Il rapper tripolino ha uno stile unico, caratterizzato da una sofisticata intertestualità e da un uso magistrale della forza estetica della lingua araba, al punto che i suoi testi sono studiati all’università

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:08:29

El Rass, ossia “Il Capo” o “La Testa” è senza dubbio tra gli artisti più originali e innovativi della nostra rubrica T-arab e della scena musicale araba contemporanea. È davvero una fortuna che, in italiano, si trovino articoli e interviste molto interessanti e approfonditi a cura di Fernanda Fischione, ospite di Oasis nel passato evento virtuale Le Rivoluzioni Cantate: Musica e politica nel mondo arabo contemporaneo.

 

Proprio per tale ricchezza di materiale, in italiano ma anche in inglese e francese, oggi presentiamo brevemente il nostro cantante, evidenziando qualche sua peculiarità importante, così da lasciare il giusto spazio al denso testo della canzone scelta.

El Rass, al secolo Mazen el-Sayyed, è un rapper e produttore musicale di Tripoli (Libano). Dopo aver studiato ingegneria e aver lavorato in Francia nel settore bancario, Mazen torna in Libano come giornalista, per poi trovare la sua dimensione umana e musicale come musicista rap, definendosi provocatoriamente un “monaco matematico con un tocco gnostico-jihadista”.

 

Il suo stile è unico, versatile e in continua evoluzione: arrabbiato ma lucido, sovversivo e reazionario, mistico e mondano. I suoi testi sono contenutisticamente densi ma ritmicamente fluidi; il suo linguaggio è preciso, permettendogli riflessioni limpide, senza compromessi; i temi e gli approcci spaziano dalla critica sociopolitica all’analisi psicologica, intrecciandosi volentieri con i più svariati campi del sapere (soprattutto filosofia, storia e teologia). Musicalmente, un’alchimia spesso geniale tra tradizione ed elementi moderni e contemporanei.

 

Al suo attivo, El Rass ha sette album, decine di collaborazioni (in particolare con Jawad Nawfal, in arte Munma) e centinaia di singoli spesso semplicemente caricati sul suo profilo Soundcloud, una delle piattaforme preferite dalla scena araba underground e indipendente.

 

Alcune di queste canzoni si trovano tradotte parzialmente nel capitolo dedicato alla musica del volume Arabpop, firmato proprio da Fernanda Fischione. Ciò che colpisce sono i temi trattati, spesso molto puntuali e trattati con grande ricercatezza. Per citarne solo alcuni: si passa da canzoni sulla fortezza Europa (una si intitola proprio Lampedusa) a critiche feroci al sistema confessionale libanese, alla guerra in Siria, oppure riflessioni sull’orientalismo, sul panarabismo e sul topos del cantante impegnato.

 

Segnalo qui tre delle tante peculiarità di questo cantante, che ne fanno comprendere l’eccezionalità:

 

La produzione artistica di El Rass è di altissimo livello. I suoi testi sono oggetto di studio all’Università Americana di Beirut, dove il corso di letteratura araba contemporanea analizza in particolare il suo magistrale utilizzo della lingua araba in tutta la sua forza e i suoi registri, il rapporto tra testo, genere musicale, spazio geografico e cambiamento sociale e la forte intertestualità delle canzoni.

 

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Proprio questa intertestualità è un elemento di particolare interesse perché comprende spesso riferimenti islamici: l’utilizzo di tematiche sufi e di citazioni coraniche sembra puntare a una cosciente ri-semantizzazione del linguaggio e dell’esperienza religiosa (a tal proposito, consiglio l’ascolto di Islamology/3esh9, tra le perle del suo album-manifesto Kashf al-mahjūb). Non a caso, nelle sue interviste, torna spesso l’idea della centralità della Parola, in tutta la sua forza rivoluzionaria.

 

A proposito di rivoluzioni: El Rass è di Tripoli, “la madre della rivoluzione”, un dato anagrafico che il cantante sottolinea spesso: si considera infatti della “periferia”, e tenta dunque, attraverso le sue canzoni, di dar voce alle periferie e agli sconfitti del mondo arabo. Ne avevo parlato in questo articolo sulle proteste libanesi dell’ottobre 2019: in quel clima, El Rass mi era parso un predicatore che parla alle folle, esponendo una concezione di rivoluzione interiore ed esteriore, da buon adepto sufi.

Ci sarebbe molto altro da dire su questo “beduino digitale”, e non è detto che in futuro non gli si possa trovare lo spazio che merita.

 

Se, come me, ne apprezzate in particolare il lato introspettivo, vi consiglio Anā mish anā (“io non sono io”); se volete una canzone un po’ più “da rivoluzione in strada”, vi propongo Shuf (“guarda!”); per chi ama le metafore, decisamente ‘Āsifa bi-l-finjān (“tempesta in una tazza”); per chi conosce già la sua produzione passata, consiglio allora l’ultimo album, uscito poche settimane fa.

 

Per oggi vi proponiamo un assaggio, benché minimo, della sua densità “religiosa” con la canzone Islāmī (“il mio Islam”). Il testo è rappresentativo dello stile di El Rass. Il brano amalgama un arabo eloquente con dialetto libanese (o meglio, tripolino); si passa da un registro basso a uno elevato con grande discontinuità; la maggior parte dei termini utilizzati fanno implicito riferimento a dottrine islamiche, soprattutto teologia (kalām), giurisprudenza (fiqh) e sufismo (tasawwuf). Non mancano infine citazioni coraniche. La critica è sferzante, ma presenta anche spunti interessanti, che portano l’ascoltatore a interrogarsi su questioni intricate quanto fondamentali. Tutto questo, in un flusso di rime che esprimono al meglio la forza estetica della lingua araba.

Insomma, Mazen è proprio El Rass: una “testa” pensante che invita alla riflessione e all’introspezione.

 

Buon tarab!

 

Canzone: Islāmī

Artista: El Rass

Anno: 2016

Nazionalità: Libanese

 

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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Il mio Islam

 

Mi chiede se sono musulmano

Allora chiedo «Chi me lo chiede?»

Dipende da come comprende lui l’Islam

e su quali basi e a quale linea di pensiero appartiene.

[l’Islam] è genealogico o ereditario?

Ma allora significa che non lo scelgo io![1]

È una civiltà

che va dalla nostra preghiera alle nostre fognature?[2]

Oppure è uno Stato colonizzato

che accetta la sua sconfitta e la sua negazione?

O che si mescola con il neocolonialismo?

O una forma di illuminismo?[3]

Oppure è una rivoluzione che viene per correggersi?

L’essenza della ricerca religiosa è psicologica[4]

È una rivoluzione volta a comprendere il proprio essere.[5]

Questa mi piace![6] Riempimi il bicchiere!

 

Dicono: «La religione di Dio è l’Islam»

E «L’Islam è l’ultima delle religioni».[7]

Allora l’Islam non è una religione

Ma l’Islam è la fine delle religioni!

Per questo motivo loro seguono una religione, e io seguo la mia.[8]

Stanno lì, al limitare.[9]

 

[Si odono] percussioni indiane, e tu compi la preghiera del fajr?[10]

 

Dove va la religione del colonizzatore se è colonizzata?

Dove si sveglia il “sogno americano” una volta che gli americani dormono?

Come viene usato un Credo, quando si sfigura?

 

Un girotondo di civiltà!

Un girotondo di civiltà!

Un girotondo di civiltà![11]

Bene, ma che devo fare?

Dormo, o parlo in un altro modo?

 

Produciamo culture

Produciamo culture

Produciamo culture

Per finire dove?

Nell’ufficio del mio boia

Per firmare l’inevitabilità della mia condizione di schiavo

E divenire così l’uomo composto dai derivati del petrolio

che vagabonda languido e neutrale sulla faccia della terra,[12]

tranne quando si tratta di ripetere (meccanicamente),

di riciclare,[13]

di alterare ingenuamente (il senso),

senza una base interpretativa.[14]

 

«La conoscenza giova (ifāda) ai gentiluomini (sāda)»,

E persone onorabili (sāda) rilasciano una dichiarazione (ifāda)[15]

così che un eroe fatto di cartone

torni come un elemento decorativo nella mia patria.[16]

 

“Ti amo!” le disse lo stupido

“Peste persiana ti colga!” le ha detto lei.[17]

 

Non l’Islam di al-Khomeini e la dominazione coloniale iraniana[18]

Non l’Islam wahhabita che fa sposare un pappone con un estremista.[19]

Non l’Islam dei Fratelli Musulmani, una piramide, una cricca e la sua Guida[20]

Non l’Islam di al-Azhar, un insulto per quelli che usano il cervello.[21]

Non l’Islam delle confraternite, il mio Islam non ha bisogno di mediatori.[22]

Non l’Islam di Daesh, che ci porta stupidamente al suicidio.[23]

Non un Islam islamista, [voglio] un Islam attivo, generativo, non reazionario[24]

Non l’Islam degli Istituti occidentali, superiori o inferiori che siano.[25]

 

Io vado verso il mio Islam, non sto tornando ad esso,[26]

Il mio Islam è cristiano, nomadico e pure sedentario[27]

È ellenista, greco, razionale, ben fondato sulla lingua.

Il mio Islam obbliga alla rivoluzione ed esige riflessione

E la sua forma adatta è lo dhikr[28]

Affinché (nel mio Islam) la dimora dell’umiltà trovi sempre ospitalità.

Il mio Islam è la mia “arabità” e la mia “arabità” è la mia shāmīyya[29]

E i curdi fanno parte di questa mia famiglia.[30]

Alla mia sinistra, ho l’asceta del deserto,

alla mia destra ho il cavaliere di Baghdad,

nonostante io stia dando la schiena ad Atene,

sia idealmente che geograficamente,

e il mio viso sia rivolto verso il mio sud, verso la mia qibla occupata.[31]

Il mio Islam è essere onesti verso le malefatte della mia tribù imperfetta[32]

Così come la vedo, non così vorrei che lei mi vedesse.

 

Non siamo tutti “uno”?[33]

(“Uno”) è andato a Beirut

È rimasto “uno”.[34]

A volte può diventare “uno”,

quando si innamora…a meno che non sia ripugnante!

«Ti sei arrabbiato? Su, dammi un bacino, siamo tutti colonizzati, cara mia!»

 

La mia kefiyyah voleva seguire il vento della sorte, ma l’ho fermata.[35]

Il mio Islam non è ossessionato dalla morte,

ma è imprigionato nelle tue norme.

Ti sto chiedendo di dialogare con me, non di dirmi le tue scelte.

L’essenza del mio Islam non è convenzionale

e la religione è sia legge che miracolo,[36]

obbligo e carità,[37]

angelo e uomo,

simile e diversa.

Il mio Islam è un’arma per raffinare l’immaginazione,

affinché io sopravviva alla maledizione di Babele, padroneggiando le parole.

(Il mio Islam) non è cavalli e spade:

come osi trasformare l'Islam in un mucchio di fantasie, Anzour?[38]

Gli stessi concetti girano e rigirano,

in un rinnovamento trabocchetto[39]

Il mio Islam è un’arma psicologica[40]

per capire il significato dell’immagine

e l’entità della minaccia

Per non agire alla cieca, ma cercare una visione chiara

Per non agire alla cieca, ma cercare una visione chiara

Per non agire alla cieca, ma cercare una visione chiara

Per non agire alla cieca, ma cercare una visione chiara

Per non agire alla cieca, ma cercare una visione chiara

Per non agire alla cieca, ma cercare una visione chiara

 

(alta o bassa che sia).

 

 

 

إسلامي

 

عم يسألني إذا مسلم

فبسأل مين عم يسأل

حسب كيف بيفهم الإسلام

وع أيّ أساس هو للفكرة انتسب

هو نسب ولا ورتة

يعني مش أنا اللي بختاره

هو حضارة

يعني صلاتنا وخطط تصريفها الصحي

ولا دولة واستعمارها

تقبل هزيمتها وإنكارها

ولا الخليط مع الاستعمار الجديد

مظاهر استنارة

ولا ثورة جايي تصحح نفسها

أصل البحث الديني نفسي

ثورة على فهم النفس

بدّي منه املالي كأسي

 

قال الدين عند الله الإسلام

والإسلام آخر الأديان

يعني الإسلام مش دين

الإسلام نهاية الأديان

مشان هيك كلهم لهم دين ولي دين

عالحدود واقفين

 

طبلة بس هندية وبتصلي الفجر بالعين

وين بيروح دين المستعمِر لما يُستعمَر

وين ح يصحى حلمهن لمّا يناموا الأميركان

لما شكله يبلى كيف المعتقد يُستعمل

دورة حضارات

دورة حضارات

دورة حضارات

طب شو بعمل

بنام ولا بطعج لساني

 

بننتج ثقافات

بننتج ثقافات

بننتج ثقافات

وبالآخر لوين

ع مكتب جلّادي

تا وقِّع ع حتمية استعبادي

وصير الرجل المصنوع

من مشتاقات بترول

الهائم على وجه الأرض الهلامي الحيادي

إلا بشؤون الإعادة

وإعادة تدوير

بسذاجة التحوير

دون قاعدة تأويل

وللسادة الأفادة

ومن السادة إفادة

تا يرجع بطل كرتون

ديكور جديد لبلادي

"بحبِّك،" قاللها البهلة

قالتله "يحبك برص وعشرة فرس"

 

مش إسلام خميني ركوب إيراني استعماري

مش إسلام وهّابي زاوج قوّاد ومغالي

مش إسلام إخواني هرم مرشد البطانة

مش إسلام الأزهر بيكفي للعقل إهانة

مش إسلام الطرق ما في بإسلامي وسيط

مش إسلام دواعش عم ينتحرنا العبيط

مش إسلام إسلامي فاعل مُفعِل مش إفعالي

مش إسلام المعهد الغربي واطي أو عالي

 

أنا رايح ع إسلامي مش جايي منه

إسلامي مسيحي صحراوي ومصراوي برضه

هيليني يوناني عقلاني واللغة أرضه

إسلامي الثورة فرضه والفكر تكليفه

والذكر تكييفه

ليظل دار التواضع مُضيفه

إسلامي عروبتي وعروبتي شاميتي

والكردي خالي

يساري الزاهد الصحراوي

يميني الفارس البغدادي

مع إنه ظهري لأثينا بالفكرة وبالفلّة

ووجهي صوب جنوبي لقبلتي المحتلة

إسلامي مصارحتي بالعلّة لقبيلتي المختلة

متل ما بشوفها

مش ع أساس كيف بدي إياها تشوفني

 

ما نحن واحد

نزل ع بيروت

ضلّه واحد

إيام بيقلب واحد

بس ينغرم

مش واحد

ما بينهضم

زعلت

هاتي بوسة

كلنا مستعمَرون يا حنون

عيطت القافية لريح المنون

سكتتها

إسلامي مش مهووس بالموت

بس محبوس بمعيارك

طالب حوارك مش اختيارك

إسلامي مش مألوف مضمونه

والدين وجه شرع وجه إعجاز

وجه فرض وجه إحسان

وجه مَلك وجه إنسان

وجه متل وجه غير

إسلامي سلاح تهذيب الخيال

لـ قاوم لعنة بابل بتطويع الكلام

مش أحصنة وسيوف

هيك بتفنطظ الإسلام يا أنزور

ونفس المفاهيم بتدور

تجديد ملغوم

إسلامي سلاح نفسي

تا أفهم معنى الصورة

وحجم التهديد

مش غض بصر

سعي لبصر حديد

بواطي أو عالي   

  

 

 


[1] Nasab significa “lignaggio”, “stirpe”, “genealogia”, dal senso comune di “connessione” e può essere inteso, a seconda del contesto, sia come lignaggio biologico sia come filiazione spirituale. Si tratta di un termine fondamentale della cultura araba (si pensi alle tribù preislamiche della penisola araba) e in ambito islamico (ad esempio, nel diritto famigliare). I pensatori musulmani si sono lungamente interrogati sul ruolo della componente genealogica nel determinare la religiosità di un individuo (es. la questione del libero arbitrio) e di una società (es. la questione della coesione della umma con le sue diverse etnie), nonché sulla relazione tra nobiltà di lignaggio (nasab) e nobiltà di carattere (hasab). El Rass sembra qui affermare che l’individuo non può accontentarsi di abbracciare una religione solo per “lignaggio” o per mera “eredità”.
[2] Hadāra, lett. “civiltà”, “cultura”. El Rass ironizza qui sulla riduzione dell’Islam a un mero aspetto o fatto culturale, comparabile al sistema fognario di una data civiltà.
[3] El Rass fa riferimento qui ad alcune letture (spesso riduttive) del fenomeno Islam: la religione dello Stato colonizzato, una religione che si adatta a un certo modello di neocolonialismo, un Islam “illuminato”.
[4] Il termine nafsī, se inteso come sostantivo, può significare “la mia anima”, “il mio spirito”, o ancora “me stesso”. Come aggettivo, significa “spirituale”, “morale”, “psichico”, “mentale”, “psicologico”. In entrambe le accezioni, El Rass insiste su una rivoluzione “esistenziale” o perlomeno “interiore”.
[5] Ritorna qui la parola nafs, “anima”, “spirito”, “ego”, etc. L’imperativo socratico: “conosci te stesso” è già presente nei primissimi insegnamenti sufi, nei quali si sottolinea l’importanza di conoscere la propria anima (nafs) per poterla dunque raffinare (tahdīb) e purificare (tadzkiya).
[6] La maggior parte delle esclamazioni nel testo sono in arabo colloquiale libanese, creando discontinuità tra un discorso religioso impegnato e uno più immediato e informale.
[7] Il credente musulmano ritiene l’Islam la Rivelazione ultima (in particolare dopo quelle delle altre Religioni del Libro) e Muhammad il sigillo (ossia l’ultimo) dei profeti.
[8] Si tratta del celebre versetto coranico 6,109, che recita: “a voi la vostra religione, a me la mia”. Un versetto usato spesso per indicare (più o meno giustamente) una sorta di pluralismo religioso contemplato dal testo coranico.
[9] Hudūd, plurale di hadd (“limite”, “confine”, “frontiera”, “estremità”), è un termine coranico che (semplificando) indica, secondo la giurisprudenza islamica, i crimini e le relative sanzioni citati esplicitamente dal Corano. Il “loro” stare al limitare (hudūd appunto) può forse indicare una giurisprudenza tutta incentrata sulla pena e sulla “legge”, oppure un continuo orbitare intorno ai “limiti” dell’esperienza religiosa, senza gustarne mai la sua essenza; infine, potrebbe riferirsi al “limite” o “confine” invalicabile tra le due “religioni” (la loro e la sua).
[10] Il fajr (“alba”) è la prima delle cinque preghiere canoniche che il credente musulmano deve compiere giornalmente. Si noti l’accostamento di questo atto religioso alle percussioni indiane utilizzate nella canzone. Alcune scuole di pensiero islamiche considerano infatti la musica, foss’anche religiosa, proibita: l’accostamento della musica alla preghiera (e in generale a un discorso religioso) è dunque percepito da loro come particolarmente inappropriato.
[11] Si è voluto qui proporre “girotondo”, interpretando le linee precedenti come un continuo cambio di equilibri: il colonizzato diventa colonizzatore, i sogni si tramutano in sonno, il Credo cambia e si sfigura.
[12] Questi due aggettivi potrebbero riferirsi anche alla terra, “gelatinosa e neutrale”.
[13] Si noti il probabile gioco di parole con il termine tadwīr: esso indica infatti sia l’atto di “riciclare” sia l’atto di “recitare il Corano con un ritmo regolare, né lento né rapido”.
[14] In queste linee El Rass sembra criticare una certa passività e superficialità nel vivere la propria esperienza religiosa, per imitazione e per ripetizione meccanica nonché una religiosità “non ragionata”. Il termine tahwīr (“alterazione”) potrebbe fare riferimento alle “alterazioni” dei Libri rivelati prima del Corano (in particolare il Vangelo – al singolare – e la Torah). Il termine tawīl indica, tra le altre cose, un’interpretazione allegorica del Corano.
[15] Si tratta di un doppio gioco di parole tra ifāda (“dichiarazione”, “profitto”) e sāda (“signori”, “persone nobili”, “gentiluomini”). La prima espressione è un modo di dire arabo, che può essere parafrasato in questo modo: “Ti ho detto ciò affinché la mia conoscenza ti giovi, ti sia utile”.
[16] Non abbiamo saputo interpretare in modo univoco questo passaggio. Gli eroi di cartone sono forse i martiri mandati in guerra dai potenti (sāda) con una dichiarazione (ifāda), e ritornati in patria morti, ma celebrati nei cartelloni appesi agli incroci delle strade? Oppure: personaggi potenti (sāda) dalla dubbia condotta morale, alla loro morte, divengono eroi “fabbricati” (di cartone), acquisendo una nuova reputazione grazie alle dichiarazioni (ifāda) dei nuovi “potenti”, in una sorta di revisionismo storico favorito da un’amnesia collettiva?
[17] Habbak burs wa-‘ashra khurs («che ti amino la lebbra e dieci persone mute») è una risposta meschina a qualcuno che dice “ti amo” (uhibbuka/i). El Rass cambia qui la frase, dicendo: «che ti amino la lebbra e dieci persone persiane», introducendo il verso seguente, che parla dell’ayatollah iraniano al-Khomeini.
[18] In riferimento alla longa manus iraniana, in particolare sul Libano.
[19] In riferimento all’ipocrisia schizofrenica dell’Arabia Saudita, ove coesiste una rigida interpretazione dell’Islam, rivelatasi però spesso di facciata.
[20] Si noti qui l’uso del termine haram (“piramide”, ma anche “gerarchia”) che allude all’origine egiziana dei Fratelli Musulmani e alla loro organizzazione verticistica, capeggiata dalla Guida generale (murshid al-‘ām). Al-bitāna è un termine coranico (3,118) che indica persone “intime”, “vicine”, “familiari”, qui utilizzato in modo negativo con il senso di “cricca” o “consorteria”.
[21] El Rass sembra qui criticare al-Azhar (e in particolare la sua Università), descrivendola come sede di un Islam intellettualmente debole.
[22] Tarīqa, pl. turuq indica la “confraternita” (in particolare sufi), un’istituzione qui criticata da El Rass per “mediare” (soprattutto nella persona dello shaykh o maestro spirituale della tarīqa) tra il credente e Dio.
[23] Dawā‘ish, plurale di dā‘ish, è un termine utilizzato per indicare i componenti dell’organizzazione del cosiddetto Stato Islamico (ISIS), che ha acquisito nell’uso comune il senso negativo di “bigotto che impone le sue opinioni”.
[24] El Rass si rifà qui alla grammatica araba e alle sue forme verbali per caratterizzare questo islam islamista come reazionario (if‘ālī), mentre il suo è un islam fā‘il e muf‘il, forme verbali attive e “generative”.  
[25] È chiaro qui il riferimento ai centri di ricerca, istituti di formazione e organizzazioni occidentali che, a diverso livello, si occupano di Islam.
[26] Un sottile riferimento alla concezione dell’Islam come (a seconda della scuola di pensiero) religione naturale o primordiale dell’essere umano, alla quale si “ritorna” nel momento della conversione; alternativamente, in riferimento all’idea soprattutto salafita (da salaf, “antenati”) di un Islam che ha come punto di riferimento il passato, ossia l’Islam delle origini.
[27] Lett. sahrāwī “desertico”. Vi è qui forse un’eco della celebre contrapposizione tra il deserto e le città (amsār), cancellata nella concezione di Islam che El Rass desidera. Oppure, più semplicemente, come sembra indicare il termine squisitamente egiziano bardu (“anche”), masrāwī significa un islam “egiziano”.
[28] El Rass gioca qui con termini teologico-giuridici islamici, come fard (“obbligo”), taklīf (“imposizione”), takīyf (“caratterizzazione” o “adattamento”, sottointeso della giurisprudenza islamica). Dhikr invece è la pratica spirituale squisitamente sufi del “ricordo-menzione” di Dio e dei suoi attributi.
[29] Ossia della regione storica del bilād al-shām o Grande Siria.
[30] Lett. “il curdo è mio zio materno”.
[31] Seguendo i primi due riferimenti geografici, il cantante dovrebbe avere il viso rivolto ad Atene. Come sottolinea però, la sua qibla (“direzione della preghiera musulmana”) è occupata, in riferimento alla città di Gerusalemme e dunque El Rass si rivolge nella direzione opposta a quella di Atene.
[32] Dal verbo ikhtalla, lett. “essere guasto”, “in disordine”, “mancante”, “difettoso”, “imperfetto”, “turbato”.
[33] Qui inizia un intricato gioco di parole e pronunce: “non siamo tutti uno?”, frase che potrebbe ironicamente scimmiottare una certa retorica libanese di “unità”, potrebbe anche essere parafrasata con: “c’era una volta uno che…”.
[34] El Rass gioca qui con la pronuncia “regionale”: la prima, la seconda e la terza volta “uno” è pronunciato con un certo accento (quello beirutino?), mentre l’ultima volta è pronunciato con un accento diverso (tripolino?).
[35] Un probabile riferimento alla causa palestinese e alla volontà di sacrificare la propria vita per essa. Il termine manūn indica infatti la “sorte” ma anche la “morte”.
[36] Si tratta di due termini islamici fondamentali: shar‘, da cui sharī‘a, traducibile sommariamente con “legge divina” e ‘ijāz, ossia “incapacità”, sottointeso “di imitare il Corano”, e dunque traducibile con “inimitabilità” e, per estensione, “miracolo”.
[37] Anche in questo caso si tratta di due termini islamici fondamentali: fard, già visto sopra, indica le azioni “obbligatorie” che il credente musulmano deve compiere; ihsān è un termine polisemico che indica “beneficienza”, “carità”, “benevolenza” ma anche “l’eccellenza” nella fede alla quale ciascun credente musulmano deve aspirare.
[38] Si tratta forse di un riferimento al celebre regista siriano Najdat Anzour che, soprattutto a partire dal 2011, passò alla cronaca per alcune sue posizioni islamofobe.
[39] Si tratta di un riferimento alla tanto discussa questione di un “rinnovamento” o, in termini conciliari, di un “aggiornamento” della religione islamica.
[40] Nafsī, si veda nota 4.

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