Secolarismo e libertà religiosa/ Mentre la cronaca documenta una certa intolleranza laicista all’interno dei moderni Stati europei e il pluralismo post-secolare mostra i suoi limiti, sembra riemergere una terza antica via capace di favorire la ricerca del bene comune e di integrare l’Islam in Occidente.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:38

Dopo le proteste islamiche contro il filmato di You Tube Innocence of Muslims e contro le nuove vignette della rivista satirica francese Charlie Hebdo, il confronto tra la libertà di parola e la libertà religiosa è tornato sotto i riflettori. Quest’ultima controversia è parte del dibattito sull’espressione pubblica e politica della fede all’interno del contesto di un risveglio religioso globale e di un persistente secolarismo europeo. A partire dalla vicenda delle vignette danesi del 2005, i liberali laici hanno utilizzato la libertà di parola per cercare di bandire la religione dalla politica, mentre i fondamentalisti religiosi hanno invocato la libertà religiosa per imporre la loro visione teocratica. Per disinnescare una situazione sempre più esplosiva, l’Europa e il resto dell’Occidente hanno bisogno di difendere le antiche libertà di parola e di religione contro l’intolleranza del settarismo e del fanatismo. L’offesa ingiustificata di tutte le fedi dovrebbe essere considerata una forma d’incitamento all’odio paragonabile al razzismo o alla negazione dell’Olocausto, e le leggi esistenti sull’istigazione alla violenza devono essere rigorosamente applicate. Oltraggiare l’immagine sacra del Profeta Maometto viola un elemento costitutivo dell’identità musulmana comunitaria. Allo stesso tempo, tuttavia, è necessario che le autorità pubbliche difendano lo spazio per la satira e proteggano quanti sono perseguitati per aver sfidato i principali miti che stanno a fondamento della narrazione collettiva delle comunità religiose. Proteggere l’Islam o qualsiasi altra religione dalla satira o dal processo di indagine critica va contro la tensione religiosa alla verità e mina lo sviluppo intellettuale da cui dipendono tutte le società più vivaci. La nostra tesi è che un equilibrio tra libertà di parola e libertà religiosa non possa essere raggiunto né in termini liberali laici né in termini pluralisti post-secolari. Invece, una prospettiva e una pratica fondamentalmente cristiane potrebbero essere paradossalmente più capaci di rispettare l’Islam e il carattere proprio delle altre religioni. Una società cristiana non può spingersi fino ad adottare i criteri dell’Islam rispetto a ciò che quest’ultimo ritiene rappresentabile delle sue credenze e delle sue pratiche specifiche[1]. Ma, per l’Islam e le altre fedi, una cristianità rinnovata è molto meglio di un sistema politico secolare o di una piazza pubblica post-secolare, che tendono entrambi a subordinare gruppi e comunità al potere individuale o collettivo, o a tutti e due allo stesso tempo. Metteremo dapprima in evidenza l’intolleranza secolare dello Stato moderno europeo e del pluralismo vuoto che caratterizza la piazza pubblica post-secolare. In un secondo momento sosterremo che solamente una città cristiana rinnovata può favorire la ricerca plurale per il bene comune e integrare l’Islam in Occidente. L’intolleranza laicista L’Europa contemporanea sta sperimentando la natura sempre più autoritaria e antireligiosa dello Stato liberale moderno. Per diversi decenni, il laicismo militante ha vietato in Francia l’uso del foulard e l’affissione dei crocifissi. In nome della libertà di parola, nel 2008 esponenti italiani della sinistra laica impedirono a Papa Benedetto XVI di tenere una lezione all’Università La Sapienza di Roma sul tema dell’indagine razionale. In Gran Bretagna il liberalismo sociale laico ha impedito agli enti cattolici per le adozioni di esercitare la propria funzione perché contrari a selezionare coppie dello stesso sesso come potenziali genitori adottivi ed è attualmente determinato a istituire il matrimonio omosessuale. Se per millenni il matrimonio è stato concepito come una relazione coniugale tra un uomo e una donna legata alla procreazione, c’è qualcosa di profondamente problematico nel fatto che lo Stato si arroghi il potere di cambiare per legge la definizione di una realtà naturale e culturale che ha preceduto storicamente l’esistenza dello stesso Stato liberale moderno[1 2]. Vi sono da parte delle religioni preoccupazioni legittime circa la libertà di coscienza e di professare la propria fede che collimano con le più generali preoccupazioni occidentali per le conseguenze della mancata integrazione di una minoranza musulmana in crescita, religiosa e alienata, all’interno di una cultura relativistica, secolare e sempre più aggressiva. Tuttavia, la soluzione proposta dai liberali sia laici che religiosi ripete gli errori del multiculturalismo degli anni ’60. Con l’idea di comunità che condividono lo stesso spazio ma conducono vite separate, i fautori dei modelli multiculturali promuovono una situazione che consolida la segregazione e che sgretola ogni concezione del bene comune capace di tenere uniti i cittadini. È proprio a causa del carattere inesorabilmente atomistico sia del liberalismo sia del multiculturalismo che la Gran Bretagna e altri Paesi europei hanno il problema di trovare una collocazione per la loro popolazione musulmana sempre più ghettizzata e radicalizzata. L’integrazione dell’Islam nelle democrazie liberali rappresenta una sfida con cui si confrontano l’Occidente nel suo complesso e in particolare l’Europa. Purtroppo, tutti i modelli secolari di integrazione esistenti presentano dei problemi. Le versioni inglese e olandese del multiculturalismo speravano di difendere la parità di diritti di tutti i cittadini, ma entrambi i Paesi hanno abbandonato l’idea di una cultura nazionale comune e organica fondata sulla religione. In questo processo essi hanno perso lo strumento che potesse essere condiviso sia dalle maggioranze che dalle minoranze. La Germania ha rinnegato la sua eredità cristiana a favore di una dimensione etnica della propria identità. È per questo che essa riserva la cultura nazionale alla sua popolazione nativa. Anche se garantisce diritti socio-economici, il modello tedesco continua a limitare la cittadinanza per i “lavoratori ospiti” e gli immigrati musulmani riducendo la loro partecipazione alla vita politica e civile. In Francia, l’ideale repubblicano di libertà, uguaglianza e fraternità affascina gli immigrati, ma la sua formulazione secolare nega la forma religiosa primaria della loro identità. Inoltre, la popolazione musulmana è fortemente discriminata sul mercato del lavoro e tende a essere confinata nelle terre di nessuno delle banlieues. Il rifiuto da parte della Francia di riconoscere le sue origini e la sua eredità cristiane impedisce al Paese di ampliare la sua visione dell’identità francese e di integrare altre fedi come l’Islam. L’arroganza della legge secolare Il problema di tutti modelli europei è che essi sanciscono il primato della legge secolare sui principi religiosi e contro di essi. Lungi dal garantire neutralità e tolleranza, lo Stato secolare europeo si arroga il diritto di controllare tutte le sfere della vita e di legiferare su di esse. Le limitazioni dello Stato riguardano soprattutto la religione e la sua rilevanza civile. Dal punto di vista giuridico, il secolarismo mette al bando ogni fonte concorrente di sovranità e di legittimità. Dal punto di vista politico, esso nega alla religione ogni contributo sostantivo al dibattito pubblico e al processo decisionale. Dal punto di vista culturale, applica le sue norme e i suoi criteri a tutti gli altri sistemi di credenze. Di conseguenza, la promessa liberale di uguaglianza equivale a poco più dell’imposizione secolare di uniformità e somiglianza assoluta. In quanto tale, il liberalismo contemporaneo non è in grado di riconoscere le religioni nel loro pieno diritto né di garantire loro la propria autonomia. Al contrario, gli Stati Uniti offrono in linea di principio una visione forte che consente l’espressione pubblica della religione in uno Stato che non solo è garante dei diritti individuali ma anche dell’autonomia delle comunità religiose. Sebbene negli Stati Uniti le minoranze subiscano segregazione razziale e discriminazione di classe, il modello americano dell’integrazione religiosa segna un miglioramento rispetto al secolarismo europeo, proteggendo esplicitamente la religione dall’eccessiva interferenza dello Stato. In parte, questo è dovuto al fatto che l’Illuminismo europeo ha cercato di proteggere lo Stato dalla religione, mentre l’insediamento coloniale americano mirava a proteggere la religione dallo Stato. Ciò nonostante, il modello americano vive comunque delle difficoltà rispetto al secolarismo e allo Stato. Innanzitutto c’è il moralismo manicheo che viene insegnato nelle Chiese tradizionali per rafforzare quel senso di eccezionalità nazionale su cui lo Stato fonda la propria missione messianica e a cui tutte le religioni devono de facto sottomettersi[3]. In gran parte questo spiega la tendenza di molti cattolici americani (e di molti ebrei) ad assomigliare ai protestanti, anche se in futuro la forte immigrazione ispanica e i crescenti legami tra cattolici, altre Chiese a base episcopale e certi evangelici progressisti potrebbero modificare questa situazione[4]. Quindi gran parte degli Stati Uniti rimane legata alla “religione civile” tipicamente americana che ricorda più una vaga religiosità che la tradizione di fede chiaramente cristiana dell’Europa[5]. Ne consegue che il secolarismo moderno non è in nessun modo confinato al vecchio continente ma si estende fino al nuovo mondo. Se il trascendente è ridotto a morale Nel mezzo della crisi del liberalismo e della razionalità strumentale, il concetto di post-secolarismo, recentemente sviluppato da Jürgen Habermas e William Connolly, suggerisce che le intuizioni morali della fede dovrebbero far parte del discorso pubblico e dovrebbero poter legittimamente contribuire al bene comune. In questo modo, la politica post-liberale del pluralismo cerca di integrare la religione in termini post-secolari all’interno dello Stato nazional-repubblicano o dentro lo spazio pubblico global-cosmopolita. Tuttavia, il concetto di post-secolarismo non riesce a superare il secolarismo moderno. Habermas e Connolly criticano in modo convincente la divisione liberale tra pubblico e privato e l’esclusione della fede dalla politica, ma, in modo simile a Rawls, difendono l’egemonia dell’assetto secolare e la prospettiva post-metafisica dell’eredità illuminista. Il trascendente viene così ammesso all’interno della piazza pubblica ma solamente in quanto fonte di moralità e il suo ruolo è strettamente limitato alla comunicazione informale tra i cittadini. Al contrario, a livello dello Stato e delle sue istituzioni i dibattiti formali devono essere tutelati dalla religione con un filtro istituzionale che sospenda tutte le domande metafisiche e riduca la credenza religiosa a una decisione puramente privata. In questo modo, Habermas traccia una linea invalicabile tra da una parte la piazza pubblica e lo Stato e dall’altra le comunità e i gruppi, stabilendo una divisione che i dibattiti a carattere religioso non possono trasgredire[6]. La ragione prevalente per rifiutare la metafisica è assicurare i valori immanenti e secolari senza ricorrere a principi religiosi trascendenti. Questo ignora la posizione metafisica che è sottesa all’immanenza secolare e che lascia irrisolti i conflitti tra valori non religiosi concorrenti e irriducibili come la libertà, l’uguaglianza e la sicurezza, i quali non possono essere riconciliati attraverso la sola razionalità. In conclusione, Habermas considera la fede religiosa come irrazionale e la sua filosofia dell’Illuminismo si fonda sulla separazione dell’immanenza naturale dalla trascendenza soprannaturale. Come conseguenza, solamente la ragione secolare è essenzialmente autorizzata a definire le norme procedurali e maggioritarie che governano la piazza pubblica. Per quanto riguarda Connolly, le sue concezioni sul post-secolarismo dipendono da una filosofia immanente della differenza che è residualmente trascendente[7]. Questo accade perché essa eleva l’alterità al solo termine trascendente della sacralizzazione dell’“altro”, in cui include l’“alterità” musulmana. Entrambe le concezioni di post-secolarismo precludono la possibilità di un’unità sostanziale e plurale e una tensione condivisa al bene comune da cui le società dipendono, sia a livello nazionale che globale, per la coesistenza realmente pacifica e per lo sviluppo umano[8]. Per contrasto, l’Europa rimane, anche se in modo residuale, una società cristiana che può integrare le altre religioni e culture precisamente perché riconosce la specificità della fede cristiana. Come tale, essa è molto più tollerante del liberalismo secolare e del pluralismo post-secolare, come sosteniamo nella prossima sezione. L’ampiezza dell’abbraccio cristiano Paradossalmente, ciò di cui le altre fedi hanno bisogno per il loro proprio riconoscimento è il recupero della tradizione religiosa europea originaria: il Cristianesimo. Solo il Cristianesimo può integrare le altre religioni in un progetto europeo condiviso, riconoscendo ciò che le ideologie secolari non possono riconoscere: una verità trascendente oggettiva che eccede l’intenzione umana ma che è aperta al discernimento razionale e al dibattito. In quanto tale il Cristianesimo delinea un modello non secolare di bene comune a cui tutti possono partecipare. Piuttosto che tentare di difendere la religione sotto le sembianze del multiculturalismo secolare, i veri liberali (ossia coloro che difendono i principi della liberalità come il “governo misto”, il corporativismo costituzionale e le antiche libertà) dovrebbero promuovere il pluralismo religioso attraverso il Cristianesimo. La principale obiezione dei musulmani non riguarda una differenza di credenza ma la sua assenza dalla coscienza europea e dalla sfera politica. Quindi il recupero della Cristianità in Europa non rappresenta un progetto settario ma è invece l’unica base per l’integrazione politica dei musulmani e per la coesistenza pacifica tra religioni. In che modo? A differenza dei liberali laici e degli ateisti militanti, i cristiani possono avere una visione positiva dell’Islam e delle altre fedi proprio in quanto credenti religiosi che si accorgono di avere molto in comune con ciò in cui i musulmani e altri credenti credono: un senso del sacro, la sacralità della vita e della terra, l’unità della religione e della politica oppure la natura olistica e integrale dell’esistenza umana. Tuttavia questo non porta necessariamente i cristiani a sostenere che ci possa essere una base secolare per il riconoscimento della sacralità musulmana, né a presumere che una civitas cristiana (e l’Europa è ancora tale, almeno in maniera residuale) dovrebbe approvare leggi che rispettano le sensibilità specificamente musulmane riguardo al sacro (come, ad esempio, proibire le rappresentazioni del Profeta)[9]. È chiaro che una civitas cristiana può richiedere solo il rispetto generale per la “sacralità” delle altre comunità religiose nella misura in cui esse si avvicinano al senso di sacralità proprio del Cristianesimo (o non sono incompatibili con esso). Questo è il motivo per cui le leggi contro la blasfemia a base islamica sono costituzionalmente illegittime e politicamente inaccettabili in Europa. In che senso l’Europa è una civitas cristiana? La società europea è caratterizzata da istituzioni ibride, giurisdizioni sovrapposte, autorità policentrica e un governo organizzato su più livelli, differenziandosi così dalla concentrazione del potere tipicamente antica o moderna – sia nella forma di una monarchia assoluta che in quella di una repubblica rivoluzionaria – nelle mani di un sovrano. Come ha rilevato il Cardinal Angelo Scola sulla scia di Rémi Brague, le origini di questo modello specificamente europeo risalgono a una lunga tradizione che non concepisce l’Europa come fondata in un dato momento, ma piuttosto come il continuo dispiegarsi della fusione ellenistica di Gerusalemme con Atene[10]. Durante il “lungo Medioevo” (500-1300), il Cristianesimo ellenizzato integrò e trasformò le altre tradizioni europee, come il diritto tedesco o la lingua celtica. Legata a questa miscela di diverse culture all’interno di un quadro omnicomprensivo è la distinzione giudeo-cristiana della religione dall’autorità politica. Sulla base di questa distinzione è emerso uno “spazio complesso” e libero tra il governo politico e la società, in cui la politica non è monopolizzata dallo Stato ma attiene alla sfera pubblica a cui partecipano gli individui e i gruppi[11]. La Chiesa, infatti, insieme alle comunità locali e ai corpi professionali, come le corporazioni o le università, tendeva a difendere la libertà della società contro la coercizione politica. In tal modo essa aiutava a proteggere l’autonomia degli ebrei, dei musulmani e delle altre minoranze religiose. Oltre ai complessi dibattiti sull’equilibrio relativo tra Stato e Chiesa o sulla “combinazione” di differenti fonti giuridiche (legge canonica, comune e civile), la presenza delle comunità ebraiche e di terre governate dai musulmani nella penisola iberica fece sì che, all’apice del suo splendore, “l’Europa cristiana” non fosse mai un monolite a guida clericale bensì uno spazio di dibattito politico all’interno di differenti tradizioni di fede e trasversale ad esse. La pretesa universalistica Inoltre, la cristianità sia orientale che occidentale ha fuso il principio di libera associazione proprio del diritto consuetudinario tedesco con il principio latino di equità e di partecipazione alla civitas. In questo modo, il Cristianesimo europeo ha difeso una posizione più relazionale (in termini di diritti oggettivi e non soggettivi e di doveri reciproci) che ha evitato la dialettica dell’individuo e dell’azione collettiva che dobbiamo alla rivoluzione americana e francese. Infine, l’eredità di fede e di ragione unica dell’Europa ha offerto le basi per la pretesa europea di un universalismo “organicamente” plurale. Il tratto distintivo di questa variante di universalismo è che essa evita sia il relativismo morale che l’assolutismo politico, offrendo uno spazio libero e condiviso per la pratica religiosa e non: l’ambito della società civile, che precede lo Stato centrale o il “libero” mercato. In quanto “corporazione delle corporazioni”, la società europea poggia sulla cultura civica comune e su vincoli sociali che sono più fondamentali sia dei diritti formali e legali-costituzionali che dei legami economico-contrattuali. Tornando all’integrazione dell’Islam e delle altre fedi religiose, la proposta cruciale è che una civitas pur rimasta cristiana solo parzialmente può spingersi più lontano di una società secolare nel riconoscere il valore integrale di un gruppo religioso in quanto gruppo. I cristiani possono ragionevolmente vedere nelle moschee e nei templi indù degli analoghi delle chiese e avere perciò un’alta considerazione di queste istituzioni. Di riflesso, gli ebrei, i musulmani e altri credenti religiosi non solo guardano con favore alla tradizione europea della legge civile ma anche al riconoscimento politico del Cristianesimo in Europa. La legge e il ruolo pubblico delle Chiese cristiane proteggono tutti i credenti dall’estremismo laicista e preservano spazio sociale per la pratica religiosa. Molti di essi, insieme agli indù inglesi e ad altri ancora, riconoscono che l’idea di un’alleanza tra tutte le religioni contro la secolarizzazione ha fatto dei passi avanti laddove esiste una religione culturalmente e politicamente maggioritaria. Dal momento che non sono dominati da una mentalità moderna liberale, capiscono che una “cultura religiosa” autentica deve essere religiosa in modo specifico. Per loro non esiste nulla di simile nella pratica alla “religiosità generale” (come negli Stati Uniti), e un pluralismo religioso neutrale della varietà multiculturalista può essere solamente un’espressione del secolarismo. Il vero motivo della mancata integrazione dell’Islam da parte dell’Occidente è il suo attaccamento al secolarismo. Solo un nuovo assetto istituzionale che riconosca la specificità della fede cristiana può incorporare minoranze religiose sempre più numerose nell’Europa occidentale. Il liberalismo secolare in tutte le sue varianti contemporanee risulta semplicemente incapace di raggiungere un tale risultato. Lungi dal garantire un genuino pluralismo dei sistemi di credenza e di pratiche sociali, il secolarismo impoverisce la cultura e la svuota di tutto il suo significato. Questa è la ragione per cui Papa Benedetto XVI e l’Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams riconducono l’incapacità dell’Europa ad articolare un progetto politico comune alla crescente secolarizzazione della cultura europea. Tutt’altro che settari, i capi religiosi delle principali Chiese a base episcopale vogliono inaugurare in Europa una nuova rinascita religiosa che si opponga sia all’estremismo secolare sia al fondamentalismo religioso.


[1] Cfr. John Milbank, Shari’a and the True Basis of Group Rights: Islam, the West, and Liberalism, in Rex Ahdar e Nicholas Aroney (eds.), Shari’a in the West, Oxford University Press, Oxford 2010, 135-58. [2] John Milbank, Gay marriage and the future of human sexuality, «ABC Religion & Ethics» 13 marzo 2012, disponibile online al sito http://www.abc.net.au/religion/articles/2012/03/13/3452229.htm [3] Verosimilmente, questo aspetto può essere ricondotto agli emigranti calvinisti e puritani della fine del XVI secolo e XVII secolo che edificarono il nuovo mondo del Nord-Atlantico. Numerosi teologi americani reinterpretarono la passione di Cristo come requisito indispensabile per il ripristino della giustizia economica e politica dopo il Crollo e la fondazione della “repubblica commerciale” d’America. Cfr. Mark A. Noll, America’s God: from Jonathan Edwards to Abraham Lincoln, Oxford University Press, New York 2002, 227-367. [4] Marcia Pally, The New Evangelicals. Expanding the vision of the common good, Grand Rapids, MI, Wm.B.Eardmans, 2011 [5] Adrian Papst, The Western Paradox: Why the United States is more religious but less Christian than Europe, in Lucian Leustean (ed.), Representing Religion in the European Union: Does God Matter?, Routledge, London 2012, 168-184. [6] Jürgen Habermas, Religion in the public square, «European Journal of Philosophy», Vol. 14, 1 (2006), 1-25; J. Haberbas, On the Relations Between the Secular Liberal State and Religion, in Hent de Vries e Lawrence E. Sullivan (eds), Political Theologies. Public Religion in a Post Secular World, Fordham University Press, New York 2006, 251-60. [7] William Connolly, Why I Am Not a Secularist, University of Minnesota Press, Minneapolis 1999. [8] Adrian Pabst, The secularism of post-secularity: religion, realism and the revival of grand theory in IR, «Review of International Studies» 38, 6, Dicembre 2012, in press. [9] John Milbank, Shari’a and the True Basis of Group Rights: Islam, the West, and Liberalism, 135-58. [10] Card. Angelo Scola, The Christian contribution the European Integration Process, conferenza tenuta a Cracovia, 10 settembre 2010, disponibile online su http://english.angeloscola.it/2010/10/07/the-christian-contribution-to-the-european-integration-process/. [11] John Milbank, On Complex Space, in idem, The World Made Strange. Theology, language, culture, Blackwell, Oxford 1977, 286-292.

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