Sono migliaia i bambini lasciati indietro dalla ritirata dello Stato Islamico. Un progetto che coinvolge cattolici e musulmani ad Aleppo vuole trovare loro un avvenire

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:54:26

Per quattro anni Aleppo, la più popolosa città siriana e capitale economica del Paese prima della guerra, è stata divisa in due parti: quella occidentale, controllata dalle forze governative e dalle milizie alleate a Damasco, e quella orientale, sotto il controllo della galassia di forze che si oppongono al presidente Bashar el-Assad.

 

Con il decisivo e controverso apporto delle forze russe e iraniane, la battaglia di Aleppo si è conclusa a fine 2016 con l’abbandono della zona orientale da parte di ribelli e milizie jihadiste.

 

Oltre 2000 orfani

 

Una città distrutta dai bombardamenti e migliaia di morti non sono però l’unica eredità del conflitto in questa zona della Siria. Negli anni di occupazione di parte del centro urbano, i miliziani di Jabhat al-Nusra, gruppo jihadista originariamente legato ad al-Qaeda, e dello Stato Islamico sono stati raggiunti dalle mogli, si sono sposati con donne del posto e hanno rapito ragazze spesso appartenenti a minoranze religiose per farne delle schiave sessuali.

 

Da queste unioni sono nati migliaia di bambini che oggi, morti o fuggiti i padri, sono rimasti orfani, non riconosciuti dallo Stato. Alcuni di loro hanno ormai sei o sette anni: «è una parte della società che nessuno vuole guardare, un problema che spesso viene nascosto per non creare scandalo», si legge in un documento dell’Associazione pro Terra Sancta.

 

Ed è per far fronte a questa emergenza, spiegano a Oasis monsignor Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei Latini e fra Firas Lutfi, che di concerto con le autorità religiose di Aleppo è stato lanciato il progetto Un nome e un futuro, interamente dedicato a questi bambini, alle loro madri e sorelle.

 

Il progetto

 

Per ora i destinatari dell’iniziativa sono circa 2000 bambini di parentela sconosciuta che, se abbandonati, rischiano, dopo aver subito i traumi della guerra e dei bombardamenti, d’essere sfruttati da reti criminali o terroristiche, ci dicono i due sacerdoti. Questi bambini non sono registrati all’anagrafe dello Stato e dunque non ricevono alcun tipo di assistenza. Al contrario, spesso «sono guardati con ostilità perché considerati figli del peccato».

 

Il primo punto del progetto è modificare la legislazione siriana, promuovendo l’approvazione di una norma che permetta di “censire” questi bambini, senza che venga loro addossata la colpa dei padri. Attualmente, la legge è in discussione in Parlamento.

 

Parallelamente a questa prima fase, grazie alla struttura organizzativa messa a disposizione dall’Associazione pro Terra Sancta, che sta curando anche la raccolta fondi, si vuole provvedere ai bisogni essenziali di 500 di queste famiglie, in termini di alimenti, vestiti e altri beni di prima necessità.

 

Il progetto curato congiuntamente dalle comunità cattoliche locali – che secondo monsignor Abou Khazen svolgono un ruolo «di ponte» –  e dalle autorità musulmane va però oltre alla prima assistenza. Tramite il sostegno a livello psicologico, pedagogico e con la partecipazione a specifici progetti educativi, l’iniziativa vuole permettere a ciascun bambino di inserirsi a pieno titolo nella società, favorendo il superamento dei traumi della guerra.

 

L’accesso al sistema scolastico è un ulteriore problema. Quando i bambini saranno registrati, dovrebbero poter andare a scuola ma, non di rado, gli effetti delle situazioni traumatiche vissute rendono difficoltoso l’apprendimento e scavano un solco tra loro e i coetanei che hanno vissuto situazioni relativamente più semplici.

 

Davanti al bisogno, togliere la maschera e rispondere Proprio per questo il passo successivo alla registrazione e all’assistenza legale è l’avvio di corsi intensivi che permettano ai bambini delle zone più colpite dalla battaglia e dai bombardamenti di raggiungere il livello dei loro coetanei e poter cominciare con loro il percorso scolastico ufficiale.

 

Il progetto Un nome e un futuro  è il primo a occuparsi di questa emergenza a 360 gradi e quindi non può non considerare la situazione delle madri di questi bimbi che, spiegano monsignor Abou Khazen e fra Firas, per paura frequentemente nascondono la loro condizione di madri, fingendosi sorelle. A loro saranno dedicate specifiche attività: assistenza medica, legale e psicologica, corsi di alfabetizzazione e specifici programmi di educazione professionale che permettano loro, secondo le abilità e le preferenze di ciascuna, di ottenere un lavoro legale con cui mantenere i figli.

 

La speranza per la pace

 

Mentre i turchi continuano la loro avanzata sulle zone controllate dai curdi, il regime e i russi alleati del regime bombardano la regione della Ghouta orientale, dalla quale non di rado provengono attacchi verso la capitale Damasco, la guerra in Siria non sembra potersi fermare. «La speranza per la pace – afferma monsignor Abou Khazen – arriva dalla popolazione, che è stanca» del conflitto.

 

Ecco perché realizzare il progetto assieme alle autorità islamiche di Aleppo, dice il Vicario apostolico, mostra il valore di «una forma pratica di dialogo interreligioso che mira a costruire una società migliore per tutti». Le relazioni nate durante il periodo della guerra, spiega fra Firas, sono necessariamente autentiche: «nel momento in cui siamo entrambi davanti al bisogno concreto occorre togliersi la maschera e rispondere. Per questo nello staff del progetto ci saranno sia cristiani sia musulmani».

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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