Il mistico e giurista musulmano al-Ghazâlî esalta l’opposizione tra la conoscenza astratta e formale, che si lega “ai bassi appetiti e alle attrattive di questo mondo”, e l’impegno spirituale, che invece genera le buone azioni

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:40

La lode sia a Dio Signore dei Mondi e sia successo ai pii, e benedizione e salvezza al Suo Profeta Muhammad e ai familiari di lui, tutti!

Sappi che un antico studente che fu al servizio dello shaikh l’imâm, Ornamento della religione e Prova dell’Islam, Abû Hâmid ibn Muhammad al-Ghazâlî – glorifichi Iddio il suo spirito – attese a imparare e a studiare presso di lui tanto da raccogliere le finezze delle scienze e perfezionare le virtù dell’anima. Poi, meditando egli un giorno sulla condizione della propria anima, ebbe questo pensiero: «Io ho studiato ogni sorta di scienze e ho speso il meglio della mia vita nell’apprenderle e accumularle; ora bisogna che io sappia quale fra esse mi gioverà domani e mi sarà amica nella tomba, e quale fra esse non mi gioverà, affinché la tralasci, avendo detto l’Inviato di Dio – lo benedica Egli e lo salvi –: “O Dio, cerco rifugio presso di Te da ogni scienza che non giovi”».

Questo pensiero fu tanto persistente che egli ne scrisse a Sua Signoria lo shaikh, Prova dell’Islam, Muhammad al-Ghazâlî – Iddio eccelso abbia misericordia di lui – per chiederne il parere, e lo interrogò pure su altri problemi e lo pregò di dargli consiglio e suggerirgli una preghiera. Aggiunse: «Anche se le opere dello Shaikh, come l’Ihyâ’ e altre, contengono la risposta alle mie domande, il mio scopo, tuttavia, è che lo Shaikh mi scriva ciò di cui ho bisogno su foglietti che rimangano sempre presso di me, e io opererò secondo quello che essi contengono per la durata della mia vita, se Iddio lo vuole».

Allora lo Shaikh gli scrisse in risposta l’epistola seguente. Iddio conosce meglio la verità!  O figlio, che mi ami e mi sei caro – Dio prolunghi la tua vita nell’obbedienza a Dio e ti guidi per la strada di quanti sono a Lui diletti – sappi che espliciti consigli si possono scrivere ricavandoli dallo stesso messaggio profetico. Se a te ne sono giunti alcuni, che bisogno hai dei miei? Se invece non ne hai ricavato nulla, dimmi, che cosa hai appreso negli anni trascorsi? 

Figlio, fra i consigli che l’Inviato di Dio ha dato alla sua comunità vi sono queste parole: «Quando un uomo si preoccupa di cose senza importanza è segno per lui che l’Altissimo lo ha abbandonato. Chi sciupa un’ora della sua vita in cose diverse dalla devozione a Dio per cui è stato creato merita che a lungo duri la sua angoscia. Chi oltrepassa i quarant’anni senza che le sue buone azioni abbiano il sopravvento sulle cattive si prepari al Fuoco eterno». A buon intenditore basterebbe questo ammonimento.

Figlio, il consiglio è facile a darsi, difficile ad accogliersi perché amaro al gusto di coloro che seguono le passioni, essendo le cose proibite care al loro cuore, e specialmente al gusto di coloro che si dedicano allo studio della scienza formale e sono tutti presi dai bassi appetiti e dalle attrattive di questo mondo. Costoro ritengono che nella scienza sarà la loro salvezza e liberazione e che pertanto possono fare a meno delle opere. Tale è l’opinione dei filosofi. Dio mio! Questi ciechi ignorano che se, ottenuta la scienza, non la mettono in pratica, l’accusa contro di loro sarà più grave al momento del Rendiconto, come ha detto il Profeta: «Quegli che più soffrirà nel Giorno della Resurrezione sarà il dotto cui Dio non permetterà di giovarsi della sua scienza».

Si racconta che al-Junayd [1] dopo la morte apparve in sogno a uno, il quale chiese: «Che notizie hai da darci, o Abû ‘l-Qâsim?». Rispose: «Le parole sono andate perse, gli insegnamenti sono svaniti; non ci è stata utile che qualche genuflessione fatta nel profondo della notte».

Figlio, non essere povero di opere né privo di spiritualità, e sii certo che la nuda scienza non dà aiuto. Eccoti una similitudine: se un uomo nel deserto porta con sé dieci spade indiane e altre armi ancora, ed è intrepidito e pugnace, e un grosso terribile leone lo attacca, cosa pensi? Che le armi lo difenderanno dal pericolo ove egli non se ne serva e colpisca? Esse di certo non lo difenderanno se non le brandirà e con esse non colpirà.

Così pure, se un uomo studia e apprende centomila problemi scientifici, ma non li mette in pratica, essi non gli giovano. Altra similitudine: se un uomo ha la febbre o l’itterizia, la cura dovrà essere fatta con l’ossimele e con l’infuso di orzo; la guarigione non verrà, se di questi due medicamenti egli non avrà fatto uso.

«Puoi misurare anche duemila vasi di vino; se non bevi, non ti ubriachi».

Anche se studi scienze per cento anni e raccogli mille libri, soltanto in virtù delle opere sarai preparato alla misericordia dell’Altissimo. «L’uomo non avrà di suo che il suo sforzo» [Corano 53,39]; «Chi dunque spera d’incontrare il Signore, operi opera buona» [Corano 18,110]; «In premio delle loro azioni buone» [Corano 32,17]; «In verità coloro che hanno creduto e hanno operato il bene avran per asilo i giardini del Paradiso, dove rimarranno in eterno, e non desidererai mutamento» [Corano 18,107-8]; «Ma altri succedettero loro, che persero la Preghiera e seguirono le passioni e incontreranno la perdizione. Eccetto coloro che si volgeranno pentiti e crederanno e opereranno il bene: questi entreranno nel Giardino e non sarà fatto loro torto alcuno» [Corano 19,59-60].

Che ne dici della tradizione: «L’Islam è stato costruito su cinque pilastri: attestare che non v’ha dio se non Iddio e che Muhammad è l’Inviato di Dio, eseguire la preghiera, fare l’elemosina, digiunare il mese di ramadân, compiere il pellegrinaggio alla sacra Casa ove se ne abbia la possibilità»?

La fede è professione verbale, intima credenza e pratica dei suddetti precetti. Le prove della necessità delle opere sono innumerevoli. Se l’uomo raggiunge il Paradiso per grazia e generosità dell’Altissimo, lo raggiunge però dopo essersi preparato con l’obbedienza e la devozione, «ché la misericordia di Dio è vicina a chi opera il bene» [Corano 7,56]. E se qualcuno dicesse che lo raggiungerà in virtù della sola fede, noi ribatteremmo: «Sì, ma quando?».

E quante mai difficili erte dovrà egli superare prima di pervenirvi! La prima delle erte è quella della fede. Uscirà egli indenne dal pericolo che la fede non gli venga strappata? E se vi perviene, non sarà egli un deluso, un fallito? Disse al-Hasan al-Basrî: [2] «Nel giorno della Resurrezione l’Altissimo dirà ai Suoi servi: “Entrate, o Miei servi, in Paradiso per Mia misericordia e abbiatene parte a seconda delle vostre opere”».

Figlio, fintanto che tu non operi, non troverai ricompensa. Si narra che un israelita adorò l’Altissimo per settant’anni; Dio volle farlo conoscere agli angeli e mandò uno di loro a informarlo che, nonostante quelle sue devozioni, non meritava di entrare in Paradiso. Quando l’angelo lo informò, quegli disse: «Noi siamo stati creati per adorare Iddio, e dobbiamo adorarlo». L’angelo al suo ritorno disse: «Dio mio, Tu conosci meglio di me la sua risposta». E l’Altissimo: «Se egli non cessa di adorarci, noi non cesseremo di essere generosi. Attestate, o miei angeli, che Io già gli ho perdonato».

L’Inviato di Dio disse: «Fate voi stessi il rendiconto delle vostre azioni prima che vi sia chiesto e pesatele prima che vi siano pesate». ‘Alî [3] disse: «Colui che crede di giungere alla meta senza sforzo, è uno che vi aspira invano: chi ritiene invece di giungervi facendo ogni sforzo, è uno che quasi l’ha raggiunta». Disse al-Hasan [4]: «Aspirare al Paradiso senza operare è peccato». E disse anche: «Segno che si è nel vero è quando si trascura la considerazione che Dio avrà delle opere, ma non si trascurano le opere». Disse l’Inviato di Dio: «Uomo intelligente è colui che assoggetta la propria anima, e opera per l’Altra Vita; sciocco è chi segue le passioni e si aspetta senz’altro da Dio l’attuazione dei propri desideri».

Figlio, quante notti hai trascorso ripassando ciò che avevi appreso e leggendo libri, e ti sei privato del sonno? Io non so quale ne era il motivo. Se era per ottenere i beni di questo mondo, per procacciarti le sue vanità, per conseguire onori e vantarti davanti ai tuoi eguali e simili, allora guai, guai a te! Se invece tuo scopo era vivificare la Legge del Profeta, formare il tuo carattere, infrangere l’anima che incita al male, allora beato te, beato te! Bene ha detto il poeta: 

«Vana è la veglia degli occhi per altro che non sia il Tuo volto; inutile è il loro pianto per desiderio che non sia di Te».

Figlio, per quanto tu possa vivere, un giorno morrai. Per quanto tu possa amare, verrà il momento del distacco. Fa’ pure quel che vuoi; sarai retribuito.

Che cosa te ne verrà dall’apprendere teologia scolastica, dialettica, medicina, storia, poesia, astronomia, prosodia, sintassi, morfologia? Che cosa, se non sciupìo di vita in disaccordo con Dio? Ho trovato questa frase nel Vangelo di Gesù - a lui sia benedizione divina e salute eterna! -: «Al morto, dal momento in cui è posto sul catafalco, a quello in cui è posto sul bordo della fossa, Iddio pone quaranta domande, di cui la prima è: “O mio servo, tu per anni ti sei fatto bello agli occhi delle creature, ma non un’ora sola ai Miei occhi”». Ogni giorno che Dio guarda nel tuo cuore, dice: «Quanto ti dai da fare per gli altri e non per Me! Eppure sei colmo dei miei benefici! Sei sordo e non senti».

Figlio, la scienza senza pratica è follia. La pratica senza scienza è nulla.

 

[tratto da: O figlio!, in Scritti scelti di al-Ghazali (a cura di Laura Veccia Vaglieri  e Roberto Rubinacci), Utet, Torino 1986, 50-55].

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis.

[1] Abû ‘l-Qâsim al-Junayd, giurista e celebre mistico. La sua famiglia  era d’origine persiana, ma egli nacque e visse in Iraq. Nella mistica fu scolaro dello zio Sarî as-Saqatî, anch’egli famoso; a Baghdad si legò ad al-Muhâsibî. Attorno a lui si formò una cerchia di scolari. Costruì un sistema di teosofia mistica, che fu punto di partenza  per speculazioni ulteriori. A noi sono pervenuti opuscoli e lettere. Si possono leggere vari aneddoti che lo riguardano nel volume Vite e detti di santi  musulmani  a cura di Virginia Vacca, Utet, Torino 1968, 136-140.

[2] Al-Hasan al Basrî, grande maestro (m. 728), la cui personalità dominò la sua epoca in tutti gli aspetti  della cultura religiosa. Si veda per un più ampio giudizio su di lui Vite e detti di santi musulmani, cit., 54-56. 

[3] ‘Alî, cugino e genero del Profeta, quarto califfo, morto assassinato nel 40/661. Ghazâlî riferisce molti suoi detti (o a lui attribuiti?); altri si possono leggere in Vite e detti di santi  musulmani, cit., 35-36. 

[4] Deve trattarsi di al-Hasan  al Basrî su cui cfr. nota 2.  

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Testo di Abû Hâmid ibn Muhammad al-Ghazâlî, Il vero credente si salva con le opere, non con la scienza, «Oasis», anno VI, n. 11, giugno 2010, pp. 67-69.

 

Riferimento al formato digitale:

Testo di Abû Hâmid ibn Muhammad al-Ghazâlî, Il vero credente si salva con le opere, non con la scienza, «Oasis» [online], pubblicato il 1 gugno 2010, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/il-vero-credente-si-salva-con-le-opere-non-con-la-scienza.

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