Nato in Galilea, questo talentuoso compositore trova nelle città in cui risiede una fonte d’ispirazione. Il suo sodalizio con Majd Kayyal ha suscitato interessanti riflessioni sulla questione palestinese oggi

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:27:10

Faraj Suleiman è considerato uno dei compositori più promettenti del mondo arabo, e non è del tutto ignoto in Italia, dove è passato anche su programmi radiofonici.

 

Faraj nasce nel 1984 nella città araba (cristiana, drusa e musulmana) di Rameh, in Galilea, a due passi dal confine libanese, figlio di un commerciante di giocattoli e di una fiorista.

 

Si avvicina sin da bambino alla musica grazie a uno zio violinista e a un insegnante russo, benché l’incontro decisivo avverrà molto più tardi, con il suo futuro maestro israeliano Arie Shapira, all’Università di Haifa, dove Faraj passa tutto il tempo esercitandosi nell’aula di musica. Grazie a Shapira, il ragazzo cresce velocemente tra musica classica, melodie e ritmi arabo-orientali, tango e jazz, riuscendo a “tenere insieme” tutto questo in modo magistrale (qui una breve analisi delle sue sonorità).

 

Il suo talento gli permette di passare agilmente da composizioni per pianoforte fino ad arrangiamenti per coro e orchestra, lasciandosi ogni volta ispirare dalle città in cui risiede, dalla familiare Haifa alla complicata Gerusalemme, fino alla più solitaria esperienza parigina (con una residenza artistica alla prestigiosa Cité internationale des arts) e il ritorno, causa covid-19, a Haifa.

 

Ha pubblicato numerosi album (sia in studio che dal vivo, sia strumentali che – visto il riscontro entusiasta dei fan – vocali) e ha preso parte a tantissimi progetti musicali, poetici e teatrali, tra cui vale la pena menzionare il simpatico album di brani per bambini (Albi ghabi, “Il mio cuore è una foresta”) in arabo colloquiale palestinese (Faraj utilizza intenzionalmente quello del suo villaggio nelle sue canzoni), il progetto-tributo alla cantante Rim Banna e i pezzi composti per l’artista Banksy.

 

Per quanto tutta la sua produzione strumentale meriti più di un ascolto, oggi ci concentriamo sul suo ultimo disco, nonché il suo secondo album vocale: Ahlā min Birlin/Better than Berlin (“Meglio di Berlino”, 2020). Il titolo, da un lato, vede in Berlino una sineddoche della diaspora palestinese, numerosa nella capitale tedesca; dall’altro, fa riferimento a una frase della sindaca di Haifa, la quale affermò che sotto la sua amministrazione la città sarebbe divenuta «una nuova Berlino»).

 

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I testi sono stati tutti scritti da Majd Kayyal, conoscenza universitaria di Faraj e già suo paroliere per alcune canzoni del disco Al-bayt al-tānī/Second Verse (“il secondo verso”), uscito nel 2019 (come in questo brano, incentrato sull’educazione dei figli o in questo, sulle tante “città parallele” di Haifa). Giornalista e romanziere originario del villaggio di al-Birwa lo stesso del poeta palestinese per eccellenza, Mahmoud Darwish –, Majd è conosciuto per i suoi libri La Tragedia del Signor Matar (2016) e Morte a Haifa (2019) e il suo attivismo che gli ha procurato diversi arresti da parte della polizia israeliana.

 

Il sodalizio è stato fruttuoso: l’album è stato descritto come «una lezione di filosofia e di cultura palestinese» e, in effetti, ha ispirato interessanti riflessioni su diverse declinazioni della “questione palestinese” oggi, nelle sue contraddizioni e potenzialità, con sfondo sempre la città di Haifa e la sua gentrificazione. I brani, musicalmente piacevoli, affrontano con genialità temi disparati e complessi, dal matrimonio al martirio, passando per questioni esistenziali.

 

La canzone di oggi è Fī as’ila bi-rāsī/Questions on My Mind (“Ho delle domande per la testa”), questioni che assillano Faraj e Majd, e che commuovono. La potenza del testo non ha bisogno di altre presentazioni.

 

Sul nostro artista si trova molto altro materiale in internet e diverse interviste (parecchio diverse per profondità, contenuto e tono a seconda se in arabo o in inglese) in cui Faraj Suleiman parla della scena musicale palestinese e del ruolo chiave di Haifa, del suo rapporto ineluttabile con la politica, dei suoi riferimenti musicali (scherzando sulla sua somiglianza “nasale”, più che musicale, con il compositore libanese Ziad Rahbani), l’assenza di un serio processo di archiviazione musicale palestinese, la sua volontà di “orientalizzare” il pianoforte e far apprezzare la musica strumentale, e la difficoltà di vivere della propria musica in Palestina.

 

In conclusione, noi siamo contenti che Faraj non abbia avuto successo né come organista per matrimoni, né come creatore di jingles pubblicitari, né come insegnante di piano, ma che abbia coraggiosamente iniziato a scrivere musica che gli somiglia.

 

Buon tarab!

 

Canzone: Fī as’ila bi-rāsī/Questions on my mind

Artista: Faraj Suleiman

Anno: 2020

Nazionalità: Palestina

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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Ho delle domande per la testa[1]

 

Ho delle domande per la testa, su di te, sul quartiere

Su come è passato il tempo,

Sulle cose che fai in silenzio

Se davvero il fiume si è prosciugato

e son rimaste solo pietre

 

Ho delle domande per la testa, su di te, sul quartiere

Su come è passato il tempo,

Sulle cose che fai in silenzio

Se davvero la valle si è prosciugata

e son rimaste solo pietre

 

Fa un po’ male Berlino,

così bella, piena di gente

ma mi manca Umm Sabri[2]

e soprattutto mi manchi tu

 

Dimmi un po’ che si dice in giro,

dammi un po’ di pettegolezzi

senza le chiacchiere di quartiere

pure il caffè ha perso tutto il suo gusto

 

Chi ha affittato casa sua a un collaborazionista[3]?

Ah, e chi è adesso lo spacciatore più economico?

Chi è stato beccato da sua moglie, in flagrante,

in un chalet con l’amante?

 

Dicono che Hammudi, quello che sollevava pesi,

è in prigione da tipo due anni, che ha derubato un ufficio postale

Ok, e Atef? Fa ancora il muratore? Non è ancora morto di fatica?

E la polizia? Viene ancora tutte le notti a rovinar la vita ai bambini arabi?[4]

 

La rabbia ci mangia ancora vivi?

Stanno ancora scazzottandosi con i russi?

E quando la sposa lascia casa dei suoi piange ancora tutto il quartiere?

 

E Hasan? Buca ancora le gomme a quelli che gli parcheggiano nel suo posto?

Il balcone attaccato al balcone

Più vicini di due labbra socchiuse[5]

 

Il quartiere s’è allargato, no?

Ho sentito che sono arrivati un sacco di (ebrei) etiopi

Mentre tu ti sei trasferita con il tuo compagno

Per vivere nel quartiere tedesco[6]

 

Quindi passi il tuo tempo a Fattoush?[7]

Vedi ancora Umm Wadie?[8]

E Ashraf Hanna?[9] Piglia ancora il suo caffè

ogni mattina, tutto di fretta?

La funicolare è ancora lì?

Ti porta su ancora al Carmelo?[10]

Mosé, detto il Rai, insiste ancora

ad andare a pescare ad Atlit?[11]

 

E i bar? Sono ancora aperti fino a tardi?

Che chiudevano sempre all’alba?

 

Ti martellano ancora il cervello parlandoti di politica?[12]

 

Ci credi ancora quando dici: «Questo è l’ultimo shot eh!»

Ah, e te ne sei andata con qualcun altro,

dal bar a dormire sulla spiaggia, oltre a me?

 

Dicono che sei stata crudele

Che sono uscito di testa per causa tua

Che sei tu che mi hai lasciato

E allora io ho preso e me ne sono andato dal Paese[13]

 

So che non è andata così

Ma che vuoi, questo quartiere non cambierà mai

è sempre colpa della donna,

l’uomo non c’entra mai.

 

No, no chiamo per chiederti scusa

Chiamo per riderci sopra con te

Che spettegolano su di noi mentre preparano i biscotti[14]

 

È carina questa storia che si sono inventati,

una storiella più bella della realtà!

Molto più carina del mio mentire

chiamandoti amica

 

Ti chiamo per dirti di non preoccuparti,

due mesi e il quartiere avrà già dimenticato

e io sono come i ragazzini del quartiere

il mio cuore diventerà presto duro

 

Ti chiamo per raccontarti di Berlino

così bella, piena di gente

ma mi manca Umm Sabri

e soprattutto mi manchi tu.

 

Fa un po’ male Berlino

così bella, piena di gente

ma mi manca Umm Sabri

e soprattutto mi manchi tu.

 

 

في أسئلة براسي

 

في أسئلة براسي عنِّك عن الحارة
عن كيف مرق الوقت؟ عن شو عملتي عاالسكت؟
إذا جد نشّف الوادي، إذا بقيت حجارة (x2)

شوي بتوجّع برلين، حلوة وملانة ناس
بس بشتاق لإم صبري وبشتاقلِك أنتِ بالأساس (x2)
 

احكيلي شو بحكوا أخبار، أعطيني شو عندك نميمة
بلا خرّاف الجارات، القهوة بطّل إلها قيمة

مين أجّر داره لمشتاپ؟ طيب مين صار أرخص ديلر؟
مين مسكته مرته عَـالحامي، ماخد صاحبته عَ تسيمر؟

بقولوا إنّه حمودة الي كان يتمرّن حديد
محبوس من شي سنتين قال سارق فرع البريد

طب بعده عاطف بالعمار؟ بعده ما هدّه التعب؟
بعده كل ليلة البوليس بتمنيك عَ ولاد العرب؟

بعده ماكلنا الغضب؟ بعدا الطوش مع الروس؟
بعدا كلّ الحارة بتبكي كل ما كان طلعة عروس؟

بعده حسن عم بخزّق عجال الي أخدله الصفّة؟
والبرندة عَـالبرندة أقرب من شفة عَ شفة؟

كبرت الحارة سمعت جابوا ملان أثيوبيّة
وأنتِ نقلتي مع صديقك، سكنتوا بالألمانيّة

طب، عم تقعدي بفتّوش؟ عم بتشوفي إم وديع؟
بعده الصبح أشرف حنّا بوخد قهوة عالسريع؟

بعدا معلّقة السلال؟ بعدا بتمشي الكرمليت؟
بعده مصمّم موسى الراي ينزل يتصيّد بعتليت؟

بعدا بتطوّل البارات، بتسكّر وجه الصبح؟
بعدن بحكوا بالسياسة وبفتحوا براسك قُدِح؟

بعدك عم بتصدّقي حالك لمّا تقولي آخر shot؟
طب طلعتي مع حدا غيري من البار ونمتوا عَـالشط؟

بقولوا عنك لئيمة، إني بسببك انجنّيت
إنّك أنت اللي تركيني، ودشّرت البلد وهجّيت

بعرف مش هاد الي صار، بس هاي الحارة بتتغيّرش
دايمًا بتعلق المرا، وبالشب الناس بتسألش

بس مش متصل أتأسف أنا متصل أضحك معك
عَـإنهن بحكوا قصّتنا وهنّي ينقّشوا كعك

حلوة القصّة الي اخترعوها، القصّة أحلى من الحقيقة
بتضلها أنغش بكثير من كذبة إنّك صديقة

ومتصل أحكي تنضغطيش شهرين وهالحارة بتنسى
وأنا زي كل ولاد الحارة برجع قلبي بسرعة يقسى

 

ومتصل أحكي عن برلين حلوة ملانة ناس
بس بشتاق لإم صبري وبشتاقلك أنتِ بالأساس

 

شوي بتوجّع برلين حلوة وملانة ناس
بس بشتاق لإم صبري وبشتاقلِك بالأساس

 


[1] Il testo della canzone è in arabo colloquiale palestinese, con molte espressioni e riferimenti locali. Segnalo i più importanti e tento di riprodurre il “tono” della canzone, ossia una chiamata telefonica tra un ragazzo e una ragazza della stessa città, la cui storia d’amore si è conclusa da un po’ di tempo. È possibile che alcuni riferimenti molto “locali” o semplicemente personali siano sfuggiti.

[2] Umm Sabri, lett. “la mamma di Sabri” è un panettiere del quartiere Wadi Nisnas a Haifa.

[3] Si tratta della parola ebraica משתף, traslitterata nel testo in lettere arabe, che indica un collaborazionista, una persona che, letteralmente “condivide” e dunque “collabora”.

[4] Lett. “Figli degli arabi”.

[5] Questo verso si riferisce ai tanti balconi (baranda, dall’italiano “veranda”) delle case del suo quartiere di Haifa, così vicini che quasi si toccano, come due labbra socchiuse.

[6] Un importante quartiere di Haifa, dalla storia interessante. Il cantante gioca ironicamente su questo quartiere “tedesco” e il suo trovarsi a Berlino.

[7] Fattoush (che è il piatto di un’insalata tipica dello shām) è un bar storico di Haifa, dove è stata fatta questa intervista. Il bar, aperto nel 1998, è stato il primo dei caffè e ristoranti nati intorno alla fine degli anni ’90 in quel quartiere di Haifa, ricoprendo un ruolo centrale nel rilancio della scena culturale arabo-palestinese in città.

[8] Lett. “la mamma di wadie”.

[9] Il cognome della persona permette di identificarlo con un palestinese di religione cristiana.

[10] La canzone si riferisce a una delle due funicolari di Haifa, quella che conduce al Monte Carmelo, famosa per essere «la più corta al mondo».

[11] Località costiera nei pressi di Haifa. La frase si presta a svariate interpretazioni: si tratta del villaggio di origine di questo Mosé, dal quale si è trasferito dopo il 1948, e nel quale non è mai potuto ritornare per pescare?

[12] Si è scelto di utilizzare il verbo “martellare” per tradurre l’espressione araba (lett.): “ti aprono un buco nella testa” con il loro parlare di politica.

[13] Il verbo hajja indica una “migrazione” o “evasione” forzata.  

[14] Il Ka‘k è un dolce arabo che necessita di una preparazione lunga e complessa: la situazione perfetta per una lunga sessione di chiacchiere e pettegolezzi.

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