La grandezza della mistica musulmana di Ibn ‘Arabi

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:16

Copertina Una piccola morte Alwan.jpgRecensione di Mohamed Hasan Alwan, Una piccola morte, trad. di Barbara Teresi, Edizioni e/o, Roma 2019

 

Il papavero è anche un fiore, così si intitolava un film ormai datato ma abbastanza noto sul traffico di stupefacenti, ricordandoci che paradossalmente all’origine di tutto c’è qualcosa di ben diverso... un fiore, appunto, legato ai campi di grano o ai prati in cui tutti abbiamo giocato da bambini. Per quanto tragici possano essere eventi come le recenti stragi di cristiani assassinati proprio nel giorno di Pasqua in Sri Lanka da parte di esponenti di gruppuscoli terroristici islamisti, non dovremmo mai dimenticare che una tradizione religiosa lunga 14 secoli e con oltre 1 miliardo e 600 milioni di fedeli è stata e rimane “anche” e soprattutto “altro”.

 

La mistica musulmana, in particolare, ha dato all’umanità alcuni giganti della spiritualità, paragonabili in ambito cristiano a S. Giovanni della Croce o a Teresa d’Avila, ma ben pochi sono conosciuti se si eccettua l’interesse esotista o folkloristico suscitati da confraternite come quella dei dervisci danzanti.

 

Ibn ‘Arabi (Murcia 1165/Damasco 1240), noto come al-Shaykh al-Akbar (Il Sommo Maestro), è stato forse il maggior esponente del sufismo, anche se la complessità del suo pensiero lo ha reso meno accessibile di altri e pur essendo caduto in accuse di deviazionismo, se non di aperta eresia, a causa essenzialmente della sua visione monista, ritenuta una sorta di panteismo inaccettabile da parte dei custodi più rigidi dell’ortodossia. Proprio per questo il libro che segnaliamo è per molti aspetti dirompente.

 

Anzitutto l’autore di questa biografia romanzata è originario dell’Arabia Saudita, Paese in cui domina una scuola di pensiero tra le meno tenere verso il Sommo Maestro (la cui opera principale paradossalmente s’intitola invece al-Futuhāt al-Makkiyya, ossia le ‘illuminazioni’ da lui ricevute durante il suo lungo soggiorno nella città santa de La Mecca). Vincitore di più premi letterari, il testo ha inoltre intercettato la sete di spiritualità che pur esiste tra i musulmani, anche se non si tratta purtroppo di una delle tematiche che attraggono maggiormente l’attenzione mediatica.

 

In sostanza è la vita di un santo. Niente di più, ma anche nulla di meno. Non vi troverete la spiegazione di dottrine esoteriche né episodi miracolosi, quanto piuttosto la trama di una vita quanto mai girovaga e soggetta a vari sbalzi di fortuna, semplicemente vissuti da un’anima in costante ricerca di Dio. Sono invece i tratti del suo carattere a emergere, soprattutto nelle relazioni umane alle quali (compresi più matrimoni) il grande mistico non si sottraeva (salvo qualche periodo di volontario isolamento, dopo essersi assicurato che nessuno tra quanti dipendevano da lui potesse ritrovarsi nel bisogno), ma anzi attraverso le quali più luminosi si esprimevano i frutti della sua costante preghiera e meditazione: pazienza, benevolenza, calma, equilibrio e cautela nei rapporti coi detentori del potere.

 

Una menzione speciale merita la traduttrice che ha svolto egregiamente il compito di volgere dall’arabo in italiano un libro voluminoso e impegnativo mantenendone il più possibile la qualità letteraria.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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