Un’analisi dei rapporti fra Fratelli Musulmani e Ufficiali Liberi, in costante tensione fra ideologia e pragmatismo

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:58:33

Recensione di Fawaz A. Gerges, Making the Arab World. Nasser, Qutb and the Clash that Shaped the Middle East, Princeton University Press, Princeton & Oxford 2018

 

 

La dialettica fra nazionalismo arabo e islamismo, che ha in Gamal ‘Abd al-Nasser e Sayyid Qutb i due massimi rappresentanti, è considerata un fattore fondante della politica postcoloniale egiziana e di tutto il mondo arabo. Nel suo Making the Arab World, Fawaz Gerges supera però la tradizionale visione binaria, secondo cui i due movimenti sarebbero ideologicamente incompatibili e storicamente contrapposti. Lo scopo dell’autore è infatti ricostruire l’incontro complesso fra movimenti e personalità che ha caratterizzato la politica egiziana dagli anni ’50 fino all’illusorio trionfo dei Fratelli Musulmani nel post-Primavera Araba. Gerges adotta quindi un approccio storico-sociologico, arricchito da un metodo etnografico che riattualizza il passato grazie alle interviste con compagni di Nasser, discepoli di Qutb e figure meno schierate politicamente. Ma l’autore va oltre, delineando una parabola che parte addirittura dalla spedizione napoleonica del 1798 e dal successivo dibattito sulla modernità per culminare con l’affermazione dell’Islam politico nel biennio 2011-2013 e con la successiva repressione di al-Sisi.

 

Gerges nota come la rivolta di Urabi Pascià (1879-1882), l’insurrezione di Kamil (1900-1906) e la rivoluzione di Zaghloul (1919-1922) fossero sintomatiche di un malessere verso il dominio britannico. L’avvento del partito Wafd aveva poi inaugurato l’Era Liberale egiziana, presto però tradita dai suoi stessi iniziatori. La ricerca egoistica del potere, i tentativi di affermare un controllo esteso sulle infrastrutture statali, l’assenza di riforme agrarie, la marginalizzazione della classe media urbana (effendiyya) e dei lavoratori (‘ummal) e l’espulsione di alcune figure chiave «hanno minato alla base il momento costituzionale egiziano» (p. 54). L’inevitabile conseguenza è stata quindi un generale scoramento nei confronti del Palazzo e del Wafd e di conseguenza l’emergere di una politica sotterranea, plasmata da due fattori principali: la comparsa di un discorso islamico radicale e la nascita della questione palestinese.

 

Ed è da queste due dimensioni che hanno tratto ispirazione e vigore i due protagonisti del testo di Gerges: gli Ikhwan, i Fratelli Musulmani, e alcuni ufficiali dell’esercito, conosciuti come Ufficiali Liberi. Inizialmente i due gruppi non erano affatto in conflitto. Gerges parla a tal proposito di “collusione” (p. 71) fra gli Ikhwan e Nasser, che in realtà era un membro dei Fratelli. Essi condividevano «il ruolo riconosciuto allo Stato, l’idea di nazione e ‘umma, un’agenda votata allo sviluppo, una certa autonomia politica […] e una base sociale trasversale» (p. 71). Nonostante le differenze, la Fratellanza e gli Ufficiali erano infatti in prima fila contro la monarchia. Il sodalizio, però, avrebbe avuto vita breve, come l’autore mette in evidenza nei capitoli centrali dell’opera.

 

Il colpo di stato messo in atto dagli Ufficiali Liberi il 23 luglio1952 ha rivelato infatti tutte le contraddizioni della relazione fra Ikhwan e militari, oltre che le tensioni interne ai due gruppi. Per quanto riguarda gli Ufficiali Liberi, problematica è la relazione fra Muhammad Naguib, primo Presidente e inizialmente a capo del Consiglio del Comando della Rivoluzione (CCR) egiziano, e Gamal ‘Abd al Naṣser, che ottenne la carica di Primo Ministro nell’aprile del 1954, mettendo Naguib agli arresti domiciliari. Anche in questo caso l’autore tende a sottolineare come la narrazione che vede contrapposti un democratico Naguib e un autoritario Nasser sia semplicistica e trascuri alcuni elementi, come lo smantellamento di un sistema multi-partitico, la censura imposta nell’agosto 1952 e la creazione di Hay’at al-Tahrir, un comparto dedito alla propaganda pro-regime. Parallelamente, una faglia si apriva anche negli Ikhwan. Protagonisti erano Ḥasan Isma‘il al-Hudaybi, il murshid (“guida suprema”) dei Fratelli Musulmani e Abd al-Rahman al-Sanadi, leader di al-Nizam al-Khass (“Apparato Segreto”), l’ala militare degli Ikhwan. Mentre Hudaybi si era avvicinato a Naguib, Sanadi aveva optato per Nasser, che aveva a sua volta fatto pressioni sulla guida di al-Nizam per rovesciare il leader dell’ala politica. Nello scontro sarà però Huḍaybi ad avere la meglio, riuscendo a nominare uomini di fiducia (come Sayed Fayaz e Yusuf Tal’at) a guida dell’Apparato Segreto.

 

Di maggior portata è però la breccia creatasi fra Ufficiali Liberi e Fratelli Musulmani dopo il golpe, e in particolare fra i leader di ciascun schieramento: Nasser per i militari e Hudaybi per i Fratelli. Mentre il primo sottolineava il ruolo secondario giocato dagli islamisti nel colpo di stato per giustificare la loro marginalizzazione nel processo di ricostruzione statale, il secondo si appellava al voto di fedeltà (bay’a) pronunciato da Nasser nei confronti di al-Banna per evidenziare il tradimento subito dalla Fratellanza. Il confronto raggiungeva però un picco il 26 ottobre 1954. L’evento è passato alla storia come “L’incidente di al-Manshiya”, quando Mahmud Abdel Latif, un membro dei Fratelli, cercò di assassinare il “Leone del Mondo Arabo”. Dopo tre giorni, Nasser dichiarò guerra agli Ikhwan, con l’obiettivo di «spezzare le reni alla più potente organizzazione islamista in Egitto e nel mondo musulmano» (p. 120).

 

Purghe, repressioni, imprigionamenti, torture e condanne a morte hanno però contribuito solo a radicalizzare e militarizzare la contrapposizione: è la nascita del qutbismo, la versione radicale dell’islamismo ikhwani elaborata da Sayyid Qutb, e dello scontro con l’operato ideologico e al contempo pragmatico di Nasser. Il nazionalismo arabo è infatti stato concepito non solo come «progetto politico» (p. 187), ma anche come «il prodotto di calcoli realistici influenzati dalle circostanze» (p. 188). La contrapposizione sussisterebbe però solo se vi fosse «una distinzione precisa nel pensiero e nell’azione di Nasser, che in realtà non esiste» (p. 309). L’indipendenza egiziana necessitava di un’ideologia che fosse al contempo collante sociale per la popolazione e legittimazione per l’accumulo di potere da parte della classe dominante. Il panarabismo diventava così la migliore delle opzioni per cementare il controllo nasseriano sulle istituzioni, anche se, come sottolinea Khaled Mohieddin, un compagno di Nasser: «Nasser era ideologicamente neutro» (p. 207).

 

Di conseguenza, la repressione ai danni dei Fratelli Musulmani non è riconducibile a un’incompatibilità ideologica, ma piuttosto allo scontro tra interessi confliggenti. Nasser infatti si era prodigato nell’attivare una strategia di «ingaggio positivo» (p. 194) con le istituzioni religiose e con alcuni membri dei Fratelli Musulmani, tra cui sorprendentemente anche Sayyid Qutb. Il “martire vivente”, come verrà ribattezzato dai suoi discepoli, aveva infatti inizialmente appoggiato il governo degli Ufficiali Liberi, benedicendo la rivoluzione, sostenendo l’uso della violenza e accettando lo smantellamento dei partiti. Qutb, inoltre, non considerava questa posizione inconciliabile con quella degli Ikhwan: entrambi «difendevano l’ordine rivoluzionario (…) e il nazionalismo arabo era una fase auspicabile per facilitare il passaggio al consolidamento della sovranità di Dio» (pp. 229-230).

 

Alla luce di queste considerazioni, l’autore si è interrogato su cosa abbia spinto Qutb a rigettare il progetto nazionalista, abbracciando il programma dei Fratelli Musulmani nel marzo 1953. Alla base di questo riposizionamento si troverebbero tre fattori. Il primo, che secondo Gerges è quello meno rilevante, è di natura ideologica: gli Ikhwan e Qutb vedrebbero l’Islam come progetto socio-politico alternativo al nazionalismo. Un secondo fattore è di carattere contestuale: la presenza britannica sul suolo egiziano, l’avvicinamento degli Ufficiali Liberi allo schieramento statunitense (i legami con l’URSS si rafforzeranno solo nel 1955), la crescita della letteratura filo-islamica e il riconoscimento del ruolo funzionale della religione (in senso durkheimiano) nella società avrebbero avvicinato Qutb ai Fratelli Musulmani. Infine, il terzo e più importante aspetto riguarderebbe le vicende personali di Qutb. L’ideologo islamista si era infatti avvicinato agli Ufficiali Liberi a causa del mancato riconoscimento del valore di critico letterario da parte del suo mentore Abbas Mahmud al-Aqqad. Allo stesso modo il fatto di non essere stato nominato da Nasser ministro dell’educazione causò un risentimento tale da farlo aderire alla principale forza antagonista degli Ufficiali Liberi. Come nota Gerges, infatti, il suo cambiamento «sembra essere motivato da interessi personali» (p. 231). A ciò si aggiunga anche un viaggio negli Stati Uniti, da cui ritornerà profondamente disilluso a causa del materialismo che ha osservato nella società americana, a cui fa da contro-modello, negli occhi di Qutb, la spiritualità islamica.

 

Ma il vero momento di svolta per Qutb e l’intera Fratellanza è l’ondata di arresti a seguito del tentativo di omicidio di Nasser nel 1954. Se da un lato i leader islamisti della prima generazione hanno adottato un approccio quietista focalizzato sulla sopravvivenza dell’organizzazione, dall’altra i membri attivisti e militanti, soprattutto giovani, hanno assunto un atteggiamento più aggressivo. Grazie al ruolo pratico e al riferimento ideologico fornito da Qutb, si formò un’organizzazione paramilitare segreta affiliata agli Ikhwan, nota come al-Tanzim al-Sirri, fondata sulla dottrina islamica (‘aqida) e orientata a detronizzare Nasser per poi istituire una società pienamente islamica. Il gruppo, scoperto e smantellato nel 1965, contribuirà in maniera decisiva a motivare la condanna a morte di Qutb nel 1966.

 

Il confronto fra establishment statale e islamisti era però lontano da una risoluzione. Se con Sadat si è assistito a un riorientamento delle politiche riguardanti i Fratelli Musulmani, sfruttati in funzione anti-nasserista, l’era di Mubarak è stata invece più ambigua: maggiormente liberale negli anni ’80 e repressiva negli anni ’90, caratterizzata però sempre da una strategia di frammentazione delle opposizioni (Fratelli, ulema, laici…) al fine di esercitare su di esse un controllo più efficace.

 

È infine il trionfo elettorale nel post-Primavera Araba a cogliere i Fratelli musulmani impreparati e lacerati circa la natura del gruppo, in tensione fra partito e movimento. A ciò si deve aggiungere l’atteggiamento profondamente repressivo del Generale al-Sisi, che va di pari passo con un debito che il nuovo dominus della politica egiziana ha verso certi gruppi salafiti in prima linea contro il presidente Morsi. Il golpe di al-Sisi è dunque solo l’ennesima riproposizione dello scontro pragmatico iniziato fra gli Ikhwan di Hudaybi e gli Ufficiali di Nasser, radicalizzato da Qutb e sfociato nell’infinito conflitto in campo ideologico fra islamismo e nazionalismo panarabo.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis.

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