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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:52

In occasione della mia nomina a Vescovo ausiliare del Vicariato Apostolico di Arabia molti mi chiesero: «Che cosa farai in quei paesi? Non ci sono cristiani». Se qualcuno si fermasse un venerdì qualsiasi o meglio ancora la Settimana Santa a Dubai, St. Mary's Church, sarebbe subito convinto del contrario e diventerebbe testimone di una Chiesa vibrante, composta da cristiani provenienti da un centinaio di paesi, soprattutto dall'India e dalle Filippine. Dubai, uno dei sette Emirati Arabi Uniti (U.A.E.), è diventato il centro commerciale più importante della regione. Secondo i dati del 2003, gli abitanti degli U.A.E. sono tre milioni e 150 mila. I cristiani sarebbero circa 1 milione e 100 mila (cioè il 35 % della popolazione), dei quali 900 mila sono cattolici. Il 29 % della popolazione abita a Dubai. Se queste informazioni sono corrette, i cattolici a Dubai sarebbero quasi 300 mila, moltissimi dei quali praticano soltanto occasionalmente o mai. Tutti i cristiani sono immigrati e si trovano qui per ragioni di lavoro. Tra di loro si trova anche un gran numero di cattolici di lingua araba provenienti dalle minoranze cristiane di Libano, Siria, Giordania, Palestina e Iraq. St Mary's Church a Dubai è la più grande parrocchia del nostro vicariato. Da alcuni anni c'è a Jebel Ali (circa 30 km dalla città di Dubai) una seconda parrocchia in una zona in pieno sviluppo. Qui però parlerò soltanto della parrocchia St. Mary. Come negli altri Emirati, i cristiani di Dubai godono della libertà di culto nel recinto del complesso parrocchiale che comprende: la più grande chiesa del Medio Oriente (capacità di 2 mila persone), la casa parrocchiale con i locali adiacenti per le diverse attività, la casa delle Suore Comboniane e la grande scuola da loro diretta, con circa 2.300 alunni (76 % cristiani). Nella stessa città le Figlie di Maria Immacolata di Baghdad dirigono un'altra scuola con più di 1.700 alunni (95% musulmani). La cura pastorale della parrocchia è affidata al parroco e a quattro sacerdoti, tutti cappuccini (tre indiani, un filippino e un libanese). A causa del giorno festivo musulmano, il venerdì, le messe domenicali si celebrano non soltanto la domenica, ma anche il giovedì sera e il venerdì e queste sono le più frequentate. Chi vuole partecipare alla messa, deve per forza venire alla St. Mary's Church. È lì che tutti i fedeli formano, ogni settimana, una folla che qualsiasi parroco europeo invidierebbe. Nei tempi forti - Natale, Settimana Santa e Pasqua - la folla è impressionante. Nel 2004 ho presieduto la messa della Santa Cena il Giovedì Santo: i fedeli non soltanto riempirono la chiesa, ma anche le aule della scuola, la grande piazza davanti alla chiesa e i campi sportivi dietro la chiesa e da questi vari posti seguivano la celebrazione attraverso i maxi schermi. Mi hanno detto che erano presenti almeno 30 mila fedeli. La lingua franca è l'inglese. Ci sono però celebrazioni regolari in arabo, in malayalam, tamil e altre lingue. Spazi Limitati Una parrocchia così grande e complessa non può essere gestita solo dai preti. La sua vitalità si deve in gran parte anche alle suore e a un numero immenso di uomini e donne che mettono a disposizione i loro carismi. La catechesi ai bambini (nel 2003 erano 4.300) viene fatta il giovedì e il venerdì. Inoltre, una schiera di catechisti volontari e le suore preparano i bambini per la Prima Comunione (nel 2003 erano 600) e la Cresima (nel 2004 erano 450). Sono molto fiorenti e attive anche le associazioni (Couples for Christ, Legio Mariae ecc.) e i gruppi di preghiera. Ogni anno è organizzato un corso di formazione di un mese per i loro leader. Molti fedeli prestano vari servizi nella chiesa (coro, chierichetti, pulizia, servizio d'ordine ecc.). Siamo in un paese islamico. Perciò tutte le attività religiose pubbliche devono svolgersi nel recinto della chiesa e locali parrocchiali. Essendo limitati gli spazi, è inevitabile che a causa del numero grande e variegato di fedeli ci siano anche dei conflitti. È come se tutte le attività religiose pubbliche della città di Milano dovessero svolgersi nel duomo e negli spazi adiacenti. Subito nascerebbero dei problemi: chi può usare un certo spazio, quale giorno, a che ora, per quanto tempo. Se poi si trattasse, come da noi, di fedeli di diverse lingue, nazioni e riti, si capisce che non è sempre facile dominare la situazione. Ma, a parte questi problemi propri di una parrocchia multiculturale e multirazziale, si coglie una fede che stupisce. Per molti fedeli St. Mary's Church è un punto di riferimento essenziale per la loro identità cristiana: qui pregano insieme, si incontrano, si incoraggiano e, in caso di bisogno, si aiutano. È vero che i gruppi linguistici o etnici si incontrano di preferenza tra loro, però rimane la realtà di una Chiesa in cui si sperimenta la cattolicità in modo che impressiona chiunque viene per la prima volta a Dubai. St. Mary's Church è un punto di riferimento stabile per un popolo pellegrino. Sono pochi i cristiani che rimangono a Dubai fino alla morte. Lo impediscono non soltanto le leggi d'immigrazione, ma pure la volontà di andare verso un altro paese (Australia, Canada, USA, Europa) o di tornare in patria. In questo "transito" di una piattaforma girevole internazionale la Chiesa aiuta i cristiani a non perdere l'essenziale: Gesù Cristo. Però, nonostante la folla immensa di fedeli che partecipano alle liturgie, devozioni e riunioni della parrocchia di Dubai, non possiamo nasconderci il fatto che troppi cristiani stanno perdendo la fede per mancanza di cura pastorale (necessariamente limitata) e per la seduzione e pressione provenenti da altri gruppi religiosi e dall'Islam. La parola di Gesù indirizzata a Simon Pietro diventa a Dubai una sfida lanciata non soltanto ai pastori, ma ad ogni singolo fedele: «Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede... Conferma i tuoi fratelli» [Lc 22, 32].

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