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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:34

Autore: Michael J. Perry Titolo: The Political Morality of Liberal Democracy Editore: Cambridge University Press, New York, 2010 Michael Perry ha mostrato da tempo quanto in profondità si radichi il diritto dell’Occidente contemporaneo. Documentando nei suoi lavori l’intreccio tra gli ordinamenti e i presupposti filosofici e morali sui quali le relative società si fondano, ha messo a nudo come il discorso giuridico attinga inevitabilmente alla moralità, ai costumi e alle attitudini di un popolo. Se vogliamo, questo è -stato finora forse il suo maggiore contributo: ha chiarito come il passaggio dal piano giuridico a quello antropologico, filosofico e morale, tanto frequente nei dibattiti che dividono le società politiche contemporanee, non sia una fenomeno patologico, ma piuttosto fisiologico. Il legame tra il tessuto sociale, i suoi valori di riferimento e le relative declinazioni giuridiche è inevitabile. Il pluralismo contemporaneo semplicemente lo fa emergere con una chiarezza inconsueta, perché la diversità di posizioni impone a ciascuno degli interlocutori maggiori argomentazioni, più fitte e articolate. Nella sua ultima fatica editoriale il legame viene esplicitato fin dal titolo. Perry assume un punto di vista particolarmente interessante: basandosi sull’ideologia contemporanea dei diritti umani, egli ricostruisce la moralità politica che essi esigono dai cittadini. In sostanza, segue un percorso che dal costituzionalismo e dalla filosofia del diritto risale al dato sociale, interrogandosi su quale sia, per così dire, l’identikit del cittadino e della società che animano le democrazie liberali. Se Böckenförde aveva sostenuto che i regimi liberaldemocratici non sopravvivono senza delle precise condizioni culturali e sociali, egli sembra fare un passo in più, per aggiungere che quei regimi esigono dal cittadino un certo ethos. Qui inizia la parte più delicata del percorso di Perry. Infatti, è proprio sull’identikit del cittadino che il volume non mancherà di suscitare consensi quanto contestazioni. Perry, dopo una prima fase fondativa, passa ad affrontare argomenti estremamente sensibili, come aborto o matrimonio omosessuale, o il rapporto tra giudici e legislatore. È da questi esempi concreti che egli ricostruisce la moralità politica del cittadino delle democrazie liberali. Il cittadino che egli ha in mente partecipa alla produzione di un diritto che deve avere come scopo il perseguimento di un interesse pubblico e deve essere motivato da ragioni secolari. Due criteri che, coniugati, secondo l’autore potrebbero condurre, ad esempio, a vietare l’aborto ma non certo ad impedire il riconoscimento delle unioni omosessuali. In sostanza, Perry sembra riproporre la fondazione classica delle democrazie liberali, adeguandola alle urgenze contemporanee. Egli infatti propone di ritagliare uno spazio sufficientemente preciso per le deliberazioni collettive (gli argomenti di interesse pubblico) e di escludere le argomentazioni meramente religiose. Una posizione naturalmente discutibile, che tra l’altro mostra sorprendenti assonanze con certa sensibilità europea, particolarmente attenta a preservare il carattere areligioso della produzione giuridica e delle medesime ragioni che la sostengono. L’aspetto interessante e innovativo della riflessione di Perry sta però proprio nella parte fondativa: la concezione del diritto come di una dimensione esigente, che richiede una certa moralità da parte del cittadino. L’idea di uno stato minimo, per interessi che cura (solo quelli pubblici) e per le ragioni assolutamente pratiche che ne dettano l’azione, viene generalmente teorizzata separando chiaramente la sfera privata da quella pubblica, quella individuale e sociale da quella politica. Perry ragiona al rovescio. Uno stato minimo, nel senso sopra precisato, esige che i cittadini si comportino di conseguenza. Per Perry non sembra esistere una frattura tra la dimensione morale individuale e quella politica; al contrario, il legame è tale che la seconda dà una certa fisionomia alla prima. Un modo di pensare il liberalismo non così consueto.

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