Gli avvenimenti che dal 2010 si susseguono nel mondo arabo hanno fatto riemergere questioni come la laicità, le libertà, la cittadinanza e il ruolo della religione nella vita quotidiana. Alcune proposte per uscire dalla crisi attuale

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:03:54

Le guerre e le crisi globali – politiche, sociali, economiche, intellettuali, religiose e persino morali – che stanno scuotendo le società di lingua araba rappresentano con ogni evidenza un tornante storico.  Un’analisi del fenomeno rivela che in gioco non c’è solo la distruzione materiale, ma una vera e propria messa in discussione delle relazioni tra i membri di una stessa società, tra i rappresentanti delle varie comunità, tra gli individui e le rispettive comunità, tra lo Stato e i suoi “cittadini/sudditi”, tra le religioni e i loro adepti e tra i credenti di una stessa religione. In altre parole, l’intero sistema di pensiero dello spazio arabo è messo in discussione.

 

Nel suo Manifesto al servizio del personalismo, pubblicato nel 1936 in seguito alle crisi che avevano travolto la Francia e l’Europa[1], il filosofo francese Emmanuel Mounier sottolineava che si trattava del crollo dello spazio di una civiltà, quello nato «verso la fine del Medioevo», e che era ormai necessario contribuire alla «nascita di una nuova civiltà le cui coordinate e convinzioni sono ancora confuse». Per Mounier era giunto il momento in cui gli intellettuali avrebbero dovuto svolgere un ruolo di primo piano nell’avvento di un nuovo “Rinascimento”[2].

 

Lo spazio arabo, compreso il Libano, affronta oggi una situazione simile. Gli intellettuali di lingua araba devono realizzare una nuova Nahda o Rinascimento. Da qui la moltiplicazione di think-tank, centri di ricerca, università, pensatori, intellettuali, attivisti, filosofi, storici, sociologi, politologi e persino uomini di religione che orientano il loro pensiero in questa direzione.

 

Per una laicità del Mashreq

 

Nei dibattiti che avvengono in tale contesto hanno una particolare rilevanza il tema delle libertà e quello dei rapporti tra Stato e religione e quindi della laicità.

 

La storia di una laicità orientale intrinsecamente legata alla “libertà di coscienza” non risale al XXI secolo. Infatti, già nel 1861, dopo la guerra fratricida tra cristiani e drusi nel Monte Libano (1860), un letterato libanese, Boutros al-Boustani (1819-1983), considerato il Diderot degli arabi[3], esprimeva apertamente nella sua rivista, La tromba della Siria (Nafīr Sūriyā), la necessità di separare politica e religione:

 

Figli della patria, quando ripercorriamo la storia dei popoli e delle nazioni, vediamo chiaramente cosa succede agli uomini e alle religioni quando queste ultime si mescolano alle questioni politiche e quando le questioni religiose si confondono con quelle civili. Solo Dio sa quanto quest’illegittima mescolanza di religione e politica abbia contribuito alla nostra attuale decadenza[4].

 

In accordo con lo spirito dei Lumi, Boustani, un maronita convertitosi al protestantesimo, cerca di relegare la religione alla sfera privata. Essendo solo una “relazione tra il credente e il suo creatore”, la religione deve essere «distinta» dalle «cose della Stato» che appartengono alla sfera pubblica. Se il privato deve essere distinto dal pubblico, allora la religione deve essere separata dalla politica o dal potere civile:

 

Finché il nostro popolo non distinguerà tra la religione, che è la relazione tra il credente e il suo creatore, da un lato, e le cose dello Stato, che sono tra l’uomo e il suo compatriota o il suo governo, dall’altro, finché non porremo un confine e una separazione tra questi due ambiti, non avremo speranza di successo in nessuno dei due[5].

 

Nel decimo numero del Nafīr, Boustani descrive e riassume il suo punto di vista sulla necessità di separare il potere religioso dal potere politico. Questa separazione sarà menzionata più tardi nel dizionario al-Muhīt (L’Oceano), compilato dallo studioso nel 1871, alla voce “laico” (‘almānī). È sulla base di questo termine che la laicità trova il suo equivalente nella lingua araba: al-‘almāniyya che deriva dalla parola ‘ālam, il mondo. Boustani scrive:

 

È assolutamente necessario separare la ri’āsa (o potere sacerdotale [o spirituale]) dalla siyāsa (o potere politico). La ri’āsa riguarda essenzialmente le cose interiori e immutabili che non variano nel tempo e secondo le circostanze. È l’opposto della siyāsa, che si occupa di cose esterne e mutevoli, suscettibili di cambiamento in base al luogo, al tempo e alla situazione [...]. I paesi civilizzati hanno ben visto i danni causati dalla mescolanza tra religione e politica. Hanno posto una barriera tra i due poteri affinché nessuno dei due possa attentare agli interessi dell’altro [...]. Questa barriera deve peraltro soddisfare anche gli uomini di religione che sono entrati in funzione dalla porta principale. Li libera da un gran numero di incombenze temporali e dà alla loro coscienza un po’ di riposo affinché non trascurino i doveri a cui hanno dedicato la loro vita[6].

 

Boustani non si limita ad enunciare il principio della distinzione o addirittura della separazione tra il campo religioso e quello politico, ma considera tale principio una condizione necessaria per accedere al mondo civilizzato. In altre parole, Boustani è molto vicino allo spirito del Rinascimento e dell’Illuminismo europei quando afferma che la laicità è la porta passando attraverso la quale un Paese, una nazione, un popolo o una società rinunciano alla loro situazione di sottomissione al potere religioso – che esercita la sua influenza sulla società, sulla morale, sulla politica, ecc. ­­ e annunciano la loro adesione allo spirito dei tempi moderni dove il principio primario non è più la religione, ma la ragione e la volontà umana.

 

Certamente Boustani rimane un cristiano convinto. Ma è anche persuaso che le società orientali possano fare il loro ingresso nella modernità e tornare a essere protagoniste dello sviluppo della civiltà umana solo uscendo dall’epoca religiosa; e questa uscita può essere realizzata solo attraverso la separazione tra religioso e politico, tra religione e Stato, tra potere spirituale e civile. Non è un caso che il sacerdote maronita, islamologo ed esperto di dialogo islamo-cristiano, Youakim Mubarak, veda nelle parole di Boustani «il punto di partenza del discorso arabo che invoca la distinzione tra il politico e il religioso»[7].

 

Boustani spiega questa laicità nella sua Enciclopedia, quando sviluppa il concetto di libertà: al-hurriyya[8], per lui, è «il contrario della schiavitù». Rappresenta «lo stato in cui l’uomo possiede la capacità di fare o meno qualcosa per propria scelta». Essendo una «libertà morale» che permette all’uomo di scegliere tra il «bene» e il «male», la libertà di coscienza, di volontà e di spirito si trova al vertice della scala delle libertà proposte da Boustani. Due secoli dopo Cartesio (1596-1650), il filosofo del libero arbitrio e della libertà di coscienza, e quasi sessant’anni prima della promulgazione nel 1948 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo di Parigi, lo studioso consacra la «coscienza» a «principale guida della libertà umana». Questa forma di libertà sembra essere molto più ampia della «libertà religiosa», che per lui significava il diritto di ognuno di credere in qualsiasi religione che egli consideri vera. La libertà di coscienza differisce anche dalla «libertà di culto», che si riferisce al diritto dei capi delle varie confessioni di insegnare la propria fede e di praticare pubblicamente la propria religione o il proprio credo.

 

Gli eventi che si sono susseguiti nel mondo arabo dal 2010 in avanti hanno fatto riemergere domande che le società arabe avevano smesso di porsi durante l’epoca dei vecchi regimi, quella in cui leader totalitari si dichiaravano arabisti. La libertà di coscienza e di credo è concepibile al di fuori di un sistema di vita che separa Stato e religione, temporale e spirituale? E una tale libertà è possibile in un Paese la cui Costituzione dichiara che una religione particolare sia quella ufficiale dello Stato e della società?

 

Un ulteriore passo è compiuto dal filosofo libanese Nassīf Nassār, che a sua volta ha utilizzato il concetto di laicità come risposta alla crisi delle società di lingua araba. Lo ha fatto in una riflessione sviluppata nell’arco di più decenni, cioè dal 1970, quando fu pubblicato il suo libro Per una nuova società, fino al 29 novembre 2018, data della cerimonia organizzata in suo onore dall’Università Antonina e dall’Institut du Monde Arabe di Parigi (IMA). Il suo punto di partenza è la critica al confessionalismo, che, secondo lui, non è altro che l’espressione della mentalità medievale e della struttura religiosa, sociale e cognitiva ereditata dagli antichi; una mentalità e una struttura che si dimostrano incapaci di adattarsi ai nostri tempi. Detto questo, la nuova società araba deve poggiare su due pilastri, cioè la laicità e la scienza, senza le quali ogni tentativo di costruire uno Stato moderno che garantisca le libertà individuali e sia compatibile con lo spirito del nostro tempo è destinato a fallire. Per Nassār, lo Stato moderno dovrebbe essere espressione della «società laico-scientifica». È in quest’ultima che il confessionalismo politico può essere eliminato garantendo al tempo stesso la sopravvivenza delle comunità religiose e le libertà individuali.

 

È invece una “laicità gentile” quella proposta, sulla scia di Boustani e Nassār, da Mouchir Bassil Aoun, professore di filosofia all’Università libanese, per superare la crisi attuale delle società arabe. Egli sviluppa la sua teoria in tre libri: Entre la religion et la politique, Bayna al-ibn wa al-khalīfa (“Tra il figlio e il vicario”) e Anthropologies croisées, essai sur l’interculturalité arabe. Il suo approccio, antropologico, mira a identificare gli elementi costitutivi dell’identità umana nel Cristianesimo e nell’Islam. Secondo la visione cristiana, l’uomo è il “figlio erede” di Dio, un figlio che, una volta creato e salvato, diviene libero. È per questa ragione, spiega Aoun, che il Cristianesimo sembra più conforme all’idea di libertà rispetto all’Islam. Perché nell’Islam, l’uomo è visto come «vicario sovraintendente» (khalīfa): egli è, secondo Aoun, profondamente condizionato dalle parole e dai precetti del Corano e della sunna, condannato ad applicare la legge divina espressa nella sharī‘a.

 

Per sottrarsi all’annoso confronto tra le due religioni, Aoun propone una «laicità gentile, riconoscente e dialogica»[9] in cui la libertà non è più un dono divino ma una qualità intrinseca dell’essenza umana, nella quale trova la sua fonte. È nel quadro di questa «laicità gentile» che l’uomo può ritrovare la sua libertà e riscoprire la sua individualità e dignità. Per quanto riguarda le caratteristiche principali di questa laicità, essa innanzitutto «distingue» tra la religione e lo Stato, ma non li «separa», ciò che le conferisce il suo carattere aperto, gentile e dialogico. Questa laicità trova il suo fondamento ideologico, secondo Aoun, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Quest’ultima garantisce la libertà di coscienza che permette a ogni individuo di esprimere le proprie convinzioni, opinioni e sensazioni e stabilisce la neutralità oggettiva dello Stato nei confronti di tutte le religioni esistenti sul suo territorio. Per questo può assolvere al compito di ripristinare la dignità dell’individuo in Oriente.

 

Riscoprire la personalità e la soggettività

 

Se Mouchir Bassil Aoun, nel suo appello a una laicità gentile, aperta e dialogica insiste sull’importanza dell’«individuo», è perché vede che il sistema di pensiero arabo, con le sue declinazioni in campo sociale, politico e giuridico, non concede ai suoi soggetti il diritto a «un’individualità totale e indipendente». In questo spazio arabo, il soggetto è sempre considerato in riferimento a una religione, una comunità confessionale, una famiglia o una tribù. Di conseguenza, l’individuo non gode della possibilità di comportarsi in maniera indipendente dalla sua comunità religiosa. Nella carta politica redatta dal Consiglio patriarcale svoltosi tra il 2003 e il 2006, la Chiesa maronita esprime in modo eccellente questa tensione tra individuo e comunità, cercando una via d’uscita con la seguente formula: «chiediamo uno Stato “civile” in cui religione e Stato siano chiaramente distinti, fino al limite della separazione, [... riconoscendo allo stesso tempo] la necessaria armonia tra il diritto del cittadino-individuo di scegliere, gestire i propri affari e costruirsi il proprio futuro, e il diritto delle comunità di esistere ed essere libere»[10]. In altre parole, in questo testo, la Chiesa maronita chiede allo Stato di riconoscere ai suoi cittadini due status: quello di individuo-cittadino e quello di membro di una comunità religiosa. Questa formula riflette il tentativo di armonizzare, nella persona di ogni cittadino, la libera individualità e la dimensione comunitaria e religiosa. Ciò vuol dire che ogni libanese è allo stesso tempo un cittadino, un individuo, un credente e un membro di una confessione.

 

Questa idea è contenuta anche nel discorso che Papa Francesco ha pronunciato al Parlamento europeo nel 2014; un appello che ha avuto molti echi nella stampa libanese. In quell’occasione, il Papa ha invitato l’Unione Europea a promuovere la «dignità della persona»: si tratta di superare la nozione di individuo «staccato da ogni contesto sociale e antropologico», e adottare la nozione di «persona», che, a sua volta, riconcilia l’individuo con la sua dimensione sociale, avendo come conseguenza il riconoscimento del «bene comune» e della «sua dignità trascendente». Questo consiste nel riconoscere «la sua innata capacità di distinguere il bene dal male» e «la bussola inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato». Questa persona invocata da Papa Francesco comprende quindi tre dimensioni: l’individuo, la società e l’aldilà.

 

Come abbiamo detto, la nozione di “persona” ha cominciato a essere valorizzata negli anni ’30, in Francia, con il filosofo cattolico Emmanuel Mounier (1905-1950), fondatore e direttore della rivista Esprit e promotore del personalismo, un movimento di pensiero che fa della «personalità la categoria suprema e il centro della concezione del mondo». Il personalismo si propone come un umanesimo che fa dell’individuo un essere aperto all’“altro” e all’“oltre”.

 

Significativamente, questo personalismo occidentale – o francese, piuttosto – fece il suo ingesso sulla scena intellettuale libanese e orientale tra gli anni ’50 e ’60 del XX secolo attraverso il “Cenacolo libanese” e il suo principale relatore, René Habachi, che trovò in questo umanesimo una corrente di pensiero capace di adattarsi alla realtà libanese e orientale. In parallelo a questi sforzi del Cenacolo tesi a orientalizzare e arabizzare il personalismo, vedono la luce anche le opere di pensatori maghrebini come Mohammad Aziz Lahbabi, che nel suo libro Personnalisme musulman[11] cerca di rendere compatibile questa categoria con la società maghrebina e con la dottrina musulmana.

 

A questo punto c’è da chiedersi se questi concetti di “persona orientale” o “magrebina e musulmana” siano in grado di risolvere la crisi dell’individuo nel mondo arabo in generale e in Libano in particolare – questo individuo che rappresenta la premessa di ogni laicità che sia garante delle libertà individuali, quali la libertà di coscienza, di convinzione, di credo e di culto.

 

L’Oriente in generale e il Libano in particolare stanno affrontando profondi cambiamenti. Si discutono di nuovo le questioni del tempo della Nahda, come la laicità, le libertà, l’individuo, la persona, la cittadinanza, la diversità, la convivenza interreligiosa e, soprattutto, il posto della religione nella vita quotidiana. Se il XX secolo è stato un «secolo trascorso invano», come annunciato da Jean Lacouture, Ghassan Tuéni e Gérard Khoury[12], il XXI secolo potrebbe essere il secolo dei grandi dibattiti, proprio attorno a questa domanda centrale: qual è l’idea cardine attorno alla quale costruire un progetto di civiltà – nelle sue dimensioni politiche, sociali, economiche e culturali – che sia compatibile con le aspirazioni e i bisogni delle popolazioni di lingua araba?

 

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[1] Emmanuel Mounier, Le personnalisme, PUF, Paris 2009.
[2] Idem, Introduction aux existentialismes, Presses universitaires de Rennes, Rennes 2010.
[3] È autore della prima enciclopedia in lingua araba: Dā’irat al-ma‘ārif, redatta tra il 1875 e il 1883.
[4] Boutrus al-Boustani, Lettera alla nazione, «Nafîr Sūriyā» n. 1, n. 7, Beirut (29/09/1860); (19/11/1860).
[5] Idem, Lettera alla nazione, «Nafîr Sūriyā» n. 9, Beirut (14/01/1861).
[6] Idem, Lettera alla nazione, «Nafîr Sūriyā» n. 10, Beirut (22/02/1861).
[7] Youakim Moubarak, Pentalogie antiochienne/Domaine maronite. Livre d’histoire, écrits fondateurs et textes à l’appui, tomo I, vol. 2, Le Liban entre l’islam, la France et l’Arabité, Publications du Cénacle libanais, Beirut 1984, pp. 1217-1219.
[8] Boutrus al-Boustani, Enciclopedia araba, «al-Hurriyya», volume 7, pp. 2-7.
[9] Mouchir Basil Aoun, A ha’ulā’ hum al-Lubnāniyyūn. ‘Awārid al-idtirāb al-bunyawī fī al-dhāt al-lubnāniyya, Dār Sā’ir al-Machreq, Beirut 2016, p. 150.
[10] Concile patriarcal maronite, textes et recommandations, 3e dossier « L’Eglise maronite et le monde d’aujourd’hui », texte n. 19 « L’Eglise Maronite et la politique », paragraphe 44-45, Bkerki 2006, p. 721.
[11] Mohammad Aziz Lahbabi, Personnalisme musulman, PUF, Paris 1967.
[12] Jean Lacouture, Ghassan Tueni et Gérard D. Khoury, Un siècle pour rien : le Moyen-Orient arabe de l’Empire ottoman à l’Empire américain, Albin Michel, Paris2000.

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