti a «un riconoscimento politico», secondo Arturo Varvelli, e il fatto che Conte e Di Maio si siano recati in Libia sembra proprio aver concesso al generale libico quello che cercava.

 

In una frase

 

Una petroliera è stata attaccata nei pressi del porto di Gedda in Arabia Saudita. Al momento non ci sono indicazioni su chi potrebbe aver effettuato l’attacco (Middle East Eye).

 

L’ayatollah Ali Khamenei ha affermato la disponibilità iraniana a rientrare nei parametri dell’accordo sul nucleare qualora le sanzioni venissero rimosse (Al-Monitor).

 

Nel frattempo però immagini satellitari mostrano nuovi lavori di costruzione nell’impianto di Fordo, di cui Teheran sarà chiamata a rispondere (Guardian).

 

Ahmed al-Sharifi, un professore universitario iracheno è stato ucciso ad Amara (Al Jazeera).

 

Come Mohammed Bin Zayed vuole trasformare il mondo arabo (Jeune Afrique).

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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