Stati Uniti/ Di fronte al ripetersi in tutto il mondo di atti di persecuzione, la storia della fondazione degli Stati Uniti e la loro esperienza nell’ambito della promozione della libertà religiosa si propone come un patrimonio per tutti.  Un bene che chiede di essere difeso da chi sembra metterla a rischio.  

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:39

Un amico una volta disse, in modo molto acuto, che se gli abitanti degli altri Paesi vogliono capire gli Stati Uniti devono leggere due documenti. Non si tratta né della Dichiarazione d’Indipendenza né della Costituzione degli Stati Uniti. Nessuno dei due ha apparentemente a che fare con la politica. Il primo testo è The Pilgrim’s Progress di John Bunyan; il secondo è The Celestial Railroad di Nathaniel Hawthorne. Il libro di Bunyan, pubblicato nel 1678, è una delle grandi allegorie religiose della storia, ed è anche profondamente cristiano. Incarna la sete di Dio protestante e puritana che ha animato i primi coloni dell’America e ha formato le radici del Paese. Il racconto breve di Hawthorne, pubblicato nel 1843, è un pezzo molto diverso. È una delle grandi satire della letteratura americana. Egli stesso discendente di puritani, Hawthorne prende l’allegoria di Bunyan – il difficile viaggio dell’uomo verso il paradiso – e la ripropone attraverso la lente dell’ipocrisia americana: la nostra fame di comfort, di risposte facili, di successo materiale e la falsa pietà religiosa. Bunyan e Hawthorne hanno vissuto in continenti diversi a 200 anni di distanza. Ma i due uomini avevano in comune una cosa: entrambi – il credente e lo scettico – hanno vissuto in un mondo profondamente plasmato dal pensiero, dalla fede e dal linguaggio cristiani; il medesimo spazio morale che ha fatto crescere gli Stati Uniti. Tutto ciò ha implicazioni profonde e per questo è bene che io aggiunga una premessa: come americano, amo il mio Paese. Come cristiano, credo fermamente negli insegnamenti della fede cattolica e del Vangelo di Gesù Cristo. Ma non credo che le mie convinzioni precludano un dialogo di buona volontà con persone appartenenti ad altre tradizioni religiose e le mie parole, qui, sono proposte in uno spirito di amicizia sincera. Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011 Papa Benedetto XVI ha espresso la sua preoccupazione per la diffusione planetaria di persecuzione e discriminazione, per i terribili atti di violenza e intolleranza religiosa[1]. Ci troviamo ad affrontare una crisi globale della libertà religiosa. In qualità di Vescovo cattolico sono naturalmente preoccupato per la discriminazione e la violenza di cui le minoranze cristiane si trovano a sopportare il peso. Benedetto XVI lo ha rilevato nelle sue osservazioni. Ma i cristiani non sono le uniche vittime. I dati del Pew Forum on Religion and Public Life fanno riflettere. Più del 70% della popolazione mondiale vive in nazioni – molte delle quali purtroppo a maggioranza musulmana, ma anche Cina e Corea del Nord – dove la libertà religiosa è gravemente limitata[2]. Principi che gli americani trovano auto-evidenti – la dignità della persona umana, l’inviolabilità della coscienza, la separazione dell’autorità politica da quella sacrale, la distinzione tra il diritto secolare e quello religioso, l’idea di una società civile preesistente allo Stato e distinta da esso – altrove non sono ampiamente condivisi. Come disse una volta Leszek Kolakowski, ciò che sembrava auto-evidente ai Padri fondatori americani «potrebbe sembrare palesemente falso o privo di senso e superstizioso per la maggior parte dei grandi uomini che continuano a plasmare l’immaginazione politica [del mondo]»[3]. Dobbiamo domandarci perché questo accade. Dobbiamo anche domandarci perché noi americani sembriamo essere così compiaciuti delle nostre libertà. In realtà, nulla garantisce che l’esperienza americana relativa alla libertà religiosa così come tradizionalmente la conosciamo, prima ancora di poter servire come un modello per altri Paesi, possa sopravvivere negli stessi Stati Uniti. La Costituzione degli Stati Uniti è un grande risultato per quanto riguarda le disposizioni sulla libertà. Ma resterà solo un pezzo di carta se i cittadini non la tengono viva con le loro convinzioni e la loro testimonianza vissuta. Eppure nelle istituzioni, nei media, nel mondo accademico, nel mondo degli affari e, più in generale, nella cultura americana, sembra che molti dei nostri leader non guardino più alla fede religiosa come a un fattore sociale sano e positivo. È una triste tendenza visibile nell’ambivalenza della Casa Bianca di Obama verso le violazioni diffuse della libertà religiosa nel mondo, nell’inadeguatezza e nel disinteresse con cui i nostri media riportano questioni relative alla libertà religiosa, e molto spesso nell’indifferenza di molti cittadini americani comuni. Alla luce di quanto detto vorrei condividere quattro punti con i lettori di Oasis. Essi emergono dagli anni in cui sono stato membro della Commissione degli Stati Uniti sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF). Credo che siano veri e debbano essere riferiti. I primi tre punti riguardano l’esperienza americana. L’ultimo punto riguarda se e come l’esperienza americana può trovare applicazione a livello internazionale. La radice cristiana dell’America Prima di tutto, il modello americano di libertà religiosa è radicato nel pensiero e nella struttura ideale della tradizione umanista cristiana. Non possiamo capire l’assetto delle istituzioni americane – o i valori che queste istituzioni hanno lo scopo di promuovere e difendere – se non riconosciamo che esse si sono sviluppate a partire da una visione del mondo prevalentemente cristiana. Ovviamente il nostro diritto e le nostre istituzioni pubbliche riflettono anche la Scrittura ebraica, il pensiero e la pratica della Repubblica romana e le tradizioni razionaliste dell’Illuminismo. Ma come ha osservato con un po’ di ironia lo storico Crane Brinton, «l’Illuminismo [stesso] è figlio del Cristianesimo – ciò che ai nostri tempi freudiani potrebbe spiegare perché l’Illuminismo era così ostile al Cristianesimo»[4]. Qualunque cosa essa diventi in futuro, l’America è nata protestante, una cosa che gli osservatori stranieri sembrano spesso comprendere meglio degli americani. Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo tedesco e pastore luterano ucciso dal Terzo Reich, negli anni Trenta insegnò per un periodo a New York. Se ne andò colpito dalle differenze la tradizione rivoluzionaria americana e la tradizione rivoluzionaria francese, oltre che dal carattere cristianamente ispirato degli ideali americani. «La democrazia americana – diceva Bonhoeffer – non è fondata sull’uomo emancipato ma, al contrario, sul regno di Dio e sulla limitazione da parte della sovranità di Dio di tutti i poteri mondani»[5]. Per come Bonhoeffer lo vedeva, il sistema americano di pesi e contrappesi che scommette sulla responsabilità personale e limita lo Stato, era il riflesso di verità bibliche fondamentali sul peccato originale, sulla fame di potere e sulla debolezza umana. Jacques Maritain, lo studioso francese cattolico che collaborò alla stesura della Carta delle Nazioni Unite dei diritti umani, aveva detto pressoché le stesse cose, definendo la Dichiarazione d’Indipendenza americana «uno straordinario documento cristiano laico tinto di filosofia moderna»[6]. Lo stesso Maritain aggiungeva: «I padri fondatori [americani] non erano né metafisici né teologi ma la loro filosofia di vita, la loro filosofia politica, la loro nozione di diritto naturale e diritti umani erano permeate da concetti elaborati dalla ragione cristiana e sostenuti da un saldo sentimento religioso»[7]. In altre parole: il successo del modello americano – una società libera, aperta e non settaria segnata da una sorprendente varietà di espressioni culturali e religiose – non è il risultato di alcun meccanismo “procedurale” messo in atto dai Padri fondatori. Anzi, il nostro sistema funziona precisamente in virtù dei presupposti morali che lo sorreggono. Quei presupposti morali hanno una base religiosa. Il destino sacro dell’uomo Questo mi porta al secondo punto: al centro del modello americano di libertà religiosa vi è una visione della sacralità e del destino della persona umana religiosamente ispirata. Questo trova conferma in una vasta gamma di studi tra cui il lavoro straordinario di Harold Berman sulla storia del diritto occidentale e il suo studio sulla libertà religiosa e sulla fondazione dell’America[8]. Le istituzioni e le leggi di quello che chiamiamo “mondo occidentale” presuppongono un’antropologia religiosa, una definizione del significato della vita profondamente religiosa. Nel modello americano, la persona umana non è un prodotto della natura o dell’evoluzione. Non è una creatura dello Stato o dell’economia. E perciò non è neanche lo schiavo di un paradiso impersonale. L’uomo è innanzitutto e fondamentalmente un essere religioso dotato di un valore intrinseco, di libero arbitrio di diritti inalienabili. È creato a immagine di Dio, da Dio, per Dio. Poiché siamo nati per Dio, a Dio apparteniamo. Qualunque pretesa di Cesare nei nostri confronti, per quanto importante, è secondaria. Nella visione dei Padri Fondatori, Dio ha dotato ciascuno di noi della libertà spirituale e di diritti, in modo che possiamo adempiere i nostri doveri versi di Lui e verso gli altri. I nostri diritti vengono da Dio, non dallo Stato, che si giustifica solo nella misura in cui protegge quei diritti naturali, li promuove e li difende. Quasi tutti gli uomini che hanno redatto i documenti fondanti dell’America erano uniti da questa stessa fede. È significativo ciò che James Madison disse nel 1785 nel suo Memorial and Remonstrance against Religious Assesments: «[il dovere dell’uomo di onorare Dio] precede sia in ordine temporale sia per grado di obbligo le pretese della società civile. Un uomo, prima ancora di essere considerato un membro della società civile dev’essere considerato un suddito del Governatore dell’universo». Questo è il motivo per cui la libertà religiosa è la prima e la più importante libertà dell’umanità. Il nostro primo governatore è Dio, il nostro Creatore, il Governatore dell’universo. Siamo stati creati per uno scopo religioso e abbiamo un destino religioso. Il nostro diritto di perseguire questo destino precede lo Stato. Ogni tentativo di sopprimere il nostro diritto di rendere culto, predicare, insegnare, praticare, organizzare e impegnarci pacificamente nella società a causa della nostra fede in Dio è un attacco non solo alla pietra angolare della dignità umana ma anche all’identità dell’esperienza americana. Più di una questione privata Questo mi porta al terzo punto: nel modello americano, la religione è più di una questione privata tra il singolo credente e Dio. La religione è essenziale per le virtù necessarie di un popolo libero. I gruppi religiosi sono tenuti a dare un contributo vitale al tessuto sociale della nazione. Nonostante le differenze che li separavano, i Padri Fondatori americani erano d’accordo sul fatto che un popolo libero non può rimanere tale e auto-governarsi senza la fede religiosa e i valori che questa promuove. Le famose parole che John Adams rivolse nel 1789 alla milizia del Massachusetts sono emblematiche: «La nostra Costituzione è stata fatta solo per un popolo morale e religioso. Essa è del tutto inadeguata al governo di qualsiasi altro tipo di popolo». Quando i Padri fondatori parlavano di religione intendevano qualcosa di molto più impegnativo e vigoroso della vaga “spiritualità” oggi in voga negli Stati Uniti. Harold Berman ha dimostrato che i Fondatori intendevano la religione in un senso apertamente cristiano. Religione significava «sia aver fede in Dio sia aver fede in un aldilà di ricompensa per la virtù e di punizione per il peccato»[9]. In altre parole, la religione contava a livello personale e sociale. Era più di una scelta privata. Faceva vivere le persone in modo diverso. La fede delle persone aveva vaste implicazioni, anche di tipo politico. Fin dall’inizio, i credenti – da soli o nelle comunità – hanno plasmato la storia americana semplicemente cercando di vivere la loro fede nel mondo. Come Nathaniel Hawthorne ha notato molto bene, molti di noi lo fanno male, con ignoranza e ipocrisia. Ma in ogni generazione un gruppo sufficiente di credenti l’ha fatto abbastanza bene e abbastanza a lungo da mantenere in vita lo spirito che nel nostro Paese ha consentito l’esperienza di una libertà ben ordinata (ordered liberty). In altre parole, l’esperienza americana di libertà personale e pace civile è inconcepibile senza un fondamento religioso. Ciò che noi crediamo di Dio determina ciò che crediamo dell’uomo. Ciò che crediamo dell’uomo determina ciò che crediamo relativamente al fine e alla struttura più adeguata della società umana. Le differenze tra il pensiero cristiano, ateistico, hindu, ebraico e islamico non sono insormontabili. Ma non sono neppure “incidentali”. La fede, accolta sinceramente o rifiutata sinceramente, ha delle conseguenze. Per questo, la teologia e l’antropologia a lungo termine hanno serie implicazioni sociali e politiche. Coprire le differenze con una patina di devozioni secolari non garantisce la pace civile. Piuttosto assicura conflitti perché la fede religiosa tocca i più fondamentali elementi dell’identità e del destino dell’uomo, e la sua espressione richiede uno spazio pubblico. Un modello per altri? Questo mi porta al quarto e ultimo punto: credo che il modello americano funzioni e che i suoi principi possano o debbano essere adattati da altri Paesi. Ma le radici religiose dei nostri ideali hanno delle implicazioni. È impossibile parlare onestamente del modello americano di libertà religiosa senza riconoscere che esso è, in misura significativa, il prodotto di un pensiero influenzato dal Cristianesimo. Forzare questo modello su culture non cristiane – come gli Stati Uniti hanno avuto modo d’imparare dall’amara esperienza in Iraq – diventa un esercizio molto pericoloso. Uno dei più gravi errori della politica americana in Iraq è stato quello di sopravvalutare il fascino del modello di laicità di Washington e sottovalutare il potere della fede religiosa nel plasmare la cultura e la politica. Tuttavia, credo che i valori racchiusi nel modello americano tocchino il cuore umano in modo universale. Il desiderio di libertà e dignità dell’uomo risiede in ogni essere umano. Queste aspirazioni non sono culturalmente condizionate o il risultato dell’imposizione di ideali americani o occidentali. Fanno parte di ognuno di noi. Il sistema mondiale del diritto internazionale moderno si basa su questo assunto di valori universali condivisi da persone di tutte le culture, etnie e religioni. Il domenicano spagnolo Francisco de Vitoria già a partire dal XVI secolo aveva immaginato qualcosa di simile alle Nazioni Unite. Una legalità internazionale è possibile, spiegava, perché esiste un “diritto naturale” inscritto nel cuore di ogni persona, un insieme di valori che sono universali, oggettivi e non cambiano. La tradizione del diritto naturale presume che uomini e donne siano religiosi per natura. Presume che siamo nati con un desiderio innato per la trascendenza e la verità. Questi assunti sono al centro della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. Molti tra coloro che hanno lavorato a quella Dichiarazione, come Jacques Maritain, credevano che questa carta della libertà internazionale riflettesse l’esperienza americana. Il famoso articolo 18 della Costituzione recita che «ciascun individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto include la libertà di cambiare religione o credenza, e la libertà, a livello individuale o in gruppo, in pubblico e in privato, di manifestare la propria religione o credenza nell’insegnamento, nella pratica, nel culto e nell’osservanza». Teocrazie Utopiche In un certo senso quindi, il modello americano è già stato applicato. Quello a cui assistiamo oggi è un ripudio di quel modello da parte di regimi atei e di ideologie laiche ma purtroppo anche dalle versioni militanti di alcune tradizioni religiose. La situazione globale è aggravata dall’inazione della leadership nazionale americana che non promuove nel mondo una delle più grandi qualità dell’America: la libertà religiosa. È un peccato perché abbiamo un urgente bisogno di un onesto dibattito interreligioso sugli elementi essenziali dello Stato democratico moderno. Come cristiano, sarei favorevole a una teologia islamica pubblica che sia fedele alle tradizioni musulmane e sinceramente aperta alle norme liberali. I cristiani che vivono sotto la sharî‘a la vivono come un’offesa, una discriminazione e una violazione della loro dignità umana. Una sana distinzione tra il sacro e il profano, tra legge religiosa e legge civile, è l’elemento fondante delle società libere. I cristiani e soprattutto i cattolici hanno imparato a proprie spese che il matrimonio tra la Chiesa e lo Stato funziona raramente. Da un lato la religione solitamente ne esce perdente, ornamento o cappellano di Cesare. Dall’altro lato tutte le teocrazie sono utopiche e ogni utopia finisce per perseguitare o uccidere i dissidenti che non possono o non vogliono aderire alle sue pretese di beatitudine universale. C’è una ragione per cui ho iniziato questo saggio con John Bunyan. Fino ad oggi la sua opera più importante – Il progresso del pellegrino – è il secondo libro più letto nel mondo occidentale, preceduto solo dalla Bibbia. Ma lo stesso spirito puritano che ha creato tanta bellezza e genio in Bunyan ha condotto anche all’autoritarismo di Oliver Cromwell, ai processi alle streghe di Salem e alla repressione teocratica di altri protestanti e, naturalmente, cattolici. Gli americani hanno imparato dal loro passato. Il genio dei documenti fondatori americani risiede nell’equilibrio che essi hanno raggiunto nella creazione di una vita civile non settaria e aperta a tutti, la cui sopravvivenza dipende però dal rispetto reciproco dell’autorità laica e di quella religiosa. È questo uno dei contributi storici dell’America allo sviluppo morale delle persone in tutto il mondo. La libertà religiosa – il diritto di una persona di lodare, pregare, insegnare e praticare ciò in cui crede liberamente, compreso il diritto di cambiare o abbandonare il proprio credo liberamente – è una pietra miliare della dignità umana. Nessuno, che agisca in nome di Dio o in nome di qualche programma politico o ideologia, ha l’autorità per interferire in quel diritto umano fondamentale. Questa è la promessa del modello americano. I Padri fondatori americani, pur essendo per la maggior parte cristiani, non cercavano alcun privilegio per sé. Non avrebbero costretto altri a credere a ciò in cui loro stessi credevano. Gli eretici non sarebbero stati puniti. Essi sapevano che la libertà di credere deve includere la libertà di poter cambiare le proprie credenze o di smettere di credere. I Fondatori dell’America non mancavano di convinzione. Al contrario essi avevano una grande fiducia nella propria ragione – ma anche nella sovranità di Dio e nella cura di Dio per il destino di ogni anima. Gli Stati Uniti sono nati, nelle parole di James Madison, per essere «un rifugio per i perseguitati e gli oppressi di ogni nazione e religione»[10]. In questo momento, in America, diamo l’impressione di non rivendicare questa eredità, condividerla o comprenderla veramente. Penso che un giorno potremmo svegliarci e vedere tutto ciò come una tragedia per noi e per molti altri. * Questo articolo è versione rielaborata dell’intervento pronunciato al Berkley Center for Religion, Peace and World Affairs della Georgetown University il 1° marzo del 2011.  


[1] Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata mondiale della Pace, “Libertà religiosa, via per la pace”, 1° gennaio 2011. [2] Pew Forum on Religion and Public Life, “Global Restrictions on Religion,” dicembre 2009. [3] Leszek Kolakowski, Modernity on Endless Trial, University of Chicago Press, Chicago 1997, 146. [4] Clarence Crane Brinton,Ideas and Men: The Story of Western Thought, Prentice-Hall, New York 1963, 295. [5] Dietrich Bonhoeffer-Eberhard Bethge,Ethics, Macmillan & Co, New York 1978, 104 (Trad. it., Etica, Queriniana, Brescia 1995). [6] Jacques Maritain, Man and the State, University of Chicago Press, Chicago 1951, 183–184 (Tread. it., L’uomo e lo Stato, Marietti, Genova-Milano 2003). [7] Jacques Maritain,Reflections on America, Charles Scribner's Sons, New York 1958, 182–183. [8] Harold Berman,Law And Revolution: The Formation of the Western Legal Tradition, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1983;Law and Revolution II: The Impact of the Protestant Reformations on the Western Legal Tradition,Harvard University Press, Cambridge (MA) 2006; Religion and Liberty Under Law at the Founding of America, «Regent University Law Review»20 (2007), 32-36;Religious Freedom and the Modern State, «Emory Law Journal»39 (1990), 149-164. Si noti che Berman non nega il ruolo del deismo e dell’Illuminismo nella tradizione giuridica moderna, né la loro influenza sulle istituzioni americane. Come sappiamo, Jefferson e Franklin erano deisti, mentre Adams, Wilson e Madison erano cristiani praticanti. Quello che invece Berman fa, è ricollocare le radici del diritto occidentale nella loro vera origine, la Rivoluzione papale dei secoli XI e XII, il Codice di Diritto canonico e le varie riforme protestanti. Per Berman il ruolo determinante della fede cristiana nello sviluppo della tradizione giuridica occidentale non può essere ignorato. Si vedano anche i suoi saggi Judaic-Christian versus Pagan Scholarship,The Crisis of Legal Education in America, e Is There Such a Thing – Can There Be Such a Thing – as a Christian Law School?, tutti raccolti in Faith and Order: The Reconciliation of Law and Religion, Eerdmans, Grand Rapids (MI) 1993. [9] Berman,Religion and Liberty, 32. [10] James Madison, Memorial and Remonstrance Against Religious Assessments(1875), 9.

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