Rassegna stampa ragionata sul Medio Oriente e sul mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:55

Il Marocco stabilirà relazioni diplomatiche con Israele. L’accordo è stato mediato ancora una volta dagli Stati Uniti, che in cambio hanno riconosciuto la sovranità di Rabat sul Sahara occidentale, un territorio conteso con il Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria, e dove il mese scorso si erano verificati degli scontri. Il Marocco è il quarto Paese arabo che quest’anno ha normalizzato i rapporti con lo Stato ebraico dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan. L’iniziativa rientra negli accordi di Abramo, e, oltre alla riapertura delle ambasciate e alla ripresa dei voli tra Rabat e Tel Aviv (interrotti nel 2000 al tempo della seconda Intifada), sono previste misure di cooperazione economica e securitaria.

 

Secondo Axios «mentre l’accordo di normalizzazione è una vittoria per Israele e un risultato significativo per Trump, il riconoscimento del Sahara occidentale come parte del Marocco è un grande cambiamento nella politica degli Stati Uniti (la decisione di Trump ha messo fine a quarant’anni di neutralità, ndr) – e un importante risultato diplomatico per il Marocco». Sarà invece un ulteriore elemento di difficoltà per Biden, che dovrà decidere se rivedere la decisione o confermarla. Nessun altro Paese occidentale finora ha riconosciuto la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale, per il quale Foreign Policy suggerisce una soluzione simile a quella del Timor Est.

 

Reuters invece scrive che gli Stati Uniti stanno anche negoziando la vendita di alcuni droni al Marocco, ma non è chiaro se la trattativa sia collegata all’accordo di normalizzazione con Israele o meno. Secondo Haaretz questo è invece l’alto prezzo che sono stati costretti a pagare gli Stati Uniti per raggiungere l’accordo: «Non è che le precedenti amministrazioni non volessero espandere la pace segreta tra Marocco e Israele e farla uscire allo scoperto. Semplicemente non volevano pagare l’alto prezzo che Trump si è assunto senza batter ciglio».

 

L’Atlantic Council ha raccolto le opinioni di alcuni esperti a riguardo: la normalizzazione potrebbe infiammare il conflitto con l’Algeria mentre e al contempo favorire il re, perché  a livello domestico la questione del Sahara occidentale è molto sentita.

 

Ma è così sorprendente l’accordo? Anche il Marocco ha avuto per anni relazioni informali con Israele, e nello Stato maghrebino vive una storica comunità ebraica. Secondo il Jerusalem Post il Marocco, a differenza degli altri Paesi, non ha seguito logiche filo-iraniane o pro-Fratelli musulmani. «Il nuovo Medio Oriente che è emerso dopo la primavera araba – prosegue il Jerusalem Post – con l’ascesa e la caduta dell’ISIS, la crisi del Golfo del 2017, l’aumento del ruolo dell’Iran in Iraq, Libano, Siria e Yemen, è una regione più divisa» nella quale è meno complicato mostrare un’apertura verso Israele. D’altro canto è cresciuta l’ostilità verso Israele in Iran e in Turchia, entrambi Paesi con i quali Israele aveva un tempo legami cordiali.

 

Egitto: i diritti umani non fermano la collaborazione con Macron

 

Nei giorni scorsi il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi si è recato in visita a Parigi, dove ha ricevuto la Gran Croce della Legion d’Onore, la più alta onorificenza francese. In un’intervista a Le Figaro il presidente egiziano ha spiegato l’importanza dei legami tra Parigi e il Cairo per combattere contro l’Islam politico e il terrorismo: «Mi sembra che la Francia valuti più accuratamente oggi il grave pericolo che i Fratelli musulmani rappresentano per la società e i cittadini europei», ha detto al-Sisi. In suolo egiziano diversi imam vicini ai Fratelli musulmani sono stati rimossi dal ministero degli affari religiosi, racconta Al Monitor.

 

In cosa consiste la cooperazione tra Francia ed Egitto?  Sicuramente vendita di armi all’Egitto, sancita da una cerimonia filmanta solo dalle telecamere egiziane. Yann Barthes, conduttore del programma Quotidien, mostrando le immagini trovate sul sito della presidenza egiziana, ha detto che «per la prima volta siamo dovuti andare sul sito di un regime autoritario per sapere cosa succedeva all’Eliseo». Macron (ma anche l’Unione europea) è stato apertamente criticato per aver messo i diritti umani al secondo posto, soprattutto dopo aver dichiarato che questi non avrebbero condizionato la vendita di armi al regime egiziano.

 

In Italia la procura di Roma ha accusato quattro agenti dei servizi segreti egiziani per il rapimento e l’uccisione di Giulio Regeni, dopo le deposizioni di cinque testimoni che hanno raccontato di aver visto il giovane alla sede della National security, nella stanza 13, quella per le torture: «Ho visto Regeni nell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti, io conoscevo solo i due ufficiali. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone… Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava… […] Ho notato segni di arrossamento dietro la schiena, ma sono passati quattro anni, non ricordo bene i particolari. Non l’ho riconosciuto subito, ma cinque o sei giorni dopo, quando ho visto le foto sui giornali, ho associato e ho capito che era lui».

 

Quando Le Figaro ha fatto notare al presidente egiziano che secondo le ONG che si occupano di diritti umani ci sono 60.000 prigionieri per reati d’opinione nelle carceri egiziane, al-Sisi ha risposto che vorrebbe sapere «da dove viene questa cifra», dato che «in tutto ci sono 55.000 posti [nelle carceri]in Egitto».

 

Tra i detenuti continua a esserci Patrick George Zaki, studente all’università di Bologna e attivista per i diritti umani, che secondo quanto riportato dall’Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR), l’organizzazione per la quale lavorava e che ora lo rappresenta legalmente, è stato «torturato con scosse elettriche, picchiato e bendato durante gli interrogatori sul suo attivismo». Un tribunale del Cairo ha stabilito altri 45 giorni di detenzione per Zaki, dopo che i suoi colleghi la settimana scorsa erano stati rilasciati a seguito di pressioni internazionali, poco prima della visita di al-Sisi in Francia e giusto in tempo per permettergli di ricevere la Legion d’Onore.

 

In un paragrafo

 

Iran: voci sulla morte di Khamenei e il contrasto con l’Iraq

 

Scrive Middle East Eye che quattro milizie sciite si sono staccate dalla Popular Mobilisation Authority (PMA) e hanno creato una forza parallela, collegata al Grande Ayatollah al-Sistani e all’autorità religiosa che esercita dalla città irachena di Najaf. Questa frattura con le forze “lealiste” va a indebolire la postura iraniana in Iraq. Nel Kurdistan iracheno si sono intanto verificate proteste causate dal crollo dei prezzi del petrolio. La pandemia da coronavirus ha infatti bloccato la vendita del greggio e lo Stato, fortemente dipendente dalle rendite petrolifere, non riesce a pagare gli stipendi della popolazione. Per quanto riguarda l’Iran, invece, si erano diffuse voci, poi non confermate, riguardo la morte dell’ayatollah Ali Khamenei.

 

Le relazioni tra India e Golfo infastidiscono il Pakistan

 

I legami tra India da un lato e Arabia Saudita ed Emirati dall’altro sono sempre più stretti, soprattutto a livello militare. Questo avviene nonostante il Golfo sia storicamente alleato del Pakistan e nonostante la persistente questione del Kashmir, la regione a maggioranza musulmana a cui l’India ha revocato lo stato autonomo. Secondo Pervez Hoodbhoy, «l’Arabia Saudita ha adottato una posizione volutamente ambigua sul Kashmir, che le permette di corteggiare l’India e allo stesso tempo di usare la dipendenza economica del Pakistan dal regno per mantenerla in linea anche quando le relazioni si sono deteriorate». Islamabad sta infatti affrontando una profonda crisi economica che lo costringe a essere finanziariamente dipendente da Riad, e c’è una forte pressione (da parte degli Stati arabi) affinché anche il Pakistan normalizzi i rapporti con Israele. Difficile però che questo avvenga, perché il Pakistan ha legato la questione del Kashmir a quella palestinese.

 

In una frase

Al Jazeera spiega come sono andate le elezioni parlamentari in Kuwait.

 

In Tunisia un parlamentare di El Karama (partito accusato di essere vicino al gruppo terroristico Ansar al-Sharia) ha appiccato un fuoco in aula; in seguito i deputati sono venuti alle mani (Jeune Afrique).

 

Il Papa andrà in Iraq a marzo 2021 (Avvenire).

 

Hassan Diab e tre ex ministri libanesi sono indagati per l’esplosione al porto di Beirut (CNN).

 

Il ritiro delle truppe americane dalla Somalia avviene in un momento difficile per il Paese secondo il New York Times.

 

Continua il rapporto amichevole tra Israele ed Emirati Arabi Uniti: un miliardario emiratino ha comprato la squadra di calcio israeliana Beitar Jerusalem, mentre l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti ha espresso sostegno all’accordo di vendita di armi americane agli Emirati, in cui sono compresi gli F-35 (Haaretz).

 

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