Fede e politica/ Negli scritti degli anni ’40 di Augusto Del Noce si rintraccia una riflessione di sorprendente attualità sulla necessità per una democrazia autenticamente liberale di fondarsi sul rispetto della singolarità della persona intesa come apertura alla trascendenza. Un modello che interpella anche gli attuali partiti a riferimento religioso islamico.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:38

Il confronto tra democrazia e religione segna, in profondità, la riflessione filosofico-politica di Augusto Del Noce (1910-1989)[1]. Essa prende avvio con la caduta del fascismo in Italia, nel 1943, in un serrato confronto con l’opera del filosofo cattolico francese Jacques Maritain. Del Noce è tra i primissimi lettori italiani, nel 1936, dell’edizione francese di Umanesimo integrale. Quel libro significò per lui

cattolico, il “diritto di essere antifascista, restando cattolico”. Perché, qualsiasi cosa si dica oggi, per i pochi giovani intellettuali che andavano formandosi negli anni ’30 e che fossero antifascisti, la solidarietà tra il rifiuto (più o meno rigido) del cattolicesimo e l’antifascismo era un dato che sembrava incontrovertibile […]. Livre de chevet per i giovani antifascisti era la Storia d’Europa nel secolo decimonono di Benedetto Croce, apparsa ai primi del ’32. Humanisme intégral mi liberava dal fascino di quel libro[2].

Il giudizio, del 1986, è confermato in una lettera a Bobbio dell’89, dove, riferendosi all’impostazione propria della Storia d’Europa del Croce, afferma:

Mi sentivo a disagio in questo schema perché non riuscivo a combinare il mio sentimento antifascista con l’immanentismo filosofico; pur trovandomi isolato perché di antifascismo cattolico in Italia non si poteva parlare, e soffrendo di trovare in me stesso una scissione tra etica e politica (il primo libro cattolico antifascista che mi riuscì di leggere fu Humanisme intégral, nel 1936[…])[3].

Non solo i laici possono incontrare la modernità Maritain non converte Del Noce all’antifascismo – lo era già – ma al “diritto di essere antifascista in quanto cattolico”. Lo libera dal “complesso” di Croce: solo i laici possono essere autenticamente antifascisti, essendo i cattolici, per la loro impostazione antimoderna, portati ad allearsi con le forze della reazione e dell’illibertà. Leggendo Maritain supera la “solitudine” prodotta dalla sua posizione, e perviene altresì ad una “critica del modello teologico-politico medievale”, diffuso tra la cultura cattolica degli anni ’30, che in lui non esercita alcuna attrattiva. Solo nella precisazione dei limiti di quel modello si poteva sgomberare il terreno per un incontro tra Cristianesimo e modernità e per l’accettazione delle libertà moderne. L’equivoco su cui il “medievalismo” cattolico fondava le sue simpatie per il fascismo, erroneamente assimilato a una forza antimoderna, pareva legittimare, per contrasto, l’immanentistica religione della libertà di Croce. Ma di equivoco si trattava e a tal fine la lettura di Maritain assolveva una funzione purificatrice. Per poter valorizzare il metodo democratico, in senso pieno e non solo strumentale, occorreva prendere congedo dal Sacrum Imperium nella sua formulazione medievale. Allo scopo la distinzione maritainiana tra religione e cultura diventa decisiva. Negli appunti di diario del 6 dicembre 1943 Del Noce elenca i motivi che rendono interessante la maritainiana Religion et Culture:

Il Maritain accentua molto la trascendenza della religione soprannaturale a ogni civiltà: […]. Proprio in questa distinzione di naturale e di soprannaturale, di ragione e fede la chiesa cattolica mostrerebbe la sua trascendenza a ogni cultura determinata, a ogni clima storico. Se il cattolicesimo vuol vivere adesso non deve trasformarsi, ma mostrare che esso non si riduce a essere l’anima della civiltà medioevale[4].

Si tratta, insomma, di evitare l’errore del “clericalismo”, come se il cattolicesimo «fosse esso medesimo una città terrestre o una civiltà terrestre»[5]. È, questa,

abitudine mentale in parecchi cattolici di oggi. Che nella libertà non vedono un valore, ma un semplice metodo di cui nelle presenti condizioni storiche non si può fare a meno, l’esperienza totalitaria è una prova che non richiede replica. Per loro insomma la libertà da difendere è la libertà della Chiesa, anche se ciò oggi implichi la tolleranza (ma non più!) delle altre fedi. Ma non si è liberali se non quando si ama, non si tollera soltanto, la libertà degli altri! Ragionano, essi, in sostanza così: se la verità è data, come verità rivelata, il potere supremo dovrebbe di diritto spettare alla Chiesa come depositaria di essa e il potere temporale essere strumento del potere spirituale, la forza al servizio di Dio. L’autonomia del temporale dovrebbe perciò configurarsi soltanto come autonomia del campo in cui esplica le sue funzioni: ossia l’attività politica non ha valori propri da difendere, ma difende valori che le vengono imposti dall’attività gerarchicamente superiore. Solo l’opportunità pratica costringe oggi ad adattarsi alla civiltà liberale. Il principio della libertà è accolto solo in linea difensiva, anche se questa linea difensiva sembra essenziale alla civiltà moderna (l’adattamento è stabile)[6].

Oltre il dualismo tra religione e politica Siamo di fronte a una prospettiva errata, dominante nell’era barocca, contrassegnata dal machiavellismo religioso giustificato in funzione del Ad maiorem Dei gloriam, che suscita, per contraccolpo, il dualismo tra religione e politica come lo concepisce il liberalismo moderno. Per questo occorre, oltre il medievalismo e il laicismo, ritrovare il giusto accordo tra religione e storia. Ciò implica, sul piano teorico, un’adeguata riflessione sul rapporto tra “unità” e “distinzione”.

L’unità di oggi, della città non può essere l’unità della fede. L’unità della città moderna non sarà quindi data da un presupposto, l’unità della fede: ma da uno scopo: stabilire condizioni di vita tali che la verità possa dal singolo soggetto venir vissuta in quanto verità […]. Lo stato Medioevale aveva un’unità massimale, un’unità nei principi che reggono la città. Lo stato moderno deve tener conto di quella che è la grande scoperta della spiritualità moderna, la scoperta della forma: l’unità non deve essere cercata nei principi ma nella garanzia della forma in cui questi principi sono accolti, nella garanzia quindi della libertà. Ma questa forma non è astratta, ma ha un contenuto, il valore della persona[7].

La tolleranza, che sta al centro dello Stato moderno, non è «in alcun modo da considerarsi come un espediente, vista la condizione presente della divisione della coscienza in campo religioso. Essa continuerebbe a sussistere quando anche questa divisione venisse meno»[8]. La vicinanza letterale con la posizione maritainiana, segnatamente con talune pagine di Umanesimo integrale, è evidente. Per Maritain l’ideale di una nuova cristianità implicava una unità temporale che «non sarebbe, come l’unità sacrale della cristianità del medioevo, una unità massimale: sarebbe al contrario una unità minimale […]. Ed è causa di ciò che questa unità temporale o culturale non richiede da sé l’unità di fede e di religione, e che può essere cristiana pur raggruppando nel suo seno dei non-cristiani. Supponendo dunque che la divisione religiosa venga un giorno a cessare, questa più perfetta differenziazione del temporale rimarrebbe come guadagno acquisito – la distinzione della tolleranza dogmatica, che ritiene la libertà dell’errore come un bene in sé, e della tolleranza civile, che impone allo Stato il rispetto delle coscienze, rimarrebbe inscritta nella struttura della città»[9]. Parimenti evidente era la dipendenza delnociana da Maritain nella riformulazione dell’ideale storico medievale del Sacrum Imperium[10].

Non si tratta di rinunciare all’idea di Sacrum Imperium. Si tratta piuttosto di una sua interiorizzazione. Di un trionfo della verità non esteriore nelle leggi e nella coazione, ma nelle coscienze. Attualmente è proprio il cristianesimo – questo è curioso – a dover difendere il senso positivo dell’idea liberale[11].

Il destino del liberalismo, travolto dai totalitarismi appare, al Del Noce del ’43, come intimamente legato al cristianesimo. Questi, da parte sua, deve essere afferrato nella sua trascendenza rispetto ad ogni possibile incarnazione storica. Del Noce torna a più riprese sull’argomento. In un dattiloscritto della fine del ’44-inizi ’45 scrive che:

Il problema nei suoi nudi termini filosofici è certo tutt’altro che facile. Respingendo, come cattolico, la soluzione crociana e pur volendo salvare il liberalismo in cui vedo un’affermazione massima della civiltà cristiana, ritengo che non si possa dare una soluzione esauriente al problema se non attraverso una nuova indagine sul concetto delle verità eterne, mettendo in luce virtualità implicite […] per modo che verità eterne non voglia già dire verità date una volta per sempre come indubitabili, ma “verità eternamente riconquistabili”[12].

Il positivo del moderno Occorre, cioè, ripensare la tradizione cristiana alla luce delle sue virtualità, non come un paradigma il cui nesso con la storia sia fissato una volta per tutte. Questo permette di accordare il Cristianesimo con le libertà politico-civili e, al contempo, di relativizzare il modello medievale il quale si fonda sulla «non problematizzazione della fede stessa in quanto meritata. Presuppone cioè l’atto di adesione alla verità come già compiuto»[13]. Diversamente

il problema della spiritualità moderna si pone in questi termini: in che senso io posso aderire alla verità in quanto verità. Al problema della verità si sostituisce quello della forma di adesione alla verità; al problema dell’idea vera quello della persona vera. I cattolici spesso denunciano il carattere di crisi dell’età moderna iniziata con la scoperta dell’uomo nell’umanesimo e con la rottura dell’unità cristiana nella riforma. E indubbiamente l’età moderna ha, da un punto di vista cattolico, carattere di crisi, in quanto i suoi valori dovettero affermarsi in gran parte contro il cattolicesimo; ma fino a che ci limitiamo ai suoi caratteri che ho detto sopra, cioè alla sua problematica, non c’è traccia di crisi, si tratta di un approfondimento e aguzzamento in sé pregevoli dell’idea di verità. L’era moderna cioè non ha carattere anticattolico in quanto si limita a porre il problema del soggetto; ha questo carattere soltanto quando al soggetto come problema sostituisce il soggetto come soluzione; quando cioè afferma una metafisica soggettivistica e immanentistica, o stoicistica o storicistica contro la metafisica dell’oggetto; quando cioè si contrappone alla teologia cattolica in quanto teologia[14].

Il Del Noce del ’43 perviene in tal modo, seguendo Maritain, ad enucleare un senso positivo del moderno, fondato sul riconoscimento della libertà come forma della verità, alla cui luce il suo antifascismo morale può divenire politico e, al contempo, conciliarsi con la sua posizione religiosa. Separando il Cristianesimo dalla teologia politica del Sacrum Imperium, Del Noce ne dimostrava la pertinenza con l’ideale democratico correttamente inteso. Il Cristianesimo, per sua natura, rifiuta un metodo “coattivo” alla verità. In esso si ha una

giustificazione, e vorrei dire esaltazione del principio di libertà che sembra implicito nella teologia cattolica della grazia. Si consideri come per essa la libertà dell’uomo sia un valore così sacro che Dio stesso la rispetta sollecitandola senza forzarla […]. La stessa teologia cattolica della grazia sembra quindi mostrare una convenienza tra cattolicesimo e liberalismo[15].

Il passaggio dalla verità alla libertà è un passaggio richiesto dalla teologia della “grazia”, è Dio stesso che, nel Cristianesimo, richiede di essere riconosciuto liberamente e non coercitivamente. Il principio della libertà religiosa diviene, in tal modo, il principio di ogni altra libertà. Del Noce anticipa qui i risultati propri del Concilio Vaticano II. Ciò richiede una chiarificazione preliminare sull’essenza autentica della democrazia, la quale, nell’accezione delnociana, rappresenta un metodo di governo che si fonda sulla persuasione e sulla non violenza. Per questo

a) il valore ultimo a cui il regime democratico è ordinato non è il vantaggio materiale di nazione o di classe, ma l’idea di non violenza (o di persuasione); b) la politica democratica subordina la considerazione dei fini a quella dei metodi con cui essi possono venire realizzati: cioè il valore di ogni singola proposta è subordinato al valore del suo mezzo di realizzazione (è perciò che l’elite si propone e non si impone al consenso). La persona di cui si parla non è però l’idea astratta di persona, ma ogni singola persona. Per cui può dirsi caratteristica ideale della democrazia una concezione pluricentrica: cioè in un regime democratico ogni singolo deve potersi considerare anche come fine e nessuno come unico fine dell’intera vita sociale[16].

L’esperienza della Democrazia Cristiana Si tratta di una concezione “personalistica” della democrazia affermata dal partito della Democrazia Cristiana nel quale Del Noce, a partire dal 1944, si riconosce e collabora. Ciò che la distingue dalle altre forze politiche è una concezione dell’uomo definito non soltanto dal rapporto con la storia e la società ma anche dal legame con Dio. «È questa relazione con Dio che forma, insieme con la sua trascendenza alla storia, la sua libertà»[17]. A partire da qui Del Noce deduce la

attualità politica del Cristianesimo oggi nel suo rivendicare nell’uomo un principio spirituale indipendente dalla società. È qui, e non altrove, la ragione di un partito cristiano; come sola via per cui si potranno evitare i totalitarismi. La funzione liberale oggi spetta al cristianesimo[18].

Si tratta di una persuasione che rimane, in Del Noce, una costante. Ancora nel 1967 scriverà:

La democrazia è, certo, un fatto e un fatto irreversibile, come quello del progresso tecnico. Ma, apparentemente, sembra che essa contraddica al principio della giustizia politica, che ogni essere umano, in quanto partecipe del sacro, debba essere tenuto per fine dell’intero ordinamento sociale, dato che la democrazia è retta per sé dal principio della quantità, dunque della forza. La vera definizione della democrazia cristiana non deve essere cercata nell’idea, di origine chiaramente modernistica, che la democrazia sarebbe l’espressione sul piano politico del fermento evangelico, ma in quella secondo cui soltanto il principio religioso permetterebbe alla democrazia di non rovesciarsi in un potere oppressivo larvato o aperto[19].

L’apertura “religiosa” sblocca l’immanenza della politica, rende la democrazia “liberale”. È l’aggettivo che connota la “democraticità” del sostantivo. Una democrazia è liberale quando si fonda sul rispetto della singolarità della persona intesa come apertura alla trascendenza. Tale valenza religiosa della democrazia autentica non ha nulla a che fare con modelli teocratici, confessionali, integralisti. Questo

implica che non si possa essere oggi politicamente cristiani semplicemente rivendicando il diritto di essere tali o richiedendo la libertà di una confessione positiva o il permanere di certi istituti morali e giuridici; ma invece affermando la libertà spirituale di ogni individuo. Ciò importa pure in un partito cristiano la rigorosa non confessionalità: come difesa dei valori morali ed umani del cristianesimo (la realtà della persona), indipendentemente dall’inquadramento filosofico e teologico in cui si cerchi di essi la consapevolezza ultima. C’è un movimento di convergenza oggi di Cristianesimo e di liberalismo. Si è visto come la funzione liberale spetti oggi al cristianesimo […]. Ma i cristiani devono abbandonare il presupposto che l’affermazione dell’uomo cristiano coincida con quella del ritorno all’uomo medievale[20].

In questo abbandono prendeva forma la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, il grande statista cattolico del dopoguerra in Italia, nel quale Del Noce riconosceva il modello dell’incontro tra Cristianesimo e democrazia. Un modello che rifiutava, da un lato, l’idea del partito confessionale e, dall’altro, la teorizzazione della democrazia “pura”, deideologizzata, propria della tradizione anglosassone e del paradigma procedurale e “neutro” di Hans Kelsen. Se il primo terminava nell’autoritarismo il secondo si dimostrava, a fronte del processo di secolarizzazione che segnava l’Europa a partire dagli anni ’60, del tutto impotente di fronte alla mentalità positivista propria della “società opulenta”. Una società contrassegnata dalla “irreligione occidentale”, dal venir meno del “senso religioso”, che contrastava, ad un tempo, sia l’ateismo che la fede, il marxismo così come il Cristianesimo, e per la quale la democrazia, non più fondata sul modello personalistico, veniva a coincidere con la relativizzazione di ogni ideale. Per questo nel 1967, al Convegno organizzato dalla Democrazia Cristiana a Lucca, dichiarerà che la

unità politica dei cattolici è insieme dichiarazione della autonomia e della non confessionalità del partito, perché quel che ai cattolici oggi deve importare nella vita pubblica non è certo un loro potere, né il potere temporale della Chiesa e neppure, per quel che attiene alla politica e al partito, l’opera di apostolato, ma la preservazione di quella dimensione religiosa, connaturale allo spirito umano, su cui soltanto può fruttificare l’azione della grazia, e che è l’unica soluzione per la salvezza del mondo dalla catastrofe[21].

La peculiare teorizzazione del binomio “democrazia cristiana” portava così alla duplice esclusione tanto della versione confessionale quanto di quella secolare della politica. Una democrazia può vivere ed essere “liberale” solo se si alimenta di una concezione solidale e trascendente della persona. In tal modo, singolarmente, il binomio democrazia-religione può indicare tanto lo svuotamento, clericale e integralista, della prassi democratica, quanto, al contrario, la condizione di autenticità di una genuina democrazia, “aperta” e non intollerante, così come mostra la riflessione recente di Jürgen Habermas[22]. Merito di Del Noce è di aver affermato questa seconda direzione a fronte delle minacce del nuovo totalitarismo, rappresentato negli anni ’60, dall’ideologia della società opulenta, e, dopo il 1989, anno della morte dell’autore, da una globalizzazione la cui pseudo-universalità si è realizzata nella consumazione di ogni ideale.


[1] Cfr. Massimo Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, Marietti, Genova-Milano 2011. [2] Augusto Del Noce, L’umanesimo frainteso, «30 Giorni», 4, aprile 1986, 70-71. [3] Lettera di Del Noce a Bobbio, 4 gennaio 1989, in Dialogo sul male assoluto. Augusto Del Noce / Norberto Bobbio, «Micromega» 1 (1990), 232. [4] Augusto Del Noce, 6 dicembre 1943, diario del dicembre 1943, in Scritti politici 1930-1950, Rubbettino, Soveria Manelli 2001,181,183 (Indichiamo il testo con la sigla SP). [5] Ibi, 183. [6] Augusto Del Noce, Civiltà liberale e cattolicesimo, testo inedito del 1946, in SP, 457. [7] Augusto Del Noce, Posizioni del cattolico, diario del dicembre 1943, in SP, 186. [8] Ibid. [9] Jacques Maritain, Humanisme intégral. Problèmes temporels et spirituels d’une nouvelle chrétienté, Aubier, Paris 1936, tr. it., Umanesimo integrale, Borla, Bologna 1962, 204-205. [10] Cfr. Jacques Maritain, Religion et Culture, Desclée de Brouwer, Paris 1930, tr.it., Religione e cultura, Morcelliana, Brescia 1982, 32; Id., Umanesimo integrale, 180-181. [11] Augusto Del Noce, Posizioni del cattolico,186. Per la critica dell’idea di Sacrum Imperium in Maritain cfr. Umanesimo integrale, 143 ss. [12] Augusto Del Noce, Principi di politica cristiana, testo dattiloscritto del 1944-1945, in SP, 226. [13] Ibid. [14] Ibi, 227. [15] Augusto Del Noce, Civiltà liberale e cattolicesimo, 457, e Cattolici e liberali, dattiloscritto del 1946, in SP, 461. [16] Augusto Del Noce, Problemi della democrazia, «Il Popolo Nuovo», 10 novembre 1945, ora in SP, 95-96. [17] Augusto Del Noce, Cattolici e comunisti, dattiloscritto del 1944, 200. [18] Augusto Del Noce, Problemi della democrazia, 103. [19] Augusto Del Noce, La situazione spirituale contemporanea e il compito politico dei cattolici, in: Id, Il problema politico dei cattolici, UIPC, Roma 1967 (ora in I cattolici e il progressismo, Leonardo Editore, Milano 1994, 139-140). [20] Augusto Del Noce, Politicità del Cristianesimo oggi, «Costume» 1 (1946), ora in SP, 259-260. [21] Augusto Del Noce, La situazione spirituale contemporanea e il compito politico dei cattolici, 137. [22] Cfr. Massimo Borghesi, I presupposti non politici della democrazia: Böckenförde e Habermas, in AA.VV, La sostenibilità della democrazia nel XXI secolo, Il Mulino, Bologna 2009, 21-49.

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