Il ”modello libanese” /1. Il “federalismo personale” sancito dalla Costituzione ha favorito educazione e istruzione come in nessun altro Paese arabo. Una lettura attenta mostra come le tendenze alla disgregazione dipendano non dal principio ma dal suo rifiuto.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:30

Il Libano d’oggi è al centro di tre grandi problemi internazionali, quello dei rapporti tra le religioni e del dialogo interreligioso e interculturale, quello dei sistemi di suddivisione dei poteri e della loro efficacia e quello delle piccole nazioni nel sistema internazionale odierno. Questi tre grandi problemi, miniaturizzati nel Libano, a volte tradotti in conflitti anche esplosivi per ragioni interne ed esterne intrecciate, e circa i quali ci si attende che i libanesi incarnino un’esemplare soluzione vivente, normativa e attinta al retaggio storico e all’esperienza comune e condivisa, implicano una prospettiva educativa e una fecondazione culturale che investa ogni politica pubblica, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni. Come gestire allora il pluralismo religioso e culturale nel campo dell’educazione? Gli articoli 9 e 10 della Costituzione libanese del 23 maggio 1926 si iscrivono in una lunga tradizione araba, islamica e ottomana.  Articolo 9. La libertà di coscienza è assoluta. Rendendo omaggio all’Essere Supremo, lo Stato rispetta tutte le confessioni e ne garantisce e protegge il libero esercizio, a condizione che non si rechi danno all’ordine pubblico. Lo Stato garantisce parimenti alle popolazioni, a qualunque rito appartengano, il rispetto dei loro statuti personali e dei loro interessi religiosi. Articolo 10. L’insegnamento è libero in quanto non contrasti l’ordine pubblico e i buoni costumi e non sia lesivo della dignità delle confessioni religiose. Non si pregiudicherà in alcun modo il diritto delle comunità di avere le proprie scuole, fatte salve le prescrizioni generali sulla pubblica istruzione emanate dallo Stato.   Per garantire ulteriormente questa autonomia personale o federalismo personale in materia di fede e di insegnamento, nella costituzione è stato introdotto l’articolo 19a, con la legge costituzionale del 2/9/1990, che accorda «ai capi spirituali delle comunità riconosciute dalla legge» il diritto di partecipare al Consiglio costituzionale «esclusivamente per ciò che attiene allo statuto personale, alla libertà di coscienza, all’esercizio del culto, alla libertà di istruzione religiosa». Il sistema di autonomia personale o di federalismo personalista non è necessariamente retrogrado. Infatti ha favorito l’estensione e la promozione dell’istruzione in Libano, contrariamente alle nuove pratiche di “nazionalizzazione” dell’insegnamento in altri paesi arabi; ha favorito il progresso dell’uguaglianza socio-culturale intercomunitaria dal 1920 in poi e la promozione di uno sviluppo endogeno, soprattutto nel campo dell’istruzione; ha favorito un’integrazione senza costrizione, come dimostrano numerosi esempi. La lettura dei fatti mostra come il sistema educativo libanese rispetti il particolarismo e come, laddove si verifichino scontri, essi derivino piuttosto dalla mancata accettazione del sistema.  Un esempio tipico è quello della comunità armena che non ha mai protestato contro il sistema educativo libanese, non ha mai chiesto di più per la tutela della propria identità e ha accettato la legittimità del sistema sfruttandone a fondo le risorse. L’analisi dei programmi di insegnamento nelle scuole armene, dal 1960 ai giorni nostri, mostra come la spoliticizzazione dell’educazione produca effetti positivi in direzione di un’integrazione spontanea e senza costrizione. Anche le scuole delle altre comunità, benché sfruttino ben poco i meriti del sistema, hanno sviluppato la loro identità. Per offrire un esempio estremo a sostegno di queste argomentazioni, anche i palestinesi, nelle scuole gestite in Libano dall’UNRWA, hanno coltivato la loro identità nel quadro del sistema scolastico libanese. La cultura libanese nel suo complesso è al tempo stesso una cultura araba, una cultura liberale e una cultura pluralista. I conflitti culturali in Libano non sono in sé assolutamente e totalmente irriducibili. Laddove si manifesta una certa frammentazione culturale, essa non è l’esito del sistema educativo bensì della sua mancata legittimazione da parte della coscienza collettiva. Ogni forma di rifiuto della diversificazione entro i limiti certi dell’articolo 10 aggiunge frammentazione. Per unificare bisogna riconoscere. Rifiutarsi di farlo significa giustificare la frammentazione perché così facendo si provocano reazioni di autodifesa da parte delle varie identità culturali.  L’articolo 10 rappresenta una categoria fondamentale della Costituzione. Si tratta di ben più che un retaggio culturale del passato, e di ben più che una libertà di insegnamento. È una disposizione organica che impone la confluenza in un corso comune attraverso i titoli di studio ufficiali e attraverso i regolamenti relativi allo statuto degli insegnanti, alla fondazione di scuole e Università, all’equiparazione dei diplomi. Le differenze culturali veicolate dall’istruzione generano meno conflitti delle disuguaglianze tra le comunità. L’articolo 10 ha favorito lo sviluppo dell’insegnamento a tutti i livelli, certo con alcune disuguaglianze tra le comunità, disuguaglianze progressivamente attenuate e quasi completamente eliminate al giorno d’oggi.    Rischi di Arroccamento Certo esistono rischi di arroccamento. Si tratta di rischi connaturati allo stesso sapere e al suo utilizzo: come strumento di potere e di dominio, via d’accesso all’arricchimento in denaro, passaporto per il raggiungimento di una immagine sociale oppure, o al contrario e prioritariamente, modo di realizzare più umanità, più servizio, più sviluppo umano. Attualmente il Ministero dell’Istruzione e dell’Insegnamento superiore è sollecitato da un gran numero di domande, provenienti dalle comunità religiose, di istituzione di nuove Università o nuovi dipartimenti all’interno delle Università esistenti. L’articolo 10, pilastro di quelli che oggi si chiamano diritti culturali in una società multicomunitaria, rischia di essere travisato in mancanza di norme generali riconosciute e assimilate relative alla missione dell’Università. La proliferazione in Libano, soprattutto dopo il 1975, di istituti universitari legati a comunità religiose, nonché la composizione monocomunitaria dominante tra gli studenti, sono fonte di frammentazione confessionale? L’appartenenza comunitaria degli studenti di un’Università, benché limiti l’interazione, il dibattito, la conoscenza dell’altro e il confronto creativo, non costituisce l’unico indicatore dell’attitudine alla convivenza all’interno dell’istituto, né del grado di promozione di una cultura della concordia da parte di quella Università. Devono essere presi in considerazione altri indicatori, tra i quali in particolare il ruolo dell’Università nel dibattito culturale del Paese, l’esistenza o meno di discriminazioni nei confronti degli studenti, il contenuto valoriale dell’insegnamento e dei lavori degli studenti, le motivazioni di carattere accademico, confessionale o al contrario, di attenzione alla convivenza che determinano le collocazioni geografiche o le dira¬mazioni degli atenei e il grado di autonomia dell’Università e del corpo insegnante rispetto alle forze politiche e al gioco politico confessionale. Non sono né il nome dell’Università, né una presenza comunitaria dominante nella popolazione studentesca a costituire gli indicatori esclusivi della comunitarizzazione. A titolo di esempio, la storia dell’Università Saint-Joseph è quella di una lotta continua per la promozione dell’unità nella diversità e, soprattutto durante gli anni di guerra, quella di un’ostinata volontà di mantenere il campus in rue de Damas (la strada lungo la quale durante la guerra civile correva la linea verde che divideva la città, ndt) restaurandolo a più riprese, come simbolo di ricerca della convivenza e di resistenza civile. Un’ostinazione che si è espressa anche nel ramificare l’Università in varie zone per contrastare la segregazione confessionale insediatasi di fatto a Beirut con le barricate e nell’orientamento della ricerca scientifica a favore della ricostruzione del tessuto sociale libanese, soprattutto nel quadro della ricerca sugli spostamenti di popolazione e sulla riforma dei programmi scolastici [1].  Esiste, è vero, una tendenza all’arroccamento comunitario delle università in Libano. Il rischio della comunitarizzazione riguarda tutte le Università, senza eccezioni, compresa l’Università pubblica. La soluzione non sta esclusivamente – come si tende a credere a proposito dell’unificazione dei corsi di laurea dell’Università Libanese – nell’accontentarsi di mescolare materialmente gli studenti nello stesso edificio. Il pensiero politico libanese è stato guidato dalla speranza che l’ambito universitario fosse il crogiolo (insihâr) dell’integrazione dei cittadini, che  ne limasse le differenze e le divergenze e mescolasse la popolazione universitaria come in uno stampo omogeneizzante. Una simile ideologia, sviluppata da una parte dell’intelligencija a partire dagli anni venti, è incompatibile non solo con la Costituzione ma anche con le tradizioni culturali liberali del Libano. Essa ha nociuto anche agli studenti, diventando fonte di scontro soprattutto là dove il miscuglio intercomunitario è percepito come forzoso, artificiale, non vissuto con verità e consapevolezza. Il pluralismo comunitario del Libano, quando viene percepito come un pericolo, compromette il pieno dispiegarsi del dialogo universitario, inasprisce i conflitti ideologici fra gli studenti e pregiudica la loro visione del futuro per quanto riguarda la percezione dell’altro e il vissuto delle relazioni interpersonali. Le pressioni ideologiche contrarie all’espressione diversificata di tendenze, opinioni, e sensibilità hanno diviso l’università pubblica negli anni di guerra in compartimenti, alcuni dei quali vanno oltre le esigenze tecniche o di decentramento. L’ideologia del melting pot universitario produce, per reazione, la  proliferazione di istituti universitari comunitari ben oltre i bisogni formativi del paese. È al contrario a contatto con la complessità, le differenze, i contrasti d’opinione, i conflitti che si è costretti a spremersi le meningi. Operazione faticosa, a volte dolorosa ma stimolante e feconda. La vocazione dell’università è quella di coltivare un’intelligenza plurale, fatta di apertura, di accettazione delle differenze, di dialogo costante e di sintesi in un mondo globalizzato che al tempo stesso vede risorgere manifestazioni nazionaliste, comunitarie, identitarie. Lo studio del ruolo della scuola e del suo impatto sull’esercizio della cittadinanza, sulla costruzione dell’identità e forse anche sui contrasti confessionali in Libano, può forse limitare il suo campo d’indagine ai dati relativi alla composizione della popolazione scolastica, al grado di mescolanza intercomunitaria, alla struttura del sistema scolastico e al contenuto dei programmi e dei manuali scolastici?  Competizione con la Famiglia Tolleranza, dialogo e convivialità sono nozioni e concetti rintracciabili tra gli obbiettivi e i contenuti valoriali dell’istruzione. Ma limitandosi a questo si limita la ricerca ai concetti e alle nozioni. Sarebbe un grave errore dedurre, dalla ricerca sull’organizzazione, sulla popolazione scolastica, sul contenuto valoriale dei testi, che la scuola in Libano introduce nella realtà vissuta comportamenti compatibili o incompatibili con la tolleranza, il dialogo, la convivialità. Nel processo educativo è compreso il sapere (contenuti, didattica, tecnica) ma anche il rapporto delle persone con il sapere. Tolleranza, dialogo e convivialità tramite la scuola sono questioni di comportamento e, dunque, essenzialmente questioni di carattere qualitativo che richiedono un’osservazione diretta e partecipativa, testimonianze e racconti di vita vissuta. Prima di tutto la scuola non è l’unico canale di trasmissione dei valori. Essa è in competizione con la famiglia, l’ambiente, il gruppo dei pari, gli avvenimenti, i media… Ciò che un ragazzo sente dire dal nonno o dalla nonna spesso incide su di lui più di un intero arsenale di manuali scolastici ideologici. Ne sono prova più di settant’anni di volontà di integrazione forzata attraverso l’educazione nell’ex Unione Sovietica e il fallimento finale di quell’impresa. Ciò che mi induce a privilegiare una metodologia basata su racconti di vita è il fatto che per lo più non ho capito nulla – nel senso del comprendere, dell’assimilare, – del “confessionalismo” delle scuole in Libano dalla lettura di alcuni testi dotti. Troppi autori si basano sul fatto che la scuola sia gestita da una comunità religiosa, che la sua popolazione appartenga in maggioranza a una comunità e che i manuali di studio contengano alcune particolarità. Gli archivi della Compagnia di Gesù in Libano, pubblicati dal Padre Kuri, esistono grazie ai racconti di vita vissuta. In più di una circostanza, con mezzi modesti, grandi opere hanno visto la luce garantendo posizioni progressiste e concorrendo a fare del Libano un centro spirituale e umano dove gli uomini sono invitati a incontrarsi. Nelle scuole della Congregazione delle Suore dei Sacri Cuori è evidente una correlazione tra l’orientamento pedagogico di una grande congregazione educativa, che ha più di 150 anni, e la situazione politica che turba la coesistenza intercomunitaria. Nei primi anni dei disordini in Libano, nelle scuole della Congregazione gli allievi non cristiani costituivano un’alta percentuale. Questa percentuale diminuisce con l’aumentare dell’insicurezza, per poi risalire quasi al livello precedente con il ritorno alla calma. Dunque la fiducia nei confronti delle scuole della Congregazione è generale, una fiducia più forte dei dissensi politici [3]. Il programma in sei anni, Il ricambio generazionale, varato dall’Ufficio pedagogico dei SS. Cuori dal 1990 al 1996, costituisce un’impresa nazionale prestigiosa, innovativa e concreta per quanto riguarda la promozione della convivialità [4]. Non pretendiamo di generalizzare a partire dai casi qui esposti, i quali sono ben lungi dall’esemplificare tutte le situazioni e nemmeno tutte le situazioni presenti all’interno del medesimo istituto scolastico. Si tratta solo di mostrare l’operatività e la pertinenza di un metodo di indagine qualitativa e basata sui racconti di vita, quando si tratti di problemi di comportamento e di concrete relazioni fra alterità. Qui si apre un territorio di indagine sull’effettivo impatto dell’educazione scolastica in Libano che è stato poco esplorato o è stato occultato dalle analisi quantitative, spesso dedotte dalle ipotesi di partenza o dalle ideologie. Bisognerà dunque citare altri esempi di scuole, che io conosco meno per il tramite di un’esperienza in prima persona. A coloro che accusano la scuola libanese di essere la fonte dei contrasti comunitari e del loro perpetuarsi si dovrà rivolgere la seguente domanda. Come ha potuto, la società civile libanese, reagire contro il complicato intreccio di guerre tra il 1975 e il 1990, e come ha potuto, il Libano, ritrovare la sua unità? Molte scuole e Università, comprese quelle da noi citate, hanno rappresentato, per dirlo con una frase del padre Abdallah Dagher, una «riserva per l’avvenire» [5].


[1] Cfr. soprattutto Jean Ducruet s.j., L’Université dans la cité, Université Saint-Joseph, Beirut 1995. [2] Sami Kuri s.j., Une histoire du Liban à travers les archives des Jésuites (1816-1973), 3 voll., Dar-el-Machreq, Beirut 1985-1996.  [3] Joseph Abou Nohra, Les archives de la Congrégation des Saints-Cœurs ou les sédiments de notre histoire, «Bulletin Pédagogique», vol. 7, 2 (1985), 51-55; Louise-Marie Chidiac, Abdo Kahi,  Antoine Messarra (a cura di), La génération de la relève, vol. 1: Une pédagogie nouvelle pour la jeunesse libanaise de notre temps, Librairie Orientale, Beirut, 1989; vol. 2: La pédagogie du civisme, 1992; vol. 3: La pédagogie éthique, 1993.  [4] Louise-Marie Chidiac, Abdo Kahi, Antoine Messarra (a cura di), La génération de la relève.  [5] Ibi, vol. 1, 171-174.  

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