Stranieri alle porte. Nel 2004 Zygmunt Bauman aveva messo a punto il paradigma delle “vite di scarto”

Questo articolo è pubblicato in Oasis 24. Leggi il sommario

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:02

Copertina Bauman stranieri alle porte recensione Zaccuri.jpg

Recensione di Zygmunt Bauman, Stranieri alle porte, Laterza, Bari-Roma 2016 (ed. or. Strangers at Our Door, Polity, Cambridge 2016)

Una dozzina di anni fa, nel 2004, Zygmunt Bauman aveva messo a punto il paradigma delle “vite di scarto”: esistenze in apparenza prive di qualsiasi potere, poste come sono ai margini del sistema economico-sociale, ma sempre passibili di rappresentare un utile tutt’altro che disprezzabile per chi, sufficientemente abile e spregiudicato, sappia coglierne il latente valore di scambio. È questa la prospettiva da tenere presente per apprezzare il ragionamento che ora Bauman affida alle pagine di Stranieri alle porte, un saggio nel quale non è difficile cogliere l’eco di altri precedenti contributi del grande sociologo di origine polacca, lungo l’asse che lo ha portato alla rilettura e alla risemantizzazione di termini quali “paura”, “barbaro” e “diseguaglianza”.

Zygmunt Bauman è scomparso il 9 gennaio 2017. Per quanto tempestivamente pubblicato e tradotto, Stranieri alle porte evoca a tratti le alternative insite in un passato che, pur essendo prossimo, risulta ormai indisponibile. Bauman scrive tra la fine del 2015 e le prime settimane del 2016, quando l’ipotesi della Brexit sembra ben lontana dall’essere ratificata dal voto referendario e la corsa di Bernie Sanders per la nomination democratica evoca sulla scena delle presidenziali americane lo scomodo fantasma dell’anticapitalismo compassionevole. Non è andata così, lo sappiamo, ma è proprio il trionfo dei populismi protezionistico-esclusivisti (tra i fenomeni non censiti da Bauman figurano, per esempio, la retorica elvetico-ticinese del “Prima i nostri” e l’ulteriore involuzione dei provvedimenti ungheresi sui richiedenti asilo) a rendere ancora più attuale l’allarme di cui il libro si fa portatore.

Chi trae vantaggio dal panico morale suscitato dai flussi migratori diretti verso l’Europa? Bauman parte da questa semplice domanda, non accontentandosi però di risposte altrettanto semplici. Il dispositivo da scardinare, infatti, non è soltanto di natura politica, per quanto l’attesa dell’«uomo forte» – magari nella versione cotonata alla Donald Trump – sia una costante ben riconoscibile nel dibattito di questi mesi. La delega alle maniere spicce del respingimento e dell’esclusione non sarebbe possibile se a compierla non fossero soggetti altrimenti lasciati in preda alla loro solitudine di cittadini globali, individui ormai incapaci di elaborare un progetto comune al di fuori di quelli che poggiano sulle ragioni meschine del risentimento e dell’opportunità a breve termine.

Come sempre, il discorso di Bauman alterna il rimando alle più recenti acquisizioni culturali (l’analisi dell’homo sacer compiuta da Giorgio Agamben oppure il funzionamento della “società della prestazione” descritto da Byung-Chul Han) con il richiamo ai classici. Di particolare importanza, nel caso specifico, è la ripresa delle tesi espresse da Immanuel Kant nel progetto filosofico Per la pace perpetua (1795), dove l’ospitalità è indicata non come esito di una concessione filantropica, ma come diritto di visita, ossia l’inalienabile «diritto di uno straniero di non essere trattato ostilmente quando arriva sul suolo di un altro». Si tratta di un principio universale che, in quanto tale, non va soggetto a revisione. Allo stesso modo, le ondate di insofferenza e di odio che accompagnano le migrazioni di inizio millennio non costituiscono di per sé una novità, ma vanno inserite in un quadro antropologico più ampio, nel quale giocano un ruolo rilevante le trasformazioni indotte dalla rivoluzione digitale. La logica binaria dei “noi e loro” rischia di diventare ancora più implacabile se ad aderirvi sono persone abituate al pendolarismo tra online e offline. Il vero rimedio, suggerisce Bauman, è il recupero della complessità come capacità di non dare nulla per scontato, come volontà di costruire orizzonti comunitari concreti e, più che altro, come disponibilità a porre il dialogo con l’altro alla base di ogni tentativo di comprensione della realtà.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Alessandro Zaccuri, Migrazioni, gli speculatori del panico morale, «Oasis», anno XII, n. 24, novembre 2016, pp. 130-131.

 

Riferimento al formato digitale:

Alessandro Zaccuri, Migrazioni, gli speculatori del panico morale, «Oasis» [online], pubblicato il 22 novembre 2016, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/migrazioni-gli-speculatori-del-panico-morale.

Tags