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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:07

Autore: Jean BAUBEROT Titolo: L'intégrisme républicain contre la laïcité Editore: Ed. de l'Aube, 2006 Jean Baubérot è un grande specialista francese della laicità. La laicità francese standard rientra in un modello giacobino messo alle strette dal multiculturalismo multietnico e dalla globalizzazione. Il fallimento dell'integrazione delle minoranze ha indotto l'autore a scrivere questo libro impegnato; l'evoluzione del suo pensiero l'ha condotto a distaccarsi sempre di più dalla concezione standard: membro della commissione Stasi, egli è stato l'unico a non votare il divieto di portare il velo islamico. Vuole salvare la laicità riformandola, contro gli «integristi» e la sua critica prende di mira i «gruppi di pressione laica, la cui influenza è incalcolabile, che si collocano sempre in un'ottica di guerre di religioni civili» (p. 225). Sa di essere accusato «da brillanti filosofi e dai loro fratelli e sorelle che combattono la 'laicità aperta', la quale non sarebbe ai loro occhi che un clericalismo mascherato» (p.…7). L'autore riprende, è vero, alcuni temi della polemica cattolica anti-laicista. Non è solo il clero ad essere clericale (p. 270), lo sono anche insegnanti o giornalisti laicisti ottusi. Cita Clemenceau che nel 1903 fustigava «il concilio di pedanti incaricati di fornire la formula infallibile del giorno» (p. 218). Sostiene che «più che di contenuti l'integrismo è fatto di forme», è lo spirito di corpo, di setta e di partito. Delle quattro parti del libro, la prima è di attualità. Sostiene in quattro capitoli - sulla donna, le antiche colonie, la situazione dell'Islam e i problemi delle sette - che la laicità standard è divenuta un fattore antidemocratico di ineguaglianza e di disintegrazione sociale. La seconda parte è più storica. L'autore si sforza di riagganciare la sua posizione attuale alla tradizione laica, attraverso una interpretazione della legge del 1905 di separazione tra Chiesa e Stato. La terza parte è una filosofia della laicità, che gli permette di fondare le sue proposte, oggetto della quarta parte. L'insieme, molto ricco, molto onesto, talvolta candido, si sottrae ad ogni tentativo di riassunto. L'autore richiama, molto a proposito (p. 213), l'ultimo capitolo del Contratto sociale, sulla religione civile, perorazione in favore della tolleranza, appello alla proscrizione della Chiesa romana, elogio sostenuto di Machiavelli e di Maometto (il cui merito fu, secondo Rousseau, di non aver separato il temporale dallo spirituale). La Sovranità, istituire la quale costituisce l'oggetto del patto sociale, è indivisibile: in questo risiede infatti la condizione della Libertà; il giacobinismo è al tempo stesso temporale e spirituale. Il contratto sociale, "sacrosanto", costituisce il fondo della laicità "integrista" e della religione civile. Tutto questo sembra all'autore sempre più incongruo. «La laicità del XXI secolo deve imparare ad articolare diversità culturale e unità del vincolo politico e sociale». L'autore pensa a un contratto sociale non giacobino. Il gusto attuale per la vita privata e comunitaria lo invita a immaginare un patto sociale tra individui maggiormente definito in riferimento a comunità. Il riconoscimento della differenza «permette il riconoscimento dell'universale grazie al quale siamo simili» (p. 128). Ma cos'è questo universale? Senza dubbio ancora un soggetto trascendentale, ma che l'autore non designa come fondamento di una religiosità filosofica. L'influenza di Habermas e di Popper complica le concezioni dell'autore, che non precisa il suo pensiero. Peraltro, questa "laicità inclusiva" «ha la pretesa di essere socialmente egemonica, cioè di formare il vincolo sociale e di rifiutare questo ruolo alle religioni - che possono costituire un vincolo collettivo volontario e libero». Egli lo giustifica dicendo che, senza di ciò, «la fede non sarebbe più una scelta personale volontaria e libera». Aggiunge che «la laicità può avere questa pretesa nella misura in cui non è un corpus di dottrine, una religione civile, o persino una anti-religione» (p.…9). La pars construens del libro è (forzatamente?) sottile, tecnica, poco comprensibile al cittadino comune. Bisognerebbe forse giustificare il rifiuto di una posizione di indifferentismo puramente relativista, e dare corpo a una proposta etica più sostanziosa (cos'è che costituisce il valore della mutua comprensione e del senso del bene comune?).

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