Se la differenza e la pluralità sono tratti distintivi non solo delle società, ma anche delle identità individuali, è urgente determinare quali strumenti possano favorire rinnovate forme di coesione

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:57:09

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Frutto del lavoro di ricerca realizzato nell’ambito del progetto Conoscere il meticciato, governare il cambiamento promosso da Fondazione Oasis nel 2014-2015 con il sostegno di Fondazione Cariplo, i saggi pubblicati in questo volume offrono nel loro insieme una riflessione articolata sul dialogo interreligioso tra Cristianesimo e Islam, considerato uno strumento significativo e ineludibile per promuovere processi di integrazione efficace all’interno delle società contemporanee che, come quella italiana, sono sempre più caratterizzate dal pluralismo culturale e religioso dei propri appartenenti. Se la differenza e la pluralità sono tratti distintivi non solo delle società, ma anche delle identità individuali, diventa urgente determinare quali strumenti possano favorire rinnovate forme di coesione e integrazione evitando le derive degli irrigidimenti culturali esclusivisti, inevitabilmente forieri di conflittualità sociale.

 

La scelta di valorizzare all’interno della ricerca la prospettiva del dialogo interreligioso è giustificata dalla constatazione di come nelle società moderne e post-moderne sia stata smentita la previsione di una lenta e inesorabile scomparsa delle religioni dapprima dalla sfera pubblica e poi anche privata a favore di un’estensione progressiva della secolarizzazione. Se la secolarizzazione, come nota Paolo Monti nel saggio qui pubblicato, costituisce un dato reale che pone sfide nuove alle religioni ed è quindi un elemento importante di cui tenere conto nello stesso dialogo interreligioso, è però vero che le religioni non sono scomparse dalla sfera pubblica, ma in vario modo si esprimono e interagiscono con essa, e neppure da quella privata, riproponendosi come orizzonti di senso per interpretare e governare i vari processi cui la modernità dà origine.

 

Sul piano delle religioni le novità sono se mai due: nessuna di esse svolge ormai generalmente un ruolo omogeneo e olistico all’interno di una società di tradizionale riferimento, ma sempre più le diverse religioni si esprimono in spazi condivisi – si tratta del fenomeno del pluralismo religioso e culturale, che sempre più caratterizza le nostre società; in secondo luogo le religioni, seppur a ritmi di varia intensità a seconda dei contesti, si misurano con la secolarizzazione e con i suoi effetti sul piano istituzionale, politico e sociale. Ma più che di un processo di sostituzione – la secolarizzazione sostituisce le religioni – si tratta piuttosto di un fenomeno socio-culturale più complesso in cui i processi di secolarizzazione e quelli religiosi si intrecciano in modo dinamico e differenziato.

 

L’orizzonte sinteticamente delineato legittima quindi l’interesse di una ricerca che tenti di analizzare e valutare il ruolo del dialogo interreligioso nel promuovere processi integrativi e anche di individuare le condizioni perché esso possa svilupparsi in modo fecondo. La ricerca non ha inteso partire da una ripresa di riflessioni teoriche sul dialogo interreligioso in genere e islamo-cristiano in specie, che per altro emergono nel corso di molti dei saggi qui pubblicati, ma ha scelto di muovere piuttosto dalla tappa successiva, cioè dalla riflessione su esperienze di dialogo interreligioso attuate e in corso. È quanto sottolineato dal titolo del volume che in modo eloquente suona Raccontarsi e lasciarsi raccontare. Esperimenti di dialogo islamo-cristiano.

 

La scelta delle diverse esperienze oggetto della ricerca è stata guidata dalla tipologia di forme di confronto elaborata e proposta da Dialogo e annuncio, documento della Chiesa cattolica pubblicato congiuntamente nel 1991 dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. In tale documento vengono identificate e proposte quattro prospettive di dialogo: il dialogo teologico-culturale, il dialogo della vita, il dialogo della cooperazione e il dialogo dell’esperienza spirituale. I saggi pubblicati nel volume riflettono su esperienze che possiamo descrivere a partire da tali prospettive di dialogo, fornendo così un panorama insieme unitario e articolato.

 

Il saggio di Francesca Peruzzotti affronta il tema del dialogo dell’esperienza spirituale, delle sue condizioni, sfide e prospettive, a partire dalla vicenda concreta dei monaci trappisti di Tibhirine (uccisi nel 1996 per mano di un gruppo islamico radicale durante la guerra civile algerina), i quali avevano coltivato un autentico dialogo spirituale con i musulmani loro vicini, fino a interrogare lo stesso Corano da credenti cristiani, cercando in esso contenuti che potessero alimentare la loro vita di fede e di ricerca di Dio come monaci cistercensi in terra di Islam. Mi sembra interessante notare come questa ricerca e interrogazione del Corano – che non ha condotto ad alcuna forma di eclettismo religioso – sia sorta in particolare in Christian De Chergé, priore della comunità, non a partire da riflessioni teoriche sul possibile statuto teologico del Corano, quanto da un’esperienza umana e spirituale concreta: De Chergé, prima di diventare prete e poi monaco trappista, aveva combattuto come giovane ufficiale di leva nella guerra franco-algerina. Mentre era di stanza nelle campagne algerine, scampò alla morte nel corso di un agguato tesogli dai ribelli grazie a un amico musulmano, un artigiano del villaggio in cui la guarnigione di De Chergé era acquartierata: l’uomo si fece infatti avanti sulla strada per avvisarlo del pericolo e fu immediatamente falciato dalle fucilate dai ribelli algerini per questo suo atto. De Chergé sperimentò l’“essere salvato” da morte grazie al sacrificio dell’amico musulmano e da qui gli nacque la domanda profonda che segnerà la sua vita futura: l’offerta della propria vita da parte dell’amico musulmano è espressione di un amore cristologico: «Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Se l’Islam ha saputo motivare questa forma concreta di amore, nasce l’appassionata ricerca da parte di De Chergé di come nelle sue fonti – in particolare nel Corano – possano individuarsi specifiche “parole” di Dio capaci di alimentare questo atteggiamento così autenticamente “cristiano”. È un orizzonte di dialogo e di ricerca impegnativo, e anche il più profondo perché tocca i fondamenti dell’esperienza spirituale nella vita di fede, rispetto al quale si stanno muovendo solo i primi pur significativi passi.

 

Nella prospettiva del dialogo teologico-culturale si situano i saggi di Paolo Monti, Bishara Ebeid e Ines Peta: il primo analizza le condizioni e le forme di dialogo a partire dalle riflessioni di alcuni filosofi musulmani contemporanei, che pur giungendo a esiti finali diversi, condividono però l’assunto che la condizione filosofica della necessità e possibilità del dialogo si radichi nella consapevolezza che nessuna identità è monolitica e nessuna cultura o religione è avulsa da un contesto più ampio con cui interagisce e da cui è legata da molteplici forme di contributo. La consapevolezza di un grado di pluralismo interno che caratterizza ogni religione e cultura, e anche ogni identità individuale, è la condizione razionale-filosofica centrale che legittima il dialogo con l’altro da sé. Dal punto di vista del metodo del dialogo, questo implica l’esercizio di ricercare gli elementi condivisi ma anche di individuare e circoscrivere la reciproca irriducibile “differenza” religiosa: questo ritmo mantiene il dialogo “in essere”, perché evita il duplice scoglio dell’affermazione di una differenza assoluta che porta all’incomunicabilità e al conflitto, o al contrario della fusionalità indifferente, che cancella in modo non meno determinato lo statuto dell’alterità.

 

I saggi di Bishara e Peta condividono l’interesse su due distinte tematiche teologiche del dialogo islamo-cristiano: Bishara analizza il senso, la fecondità e i limiti del comune riferimento all’ascendenza abramitica delle tre religioni del libro – Ebraismo, Cristianesimo e Islam – a partire da due recenti saggi sull’argomento, opera rispettivamente di un pensatore egiziano sunnita e di due co-autori libanesi, uno cristiano e l’altra musulmana. Peta approfondisce il nodo della “falsificazione” delle Scritture di cui la tradizione musulmana accusa ebrei e cristiani, rivisitando alcuni scritti classici sull’argomento, e riuscendo così a individuare una pluralità di sfumature interpretative molto significative, che aprono a una considerazione meno netta e univoca di tale assunto, a favore di una prassi di dialogo in cui i cristiani non siano preliminarmente bollati come falsificatori del Vangelo originario ricevuto da Dio. Dal saggio emerge molto bene come tale accusa abbia di fatto anche costituito una sfida creativa per la teologia cristiana orientale medievale, che si è trovata stimolata, seppur in ambito prevalentemente polemico, a dare ragione della plausibilità del mistero dell’Incarnazione e della Trinità, le due verità di fede che sono tradizionalmente rifiutate in ambito islamico e per cui i cristiani vengono accusati d’incomprensione della rivelazione divina e alterazione dei testi che la trasmettono. Si tratta di una sfida che oggi non è venuta meno, e in cui la conoscenza di tali riflessioni antiche può essere senz’altro di ispirazione, senza essere esaustiva, per individuare modalità per “dire” oggi ai musulmani la comprensione cristiana del mistero di Dio rivelato in Gesù Cristo.

 

Al dialogo della cooperazione sono dedicati i saggi di Paolo Maggiolini e di Stella Coglievina; il primo presenta la recente attività diplomatica del Vaticano in relazione ad alcuni Paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Golfo con cui sono stati conclusi accordi e concordati; il secondo analizza le iniziative promosse dalle istituzioni dell’Unione europea in relazione al dialogo interreligioso. Sebbene normalmente il dialogo della cooperazione riguardi attività di promozione umana e sociale che sono espressione diretta di organismi della società civile, a esso possiamo ricondurre anche l’attività diplomatica che si impegna a porre le condizioni perché sia possibile l’espressione del diritto alla libertà religiosa in contesto pluralista, o che realizza iniziative in cui gli Stati interagiscono con le comunità religiose al fine di coinvolgerle attivamente nella costruzione di un processo sociale condiviso.

 

Infine, i saggi di Antonio Angelucci, Laura Silvia Battaglia e Viviana Premazzi sono dedicati al dialogo della vita: i primi due sono focalizzati sui matrimoni misti, mentre il terzo analizza l’esperienza di oratori di Milano e Torino che accolgono abitualmente bambini e ragazzi musulmani in quello che è uno spazio di socializzazione e formazione prettamente cattolico, che si apre però in modo fecondo all’incontro, divenendo spazio quotidiano di dialogo e di integrazione. I matrimoni misti meritano un’attenzione specifica, in quanto sono ritenuti dal recente magistero della Chiesa cattolica come un contesto importante di esperienza vissuta di dialogo interreligioso. Potremmo dire che la famiglia “mista”, in cui i coniugi siano l’uno cristiano e l’altro musulmano, costituisce l’ambito più impegnativo in cui il dialogo interreligioso può rappresentare la trama ordinaria dell’esistenza. Mentre Angelucci offre un’analisi giuridica del matrimonio misto canonico e dei suoi riflessi nella comprensione cattolica di tale esperienza coniugale e famigliare, Battaglia presenta una riflessione sulle modalità concrete di scelte attuate da una serie di coppie miste – oggetto della sua ricerca – riguardo all’appartenenza e pratica religiosa in funzione della costruzione di una famiglia stabile. Nella ricerca della Battaglia – attuata su un numero molto limitato di coppie – sembra però emergere la “sconfitta” del dialogo interreligioso in quanto tale, perché nella maggior parte dei casi presentati la parte cristiana si converte all’Islam, per cui il carattere interreligioso della coppia viene meno. Anche le conclusioni dell’autrice sembrano suggerire che se non avviene un’unificazione religiosa nel corso del rapporto matrimoniale, il rischio è di perdere l’identità religiosa, in particolare dei figli. Considerando altre ricerche sulle famiglie miste condotte in altri Stati europei e a fronte di differenti esperienze – come quella dei Foyers Islamochrétiens in Francia – si possono e devono certamente sfumare e problematizzare tali prospettive conclusive, che se rappresentano la scelta di una parte delle coppie miste, sono però lontane dall’essere universalizzabili.

 

Il saggio conclusivo di Abdelmajid Charfi, noto intellettuale e già ministro dell’Istruzione tunisino, porta la riflessione sul tema delle istituzioni religiose islamiche in rapporto all’insegnamento, alla trasmissione e alla gestione dell’ordinamento religioso. Charfi identifica lucidamente tre grandi nodi in questo ambito: in primo luogo la difficoltà delle istituzioni religiose islamiche a rendersi indipendenti dalla tutela dello Stato; in secondo luogo la sfida posta alle istituzioni religiose ufficiali dalla crescita esponenziale di “autorità” religiose informali, non istituzionali, che ottengono però ampio credito tra le varie componenti sociali; in terzo luogo la difficoltà comune a tutti gli organismi religiosi musulmani di accogliere una rivisitazione critica, pluralistica e dialogica della storia della propria riflessione religiosa e delle sue molteplici espressioni, che è il presupposto culturale ineludibile per elaborare oggi un pensiero religioso aperto al dialogo e alla sfide positive della modernità.

 

Dall’insieme della ricerca mi sembra che emergano due dati importanti relativi al dialogo interreligioso, che accomunano trasversalmente la varietà delle esperienze analizzate, e che rappresentano due condizioni perché il dialogo possa svilupparsi in modo fecondo. Il primo dato è l’importanza di assumere in modo consapevole la pluralità come elemento costitutivo della propria tradizione religiosa e anche della propria identità personale, superando letture astoricamente autoreferenziali e monolitiche. Questa consapevolezza permette di accogliere pluralità e dialogo all’interno della propria tradizione e della propria identità religiosa e quindi fonda l’apertura dialogica all’altro da sé. Il secondo dato è di tipo metodologico: perché si sviluppi un dialogo che non “cancelli” la pluralità, ma la accolga in modo fecondo, è fondamentale assumere nel dialogo il duplice ritmo della ricerca di ciò che accomuna le diverse esperienze religiose, ma anche circoscrivere la loro ineludibile originalità. Solo questo approccio salva la pluralità e non la annienta – né in forme assimilazionistiche né in forme fusionali all’insegna dell’indifferentismo – e ne rende possibile l’espressione fertile in uno spazio sociale condiviso. Se volessimo utilizzare la metafora del ponte, potremmo dire che i pilastri di sostegno sono i nuclei propri di ciascuna tradizione religiosa che mantengono la loro distinzione, mentre le arcate di congiungimento sono i valori, i principi, le esperienze condivisibili e condivise dalle varie tradizioni che pur scaturiscono dalla loro originalità, a patto di non chiudere quest’ultima nel reciproco esclusivismo.

 

Il testo è contenuto in "Raccontarsi e lasciarsi raccontare. Esperimenti di dialogo islamo-cristiano", realizzato nell'ambito del progetto di ricerca "Conoscere il meticciato, governare il cambiamento" con il contributo di Fondazione Cariplo. Acquista l’e-book qui.

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