La visita al Monte Sinai costituisce il primo dei grandi pellegrinaggi voluti da Giovanni Paolo II per il Giubileo dell'anno 2000. La Palestina, la Giordania e la Siria seguirono di lí a poco, mentre la visita in Iraq, terra natale del Patriarca Abramo, non poté mai realizzarsi

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:25

Una splendida mattina di sole e i mandorli in fiore fecero da contorno a quel momento di preghiera ai piedi del "Monte di Dio, l'Oreb" [1Re 19,8]. Il programma della giornata prevedeva la visita al Monastero di Santa Caterina tra le cui mura si trova un arbusto secolare, identificato con il Roveto da cui Dio parlò a Mosé e la preghiera nel giardino degli ulivi ai piedi del monte di Mosé. Vent'anni prima Giovanni Paolo II non avrebbe esitato a scalare questo monte sacro, ma quella volta si dovette accontentare di vederlo passandogli accanto con l'aereo. Le forze fisiche cominciavano ad abbandonarlo, mentre la malattia avanzava e accentuava quell'immagine di debolezza fisica e di forza morale che ha contraddistinto gli ultimi anni del suo ministero.

È questo un dato da non sottovalutare, che ha affascinato e commosso: in virtù di un'umanità nobile e sofferente ha saputo far breccia nel cuore di tanti uomini di religione che del Cristianesimo erano abituati a vedere, con fastidio, unicamente un volto aggressivo ed espansionista. Cattolici e ortodossi non pregarono insieme quel giorno: i monaci declinarono cortesemente l'invito per la preghiera comune, ma questo non impedì loro di accogliere Giovanni Paolo II nel loro antichissimo monastero, di attenderlo con rispetto mentre pregava nella minuscola Cappella del Roveto ardente, di tributargli un saluto caloroso e di colmarlo di doni: in lui videro un pellegrino sincero che cammina a piedi scalzi nel luogo in cui Dio ha rivelato il suo nome, trasformato un profugo in un profeta liberatore e donato al suo popolo una legge, sigillo e garanzia della sua libertà. Ricordando il "mistero dell'obbedienza che libera", il Pontefice ha centrato il suo discorso sui «dieci comandamenti che non sono un'imposizione arbitraria di un Dio tirannico. Sono scritti nella pietra; ma prima erano scritti nel cuore umano come una legge morale universale, valida in ogni tempo e luogo». La rivelazione del Sinai è perpetuamente valida, ma non statica: essa invoca un compimento che il Pontefice riconosce nella rivelazione che ebbe luogo «in un'altra montagna, il Monte della Trasfigurazione, dove Gesù appare ai suoi Apostoli risplendente della gloria di Dio.

Mosè ed Elia stanno con Lui per testimoniare che la pienezza della rivelazione di Dio si trova nel Cristo glorificato... I Dieci Comandamenti ora si fanno udire attraverso la voce del Figlio prediletto. La persona resa libera da Gesù Cristo è consapevole di essere legata non esternamente da una moltitudine di prescrizioni, ma interiormente dall'amore che si è profondamente radicato nel suo cuore. I Dieci Comandamenti sono la legge della libertà, ... la libertà di amare...». Nell'intenzione del Pontefice questo momento di preghiera doveva essere un incontro interreligioso con rappresentanti dell'Ebraismo e dell'Islam. Purtroppo il sogno non si poté realizzare. Rimane il gesto commovente del pellegrino Giovanni Paolo II ed il fascino di questo luogo, pietre sacre cariche di mistero, dove rivelando se stesso sul Monte e consegnando la sua Legge, Dio ha rivelato l'uomo all'uomo. Il Sinai sta al centro della verità sull'uomo e sul suo destino.

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