Per il terzo appuntamento della rubrica musicale T-arab facciamo tappa in Algeria con Yā Rāyah, un grande classico che invita a riflettere sulla sofferenza di emigrare

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 11:47:01

Se l’Algeria fosse una canzone, sarebbe questa”. Così è stato descritto il primo “classico” della nostra rubrica T-Arab. E Yā Rāyah è due volte un classico.

 

Ma andiamo con ordine: il panorama musicale algerino è incredibilmente vasto e ricco. In particolare, nei primi decenni del XX secolo prendono forma due generi musicali (dai confini porosi) che caratterizzeranno la produzione musicale del Paese maghrebino fino a oggi: lo chaabi e il raï.

 

Si tende a individuare le radici della musica chaabi (ossia sha‘bī, “popolare”) nella casba di Algeri. Musicalmente, è una sintesi di diversi generi come la nūba (l’eredità sonora arabo-andalusa), l’‘arūbī algerino (ispirato alla nūba, ma più “moderno”), il madh (canti celebrativi religiosi), e altre influenze arabe, berbere e africane (soprattutto gnawa). Il cantante chaabi non si pone limiti tematici: i testi oscillano pacificamente tra il sacro e il profano, l’antico e il moderno. Il testo è generalmente in arabo o in berbero (o un mix dei due), accompagnato da percussioni come la darabūka e il tār, il mandolino algerino (che ha rimpiazzato il più antico liuto chiamato kwitra), la viola, il banjo, il flauto nāy, quella specie di cetra orizzontale che è il qānūn e qualche volta anche il piano.

 

Il raï (rā’y lett. “opinione”) è nato invece nella cosmopolita Orano, benché il nome possa avere radici più antiche: indicava forse le “opinioni” e i “consigli” dati dai “vecchi saggi” cantori di malhūn (poesia melodica, soprattutto beduina). Questi ultimi poeti-cantori e soprattutto queste ultime (come Cheikha Remitti, la “nonna” del raï), dagli anni ’20 aggiungono al loro repertorio “tradizionale”, che prevedeva canti guerrieri, religiosi e moralistici, delle canzoni più irriverenti e profane, spesso a sfondo sociale, patriottico o anticoloniale: cantano dunque le difficoltà della vita di città, le ristrettezze economiche, l’amore per la loro città e la loro terra. Musicalmente, il primissimo raï presenta dei tratti in comune con lo chaabi, per poi distanziarsi gradualmente con l’aggiunta di ulteriori influenze europee (jazz, flamenco, rock) e suoni e strumenti più “moderni” (tromba, sax, chitarra elettrica), fino ad arrivare alla sua forma più commerciale e internazionale, il pop-raï.

 

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Bene. E il “classico” che presentiamo oggi?

 

La canzone fu scritta nel 1973 da Dahmane El Harrachi (pseudonimo di ‘Abd al-Rahmān ‘Amrānī), uno dei più importanti musicisti chaabi (e dei più prolifici, con 500 canzoni all’attivo!). Di origini Chaoui, figlio di uno dei muezzin della Grande Moschea d’Algeri, scrisse questo brano per un amico che desiderava lasciare l’Algeria alla ricerca di un futuro migliore: con il suo testo, lo invitava a non partire per l’estero e a riflettere sulla sofferenza dell’emigrare (paradossalmente, El Harrachi stesso emigrò, divenendo famoso in Francia, con le sue celebri esibizioni nei caffè maghrebini). La voce graffiante di Dahmane e il sentitissimo tema fecero subito breccia nella diaspora algerina che aveva lasciato (e avrebbe continuato a lasciare) l’Algeria per l’Europa. Insomma, la canzone divenne subito un classico.

 

20 anni dopo, nel 1993, un altro artista algerino emigrato in Francia, il leggendario Rachid Taha, diede nuova vita alla nostra canzone chaabi. Rivendicando il patrimonio algerino “tradizionale”, registra una ben riuscita versione pop-raï del nostro brano, portandolo alla fama internazionale.

 

Insomma, il classico chaabi scritto da un emigrato per altri emigrati degli anni ’70, si trasforma per mano di un altro giovane emigrato in un “classico” raï, questa volta senza confini e senza tempo. Tant’è che la canzone c’entra ancora oggi con noi, e con questa rubrica: la diaspora araba continua, e non solo da una sponda all’altra del Mediterraneo.

 

A voi la versione originale, tanto “classica” quanto l’inconfondibile stile di Dahmane e i suoi baffetti, accompagnata da un suggestivo video vintage.

Buon ascolto (e visione)!

 

Canzone: Yā Rāyah

Artista: Dahmane El Harrachi

Data di uscita: 1973

Nazionalità: Algeria

 

 

[Qui la quarta canzone proposta nella rubrica T-arab

 

Oh, Tu che parti!

Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui[1], prima di te e di me, se ne sono pentiti!
Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui, prima di te e di me, se ne sono pentiti!


Quanti Paesi pieni di gente hai visto e quante terre deserte?
Quanto tempo hai perso? E quanto ancora ne perderai?
Oh emigrato[2] nel Paese di altri! Non capisci quanto tutto questo correre ti sfinisca?
Pensi di esser forte come il destino e il tempo, che seguono il loro corso?[3]

Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui, prima di te e di me, se ne sono pentiti!
Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui, prima di te e di me, se ne sono pentiti!


Perché il tuo cuore è così triste? Perché te ne stai lì come un miserabile?
Le difficoltà passano, ma se dovessero continuare, tu dimmelo, scrivimi!
E passano i giorni, e passa la gioventù, la tua e la mia.
Oh povero ragazzo! Ha perso la sua occasione, proprio come me!

Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui, prima di te e di me, se ne sono pentiti!
Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui, prima di te e di me, se ne sono pentiti!

Oh viaggiatore! Ti do un consiglio da seguire presto.
Guarda bene ciò che ti conviene, prima di vendere o comprare
Oh tu che dormi! Mi son giunte tue notizie: ti è successo quel che successe a me.
E così il cuore torna al suo Creatore, l’Altissimo.

Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui, prima di te e di me, se ne sono pentiti!
Oh, tu che parti! Dove vai? Finirai per tornare.
Quanti ingenui, prima di te e di me, se ne sono pentiti!

 

 

 

يا الرايح

 

يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي
يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي


شحال شفت البلدان العامرين والبرّ الخالي
شحال ضيّعت وقات وشحال تزيد ما زال تخلّي
يا الغايب في بلاد الناس شحال تعيى ما تجري
بيك وعد القدرة ولّا الزمان وانت ما تدري

يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي
يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي


علاش قلبك حزين وعلاش هكدا كي الزّوالي
ما تدوم الشدّة وإلا بطيت أعلم واكتبلي
ما يدوموا الإيام ولا يدوم صغرك وصغري
يا حليله مسكين اللّي خاب سعده كي زهري

يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي
يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي


يا مسافر نعطيك وصايتي إدّيها عالبكري
شوف ما يصلح بيك قبل ما تبيع وما تشري
يا النايم جاني خبرك كيما صرالك صرالي
هكذا راد وقدّر في الجبين سبحانه العالي

يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي
يا الرايح وين مسافر تروح تعيى وتولي
شحال ندموا العباد الغافلين قبلك وقبلي

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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[1] Al-‘ibād al-ghāfilīn. Il termine ghāfil (singolare di ghāfilūn/īn) indica una persona “disattenta” e “distratta” (il verbo ghafala significa appunto “non prestare attenzione”) e, per estensione, una persona negligente, incurante, immemore, sciocca o, appunto, ingenua. Il dizionario Traini indica anche “minchione” e “grullo”. In questo contesto il registro è indubbiamente più elevato.
[2] Il termine ghā’ib indica letteralmente una persona “assente”, “lontana”, dal verbo ghāba (“essere o rimanere assente e lontano”). Dato il riferimento al “Paese di altri”, si è preferito qui tradurre con “emigrato”.
[3] Esistono diverse versioni e conseguenti traduzioni per queste ultime due righe. Questo è quello che ci pare udire nella versione originale.

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