Per il primo appuntamento della rubrica musicale T-arab vi portiamo in Egitto. Per la precisione in piazza Tahrir al Cairo

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 11:41:50

Esattamente 10 anni fa, il 25 gennaio 2011, un ventitreenne egiziano di nome Ramy Essam scende in Piazza Tahrir con milioni di altri connazionali, a chiedere “pane, libertà e dignità”. Unica differenza dagli altri manifestanti? Si porta con sé la chitarra e una voce profonda. In pochi giorni, il ragazzo di Mansura, grazie ai suoi tre accordi rock e testi semplici (spesso un mix di slogan e scritti rivoluzionari) diventa “il cantore della Rivoluzione”.

 

I suoi primi brani incitano e “incarnano” la rivolta. In quello che è stato definito un “diario musicale”[1], Ramy vive e descrive, giorno per giorno, ciò che succede in Egitto. Compone “l’inno della rivoluzione”, Irhal (“Vattene!”), invitando l’allora presidente egiziano Hosni Mubarak a dimettersi (febbraio 2011); scrive delle stragi ad Abbasiyya (luglio 2011) e Port Said (febbraio 2012); racconta le svilenti condizioni del popolo egiziano; pone in musica una parodia animalesca del regime; denuncia le violenze perpetrate dall’esercito, chiedendogli di decidere da che parte stare. Lui stesso subirà violenza: sarà arrestato e torturato all’interno del Museo egizio del Cairo (che si affaccia proprio su Piazza Tahrir).

 

Qualche anno dopo, lascerà l’Egitto per l’Europa, unendosi a una già folta diaspora artistico-politica araba. Un fenomeno che incontreremo spesso in questa rubrica, e che apre a tante riflessioni, spesso non definitive: l’evidente mancanza di libertà d’espressione in patria; la maturazione (o non maturazione) di un artista; le narrazioni contrastanti tra chi porta avanti la causa del suo Paese in terra straniera e chi resta; chi “capitalizza” sulle sofferenze di un popolo e chi le vive e le racconta con convinzione; chi si rivolge a un pubblico “occidentale” per piacere, ma copre voci considerate più “autentiche”, e chi, pur di battersi per il suo popolo, scende volentieri a compromessi; chi “ha fatto fortuna” all’estero, e perde quasi automaticamente la sua legittimità e autenticità, e chi all’estero è ascoltatissimo, ma è sconosciuto in patria. Tante questioni, tutte legittime, che interrogano la musica araba (e non solo) oggi.

 

Sta di fatto che Ramy dalla Svezia criticherà più liberamente il potere nella sua terra, prima Morsi e poi al-Sisi. Scriverà all’esercito altre volte; invierà una lettera in musica all’ONU; canterà per il Sudan, per la violenza di genere, per la convivenza tra cristiani copti e musulmani, per i bambini nei campi profughi siriani in Libano. Insomma, diventerà a pieno titolo un «artista e difensore dei diritti umani»[2].

 
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Tutto molto bello, se non fosse che queste canzoni hanno un prezzo molto alto. Per Ramy, tra le altre cose, botte ed esilio perenne. Per Galal El Behayry, poeta e paroliere di alcuni di questi brani, la prigione da oramai tre anni. Insieme a lui altre sei persone. Tra queste, Shady Habash: il direttore del video Balaha (“dattero”)[3], canzone di Ramy contro al-Sisi, muore in prigione a 24 anni, dopo due anni di carcere cautelare senza processo a Tora, luogo che anche noi conosciamo per le tristi vicende di Patrick Zaki.

 

Nomi e volti. In prima persona. È questa la forza delle canzoni di Ramy Essam. Hanno carne. Ecco allora che tutte le sue apparizioni (di recente anche in Italia), i concerti, i riconoscimenti (tra gli altri, il Premio Grup Yorum 2020 del Club Tenco) e tutte le sue parole non suonano vuote, ma profondamente piene, rotonde come la sua voce. Ramy Essam finisce per convincerti anche del suo motto: «La musica è l'arma pacifica più potente del mondo». Niente di più retorico ma, nel suo caso, niente di più vero.

 

Come avrete capito dall’imbarazzante quantità di link presenti in questo articolo, scegliere una sola canzone è stato molto difficile. Abbiamo optato per partire dalle basi. Vi proponiamo ‘Ahd Mubārak (“L’epoca di Mubarak”), conosciuta anche con il titolo Fī ‘ahd al-zālim (“Nell’epoca dell’oppressore”). Perché? Perché è una delle primissime canzoni di Ramy; perché esiste in due versioni diverse, musicalmente diverse; perché c’è un sequel diretto ad al-Sisi; e soprattutto, perché la sua storia è l’emblema di ciò che Ramy è stato ed è tuttora per una parte del popolo egiziano: un megafono. Il testo della canzone, infatti, non è di Ramy, ma è anonimo. Il cantante l’ha trovato in internet, a caso, e l’ha musicato. E così le parole vissute di un egiziano qualunque su un sito qualunque hanno fatto il giro del mondo.

 

Buon tarab!

 

Canzone: Fī ‘ahd al-zālim

Artista: Ramy Essam

Data di uscita: 2011

Nazionalità: Egitto

 

[Qui la seconda puntata di T-arab: in Libano con Tania Saleh]

 

L’epoca di Mubarak / Nell’epoca dell’oppressore

 

Nell’epoca di Mubarak devi soffrire

perdi tutta la dignità[4]

e ti senti frustrato per anni, mica per secondi

Occhio a credere alle parole delle canzoni,

che parlano di civiltà e blablabla.

È tutto nonsense, non le ascolto nemmeno!

 

Nell’epoca di Mubarak i tormenti ti perseguitano,

inizi la giornata con un sacco di grane.

Mentre dormi o sei sveglio ti assalgono,

hai ancora gli occhi cisposi e già ti opprimono!

Manca l’acqua per sciacquar via il sapone dalle mani,

hai il corpo tutto appiccicaticcio e puzzi da far schifo,

allora ti vesti ed esci così come sei[5].

 

Nell’epoca di Mubarak, ahimè,

la vita è dura da far schifo

I bisogni fondamentali sono un lusso!

dimentica la dignità, dimentica l’onore.

Rubi, frodi e delinqui[6]

Le lacrime scorrono, le ferite sanguinano,

l’epoca di Mubarak deve finire!

 

Se vai al lavoro e hai bisogno di un mezzo di trasporto:

La metro è ferma, non c’è elettricità!

Sui microbus, bloccati nel traffico, c’è una zuffa 

I freni del bus hanno bisogno d’essere aggiustati

e il tuk-tuk s’è perso, gli serve una bussola![7]

 

Quando allora torni a casa, sempre se ce l’hai, una casa,

appena entri te ne penti e pensi: “Magari non fossi tornato!”

Tua moglie grida: “basta, non ne posso più!”

I tuoi bambini ti chiedono: “Dacci questo e quello!”

Gridi e strilli a vanvera, “gente, sto a pezzi!”

Ma nessuno può sentirti, non importa dove sei

 

Nell’epoca di Mubarak, ahimè,

la vita è dura da far schifo

I bisogni fondamentali sono un lusso!

dimentica la dignità, dimentica l’onore.

Rubi, frodi e delinqui

Le lacrime scorrono, le ferite sanguinano,

l’epoca di Mubarak deve finire! (x2)

 

 

عهد مبارك / في عهد الظالم

 

في عهد مبارك لازم تعاني

تفقد كرامتك بكلّ المعاني

وتحرق في دمّك سنين مش ثواني

وإوعى تصدّق كلام الأغاني

بتاع الحضارة وكاني وماني

دَهْ كُلّه هَجايص ما يُدخل وداني

 

في عهد مبارك العذاب بيناديك
بتبدأ في يومك حاجات بترازيك

في نومك في قومك تعكنن عليك

تضايقك ولسّه العُماص في عنيك

مافيش مَيّة تشطف صابونة في إيديك

وجسمك ملزّق وريحتك عَديك

فتلبس وتنزل وفيك اللي فيك

 

وفي عهد مبارك للأسف

لازم تآسي تعيش تتقِرف

وكل الأساسي في حياتك تَرف

تنسى الكرامة تنسى الشرف

تسرق تنصب تنحرف
دمعك يجري جرحك نِزف

وعهد مبارك لازم ينتهي

 

رايح لشغلك هتحتاج مواصلة

وآدي المترو واقف كهربته فاصلة

وفي الميكروباص خناقة وحاصلة

وأتوبيس فرامله عايزالها وصلة

وتوكتوك ده تايه محتاج لبوصلة

 

هترجع لبيتك ده لو كان فيه بيت

هتوصل هتندم يا ريتَك ما جيت

مراتك بتصرخ خلاص استويت

عيالك بتطلب هات كيت وكيت

تزعّق تِهاتي يا ناس اتهريت

ولا حد سامعك مهما هاتيت

 

وفي عهد مبارك للأسف

لازم تآسي تعيش تتقِرف

وكل الأساسي في حياتك تَرف

تنسى الكرامة تنسى الشرف

تسرق تنصب تنحرف
دمعك يجري جرحك نِزف
وعهد مبارك لازم ينتهي (
x2)

 

 

 

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[1] La celebrità di Ramy Essam, soprattutto in “Occidente”, lo rende uno dei pochi cantanti arabi sul quale si trova materiale accademico in italiano (una rarità, eccezion fatta per alcune tesi di triennale e magistrale e qualche saggio). Si veda: Fernanda Fischione, “Cantare la rivoluzione: musica e parole da un mondo arabo che cambia”, in Arabpop. Arte e letteratura in rivolta dai paesi arabi, a cura di Chiara Comito e Silvia Moresi (Milano: Mimesis, 2020), pp. 57-83.
[2] Così si presenta nel suo sito. Si veda: https://www.ramyessam.com/about.
[3] Una popolare commedia egiziana degli anni ’80, nella quale, complici una serie di incomprensioni e di “pazzi” ricoverati in manicomio, il soprannome balaḥa diviene sinonimo di “impostore” e “bugiardo”. Questo lo spezzone di film che ha risemantizzato il nome: https://www.youtube.com/watch?v=G--05Jbw5n8&ab_channel=PUBG3zoz.
[4]Oppure, più letteralmente: “in tutti i sensi”, “su tutti i fronti”.
[5] Questo verso è presente solo nella versione ‘Ahd Mubārak.
[6] Il testo si riferisce alla necessità, per molti egiziani, di ricorrere a mezzi illeciti pur di sopravvivere. L’ultimo verbo, lett. deviare (dal giusto cammino) è stato qui tradotto con un generale delinquere.
[7]Si tratta di comuni disservizi del trasporto pubblico egiziano, come i frequenti tagli all’elettricità che bloccano la linea della metro. I microbus e i tuk-tuk sono comuni mezzi di trasporto, soprattutto nelle grandi città.

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