La seconda tappa della rubrica T-arab è nel Paese dei Cedri. In Wehde Tania Saleh immagina un Libano non confessionale, composto da cittadini che si riconoscono in una sola “unità” nazionale

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 11:43:59

Tania Saleh, con la sua carriera trentennale pluripremiata e i suoi concerti in tutto il mondo, è giustamente considerata una figura importante della scena musicale alternativa/indipendente libanese e araba. Nata a Beirut nel 1969, dopo gli studi alla Lebanese American University e alla Sorbona, si dedica alla musica (di tutto: cantautorato, colonne sonore, jingles) e alle arti visive. Due campi in cui eccelle parimenti, come dimostra la sua ultima canzone originale (Ya Reit, “Magari!”), da lei composta e illustrata, in cui trasforma la complicata situazione libanese attuale in una favola sognante ambientata in un futuro più pacifico, magari su un altro, lontano pianeta.

 

Artista mediterranea ed eclettica, i suoi cinque album in studio spaziano sia nella musica che nei testi: si passa dal tarab al pop, dalla dabke all’elettronica, da testi profondamente romantici a musica politicamente schierata di una «donna araba che vive in una società moribonda e corrotta. Tra passività dei popoli e governanti autoritari, c'è una frangia della popolazione che ha tanto da dare ma che nessuno sente. Cerco di parlare di queste persone, che incrocio ogni giorno, persone che hanno talento e speranza ma che non possono agire» (qui l’intervista integrale). Il suo Intersection, uscito nel 2017, ne è il perfetto esempio: con testi originali e arrangiamenti di personalità come Mahmoud Darwish, Nizar Qabbani e Nazik al-Malaika, l’album è una densa chimica di testi, storie comuni, street art e musicalità che vanno dal Cairo a Oslo, passando per Beirut, l’intersezione per eccellenza.

 

Incapaci di scegliere una sola traccia di quest’album (che vi consigliamo in toto), per oggi facciamo un passo indietro nella carriera di Tania Saleh, concentrandoci sul brano wehde, da cui l’omonimo disco uscito nel 2011, tra una “primavera araba” e l’altra.

 

Wehde (o meglio, wahda) è una parola araba polisemica. La cantante gioca su due dei vari significati della parola: “unità” e “una [donna]”. Wehde è allora una giovane “donna” libanese che, nel 1943, sogna di costruire un Paese non confessionale, ma composto da cittadini che si riconoscano in una sola “unità” nazionale, abbandonando sogni panarabi, islamici o europei. Settant’anni dopo, e giocando ironicamente su alcuni leitmotiv patriarcali, la canzone ribadisce l’invito, rivolto al Libano, a darsi da fare, per trovare la wehde giusta. A coronare il tutto, in pieno stile Tania Saleh, un bel videoclip vintage.

 

Buon tarab (e buona visione)!

 

Canzone: Wehde

Artista: Tania Saleh

Data di uscita: 2011

Nazionalità: Libano

 

 

Qui il primo appuntamento di T-arab, con Ramy Essam.

Qui il terzo appuntamento di T-arab, in Algeria con un grande classico.

 

Una/Unità

Ce ne è “una” libanese[1]

Di buona famiglia, per bene[2]

 

Ce n’è “una” araba,

pia, con uno scialle che le copre la testa[3],

 

Ce n’è “una” europea,

Ah, una bellezza[4]!


Quale wahda vuoi[5]?

Non puoi rimanere da solo

Sarà anche ora che te ne trovi “una” che possa stare al tuo fianco[6]

 

Tipo… “una” che ti capisca, che ti sostenga, e che tu sostenga

Che abbia i tuoi stessi valori[7], regina lei, e tu re!

 

Quale wahda vuoi?

Non puoi rimanere da solo

È anche ora che te ne trovi “una” che possa stare al tuo fianco

 

“Una” il cui sogno sia d’esser tua per sempre,

la cui bocca non sia stata baciata che da sua madre[8],

“Una” che ti dia un figlio, di nome… Libano

 

Quale wahda vuoi?

Non puoi rimanere da solo

È anche ora che te ne trovi “una” che possa stare al tuo fianco

 

Tipo…“una” nazionale,

di buona famiglia, per bene[9]

 

 

 

وحدة

في وحدة وطنيّة بنت عيلة وبنت حلال

وفي وحدة عربيّة اللاويّة وع راسها شال

وفي وحدة أوروبيّة آية من الجمال

 

أيّ وحدة بدّك؟ ما فيك تضلّك وحدك صار لازم تلاقي وحدة توقف حدّك (x2)

 

شي وحدة تفهم عليك تتحمّلها وتتحمّلك

بتربيها ع إيديك ملكة هي وإنت الملك

 

أيّ وحدة بدّك؟ ما فيك تضلّك وحدك صار لازم تلاقي وحدة توقف حدّك (x2)

 

شي وحدة يكون حلمها تبقوا سوا طول الزمان

ما باس تمّها إلّا إمّها تجيبلك ولد اسمه لبنان

 

أيّ وحدة بدّك؟ ما فيك تضلّك وحدك صار لازم تلاقي وحدة توقف حدّك (x3)

 

شي وحدة وطنيّة بنت عيلة وبنت حلال

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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[1] Lett. nazionale. Come anticipato nell’introduzione, un’altra possibile traduzione sarebbe: “c’è un’unità nazionale”, opposta, nei versi seguenti a “un’unità (pan)araba” e “un’unità europea”. La cantante si riferisce, semplificando, a varie correnti di pensiero che si interrogano sul futuro del Libano, alcune inclini al panarabismo, altre a una maggiore “europeizzazione”. Per orientarsi tra queste correnti, si veda la storia del Libano in tre puntate, proposta da Oasis, a cura di Amin Elias: /it/il-grande-libano-errore-storico-o-progetto-da-realizzare.
[2] Lett. halāl, “lecito, legittimo” e, per estensione, “buono”, positivo”, “giusto”, “consigliabile”. La versione in inglese della stessa cantante traduce ḥalāl con kind and smart (“gentile e intelligente”). Per tale traduzione, si veda: https://soundcloud.com/taniasaleh/wehde?in=taniasaleh/sets/wehde. Si noti, in generale, l’utilizzo ironico di frasi e retoriche patriarcali.
[3] Il riferimento è a una corrente panaraba. Si noti l’interessante accostamento tra panarabismo e una presunta pietà religiosa, indicata qui da un generico scialle (shāl) senza connotazioni religiose particolari.
[4] La traduzione della stessa cantante aggiunge significativamente but you’re miles apart (“ma tu sei miglia e miglia distante”), una frase non presente in arabo.
[5] “Quale ‘una’ vuoi?” oppure “Quale ‘unità’ vuoi?”.
[6] La traduzione della stessa cantante recita, più liberamente It's time you found "one" to call your own (“È ora che te ne trovi ‘una’ che tu possa chiamare tua”).
[7] Lett. “la cui educazione sia nelle tue mani”. L’espressione idiomatica, dall’evidente tono patriarcale, è utilizzata per indicare l’importanza di sposare donne in tenera età, la cui educazione possa essere ancora “modellata” dal marito.
[8] Come suggerisce anche la traduzione della stessa cantante, si tratta di una giovane vergine.
[9] Lett. halāl, come sopra. La traduzione della stessa cantante aggiunge un ultimo verso: sounds like a good start (“sembra un buon inizio!”), una frase non presente in arabo.

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