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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:48:41

La dottrina della dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa è in contraddizione con il magistero pontificio precedente? Oppure si deve parlare di continuità? Ma, in questo caso, parlare di continuità significa negare la presenza di una reale novità nell’insegnamento ecclesiale? Per rispondere a queste domande, che in modo succinto riassumono i dibattiti in merito alla dichiarazione sulla libertà religiosa del Vaticano II, è necessario individuare quale sia il contenuto preciso dell’insegnamento conciliare. Il volume di Gerardo del Pozo Abejón, cattedratico presso la Facultad de Teología San Dámaso di Madrid, costituisce uno studio accurato e in grado di offrire una risposta precisa agli interrogativi posti. Il saggio è diviso in quattro capitoli. Nel primo – dal titolo “La questione storica della Dignitatis humanae”– l’autore presenta una descrizione della situazione storica, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, che ha accompagnato la redazione-approvazione della dichiarazione conciliare e la sua recezione nell’immediato post-Concilio. Caratteristica della riflessione dell’autore è la sua insistenza sull’importanza delle condizioni storiche che conducono la Chiesa, guidata dallo Spirito, a un approfondimento della propria fede e delle sue conseguenze nell’ambito dell’organizzazione sociale. Attraverso le discussioni tra la Commissione Teologica del Concilio (Ottaviani) e il Segretariato per l’Unità dei Cristiani (Bea), gli influssi delle proposte statunitensi e le successive redazioni del documento, si arrivò al testo definitivo approvato il 7 dicembre 1965. I Padri conciliari, tuttavia, furono consapevoli che due questioni dovevano essere ulteriormente approfondite: «mostrare la continuità con il magistero precedente e fondare la libertà religiosa su una teologia della libertà cristiana». La seconda parte del capitolo affronta la movimentata recezione della Dignitatis humanae nel post-Concilio. Due tendenze si sono succedute nell’interpretazione della dichiarazione conciliare. Per alcuni essa costituisce una scelta di discontinuità con il magistero precedente. Per altri, invece, ci troviamo dinanzi a uno sviluppo omogeneo, più o meno riuscito, della dottrina. Questa seconda linea di interpretazione è sostanzialmente condivisa da Del Pozo, anche se nel suo saggio egli introduce una precisazione decisiva: sviluppo omogeneo non significa semplicemente che la dottrina conciliare sulla libertà religiosa sia l’ampliamento e l’applicazione della dottrina tradizionale sulla tolleranza; occorre riconoscere un vero e proprio progresso nell’accoglienza della Rivelazione che la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha compiuto nelle precise condizioni storiche che si è trovata a vivere. Il capitolo secondo ha come titolo “I Papi condannano il sistema di libertà di coscienza e di culti conseguente alla Dichiarazione Francese del 1789”. Il percorso inizia con una presentazione della Dichiarazione Francese del 1789, con particolare attenzione alle sue fonti ideologiche e alla Costituzione Civile del Clero. La condanna di Pio VI colpì la concezione di libertà morale assoluta così come proposta dalla Dichiarazione Francese. Successivamente Gregorio XVI condannerà con l’enciclica Mirari vos la libertà assoluta di coscienza in materia religiosa in quanto fondata nell’indifferentismo. Il terzo passo di questo cammino ottocentesco ha come protagonista Pio IX e i celeberrimi documenti Quanta cura e Syllabus, coi quali il Pontefice condannò la libertà di coscienza e di culti conseguenza del naturalismo politico e filosofico. L’autore conclude la sua esposizione affermando che «Pio VI, Gregorio XVI e Pio IX si opposero al laicismo, alla proclamazione dell’autonomia dell’individuo e della società nei confronti di Dio e della Sua Chiesa. Ma non negarono la libertà che l’uomo deve godere nei confronti dello Stato per cercare la verità» (p. 133). Per questo le condanne pontificie non colpiscono la libertà religiosa così come essa è insegnata dalla dichiarazione Dignitatis humanae. “I Papi difendono i diritti fondamentali dell’uomo” è il titolo del terzo capitolo e seconda tappa dello sviluppo della dottrina in merito alla libertà religiosa. Sono così passati in rassegna gli insegnamenti di Leone XIII, di Pio XI, di Pio XII e di Giovanni XXIII. Il Pontefice della Rerum novarum si muove nei confronti dei suoi predecessori in continuità e progresso: «Continuità, perché continua a condannare l’indifferentismo teorico sia a livello individuale che sociale, l’autorizzazione positiva da parte della legge di tale indifferentismo, e la conseguente libertà senza limiti. Progresso, perché distingue – e così evita la confusione – tra libertà di coscienza fondata sull’indifferentismo e vera libertà di coscienza nei confronti dello Stato per poter seguire, in coscienza, la volontà di Dio e compiere i suoi comandamenti senza alcun ostacolo». Fu in particolare la tragedia dei totalitarismi a condurre Pio XI a una strenua e sistematica difesa della dignità-libertà e dei diritti della persona umana e all’apertura oggettiva della strada verso l’affermazione del diritto alla libertà religiosa. Questi temi furono poi ripresi da Pio XII nel discorso Ci riesce del 1953, mentre l’apporto di Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris consistette nell’insistenza sul diritto dell’uomo a poter venerare Iddio secondo la sua retta coscienza. Il quarto e ultimo capitolo del saggio – “La Chiesa dichiara nel Vaticano II il diritto universale alla libertà religiosa civile” – affronta lo studio dell’insegnamento sulla libertà religiosa di Dignitatis humanae. Del Pozo inizia la sua esposizione con un lungo e preciso riferimento all’insegnamento della costituzione pastorale Gaudium et spes, che offrì a Dignitatis humanae due coordinate fondamentali: il riconoscimento della dignità e della libertà della persona umana come segno dei tempi approfondito in chiave cristologica e la nuova comprensione dei rapporti tra la Chiesa e la comunità politica. Quali sono le novità fondamentali dell’insegnamento conciliare? L’autore ne identifica due: «La prima e principale novità: la dichiarazione che ogni uomo ha diritto alla libertà religiosa […]. La seconda novità è la spiegazione degli elementi essenziali della libertà appena dichiarata. In essa sono descritti i soggetti attivo (la persona umana) e passivo (singole persone, gruppi e potere politico), il fondamento (la dignità della persona umana), la natura (diritto naturale/fondamentale che deve essere riconosciuto civilmente), l’oggetto (l’immunità di costrizione esterna per agire socialmente in coscienza in materia religiosa) ed i limiti nell’estensione dell’oggetto (nei limiti dovuti, il giusto ordine pubblico)». Del Pozo sottolinea ripetutamente che, parlando di libertà religiosa, il Concilio non si riferisce a una libertà morale nei confronti della verità, ma a una libertà giuridica nell’ambito dei rapporti tra le persone e nella vita sociale. Si tratta, inoltre, di un diritto negativo che implica l’immunità di costrizione in un doppio senso: l’uomo ha diritto a non essere costretto ad agire contro la sua coscienza e a non essere impedito, nei limiti dovuti, ad agire in conformità con essa. Il capitolo si chiude con un abbozzo sull’apporto del magistero di Giovanni Paolo II, strenuo difensore della dignità della persona umana e, nel contempo, dei doveri della coscienza nei confronti della verità e del bene. Il presente saggio offre al lettore un quadro simultaneamente dettagliato e sintetico dell’insegnamento ecclesiale sulla libertà religiosa. È particolarmente illuminante l’insistenza dell’autore sul carattere giuridico e negativo di questa libertà. Non solo perché delimita adeguatamente il campo nei confronti di una concezione assoluta e illimitata della libertà morale, mostrando in questo modo la continuità con la dottrina tradizionale, ma anche perché mostra con chiarezza il peso antropologico della sua dimensione sociale.  

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