Diverse ipotesi circolano sull’esplosione che ha devastato la capitale libanese. In ogni caso la tragedia viene da lontano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:07

Non è la prima volta che il Libano si trova a fare i conti con la devastazione. Chi ha assistito alla guerra civile degli anni ’70-’80 e poi al conflitto tra Israele e Hezbollah del 2006 giura però di non aver mai visto nulla di simile alla deflagrazione che in pochi attimi ha sventrato Beirut, mandando in frantumi anni di paziente ricostruzione post-bellica.

 

Secondo fonti libanesi ufficiali, la catastrofe sarebbe stata prodotta dall’esplosione di 2700 tonnellate di nitrato di ammonio, sequestrate anni fa a una nave in transito e conservate senza alcuna precauzione in un deposito non lontano del centro cittadino. La banalità del male avrebbe in questo caso il volto sconcertante dell’imperizia. Ma c’è anche chi ipotizza che a esplodere sia stato un deposito di armi. La metafora della “polveriera”, molto utilizzata per descrivere la situazione mediorientale, assumerebbe allora dei tratti drammaticamente concreti. Non è da escludere che le due ricostruzioni possano convergere: lo scoppio in un deposito di armi che a sua volta provoca l’esplosione di un deposito di nitrati.

 

In ogni caso, la tragedia viene da lontano: una guerra regionale che si combatte sulla pelle dei libanesi per il tramite di fazioni perennemente in lotta, prolungamento di interessi stranieri o concentrate esclusivamente sul proprio tornaconto; decenni di malgoverno e corruzione dilagante; un delicato sistema di convivenza tra comunità religiose diverse degenerato in una rete di clientele. La grave crisi economica e la povertà in rapido aumento sembravano aver certificato in maniera sufficientemente chiara il fallimento di un’intera classe politica. Invece il peggio doveva ancora arrivare.

 

Solo qualche settimana fa, il Patriarca maronita Bechara Rai aveva invitato i politici del Paese a restituire al Libano la sua neutralità, così da sottrarlo ai conflitti che stanno disintegrando il Medio Oriente. A questo punto non basta più che il Libano si chiami fuori dalla contesa. Occorre che tutti cooperino per rimetterlo in piedi, lasciandosi alle spalle rivalità e interessi particolari. In un celebre discorso del 1989, Giovanni Paolo II aveva affermato che «il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente!». Nel corso del tempo, la frase ha subito lo stesso logorio che ha consumato il Paese, diventando molto spesso uno slogan da usare convenzionalmente nelle occasioni ufficiali. Ma ciò non significa che il suo contenuto abbia cessato di essere vero. Beirut non può essere abbandonata al suo destino. Va invece aiutata in ogni modo a risollevarsi, perché riconquisti la propria vocazione.

 

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