Quale rapporto fra Islam e modernità?

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:33

Redissi.jpgRecensione di Hamadi Redissi, La tragédie de l’Islam moderne, Seuil, Paris 2011.

Alle tante parole che, con sfumature diverse, ricorrono nei titoli dei libri per descrivere il rapporto tra Islam e modernità (riforma, appello, scontro, imbarazzo), Hamadi Redissi aggiunge col suo ultimo volume la figura amara della tragedia. E non solo per evocare attraverso un’immagine pungente una relazione tormentata, ma perché la vicenda dell’Islam moderno va letta secondo lui proprio come «la mimesi di un’azione seria e compiuta in se stessa, […] la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo», secondo la celebre definizione di Aristotele. La rappresentazione di Redissi inizia con la crisi della cultura (definita con Habermas una “totalità disunita”) e finisce con la «discesa agli inferi» dell’11 settembre, raccontata attraverso il “manuale spirituale” degli attentatori ritrovato tra i loro effetti personali. Tra questi due atti l’autore tunisino mette in scena le altre grandi antinomie della modernità islamica: la scissione tra il “miraggio del divenire occidentale” e l’impossibile utopia del ritorno al passato; la sacralizzazione sempre più totalizzante di ogni aspetto della vita; il paradosso di una religione senza Chiesa eppure refrattaria alla separazione dalla politica; la democrazia amputata del liberalismo; l’alternativa tra “sharî‘a dura” e “sharî‘a molle” e la loro difficile convivenza con la legge positiva; la questione della donna, sempre diversa eppure sempre così uguale a se stessa. Al centro delle tante questioni sta l’unico nodo di tutta la tragedia: «l’assenza di un’autorità arbitrale capace di discernere nelle molteplicità, tra la tradizione multipla e la modernità proteiforme» (p. 17).

Lungo questa traiettoria Redissi non manca di sfatare sin dalla prime righe tanti luoghi comuni: «L’islam è nello sconcerto perché ha perso la sua identità rigida e non perché l’ha conservata. La sua tradizione è frammentata. […] L’islam ha ormai molti volti perché non ne ha più uno suo» (p. 11). Inoltre, a differenza di altri pensatori variamente definiti “musulmani liberali”, “nuovi pensatori”, “musulmani progressisti” l’autore de La tragédie de l’Islam moderne rinuncia al dualismo tra un “Islam buono” (quello moderno e illuminista) e un “Islam cattivo” (quello fondamentalista). Questo non significa che per lui tutto si equivalga, né che certe derive radicali possano trovare una giustificazione di qualche tipo. Così, parlando dell’attentato alle torri gemelle, Redissi mette in guardia, sulla scia di Aristotele, dalla tentazione di far passare i cattivi dall’infelicità alla felicità, «suscitando un senso immeritato di umanità. Occorre piuttosto che lo spettatore provi indignazione».

Significa piuttosto che il travaglio irrisolto dell’Islam non risparmia nessuno, neanche i mostri sacri e le presunte conquiste della “rinascita” di fine XIX-inizio XX secolo. Jamâl al-Dîn al-Afghânî è definito uno dei «padri spirituali del fondamentalismo attuale» (p. 50); i tentativi di dimostrare che «i valori moderni “buoni” sono già islamici» (p. 49) sono considerati piccole astuzie di un Islam «ventriloquo»; l’ijtihâd (uno dei mantra dei partigiani della riforma islamica), è inservibile perché, diventato «una libera interpretazione, accessibile a tutti, in ogni ambito» (p. 164), è oramai solo un «ritornello» invocato da tutti, “progressisti” e “reazionari”.

Come è possibile uscire dalle tante impasse in cui l’Islam pare costretto? Redissi risponde nell’epilogo, proponendo la via della «doppia critica», che da una parte si concepisce come «solidale con la modernità occidentale, pur sottoscrivendo le critiche interne che deplorano che essa non abbia mantenuto tutte le sue promesse», e dall’altra «desolidarizza da una modernità islamica “à la carte” e della tradizione assume solo gli aspetti luminosi» (p. 165). L’implicazione pratica di questa posizione, «la condivisione del mondo con gli altri» (Arendt), merita attenzione. Ma l’effetto catartico non pare all’altezza dell’acume e della raffinatezza della trama. Basterà una doppia critica a «sollevare l’animo» dei musulmani?

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Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Michele Brignone, La doppia critica per salvare l’Islam moderno, «Oasis», anno IX, n. 17, giugno 2013, pp. 119.

 

Riferimento al formato digitale:

Michele Brignone, La doppia critica per salvare l’Islam moderno, «Oasis» [online], pubblicato il 1 giugno 2013, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/la-doppia-critica-per-salvare-l-islam-moderno.

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