Il Coronavirus ha colpito pesantemente l’Iran: il numero dei contagi è elevato, ma il timore è che i dati ufficiali non rispecchino quelli reali. Le difficoltà legate alla pandemia si sovrappongono alle crisi, non solo interne, che il Paese stava già attraversando

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:28

L’Iran è attualmente il paese del Medio Oriente più colpito dalla pandemia di Covid-19 e il terzo in tutto il mondo. Ad oggi sono 14.991 i casi confermati dal Ministero della Sanità iraniano, di cui 853 decessi, 4.590 guariti e 9.548 casi attivi. Le regioni più colpite sono la capitale Teheran (3771 casi), le provincie affacciate sul mar Caspio nel nord del Paese e la città di Qom, circa 150 km a sud-ovest della capitale Teheran, uno dei focolai dell’infezione, da quando il 19 febbraio sono stati individuati i primi due casi

 

Il sospetto è tuttavia che il virus sia molto più diffuso di quanto i dati ufficiali del governo iraniano vogliano far credere. Dati satellitari diffusi dal New York Times rivelano la presenza di fosse comuni nel recentemente ampliato cimitero di Qom. Inoltre, due settimane fa già circa 40 tra politici e funzionari del regime erano risultati positivi, compreso il vicepresidente del Paese Eshaq Jahangiri (notizia poi smentita), il ministro della Sanità, Ali Akbar Velayati (stretto consigliere della Guida Suprema, Ali Khamenei) e almeno 23 parlamentari. Gli esperti sostengono che proiettando proporzionalmente questo dato sull’intera nazione, si osserverebbe una diffusione reale molto maggiore di quella ufficiale. Il governo è stato criticato per la lentezza nel contenimento dell’epidemia soprattutto nei primi stadi, e per una certa mancanza di trasparenza. Un deputato della città di Qom, Ahmad Amirabadi Farahani ha annunciato il 24 febbraio che i morti nella città erano almeno 50, accusando la Repubblica Islamica di «non dire la verità» sul numero di contagi. A quella data le fonti ufficiali riportavano infatti solo 12 morti in tutto il territorio nazionale, e il portavoce del Governo, Ali Rabiei, ha ufficialmente smentito la notizia.

 

La lentezza della risposta e la non trasparenza dello Stato sono esemplificate dalla storia del dottor Abdolreza Fazel, capo di medicina nell’università del Golestan, nel nord-est, riportata dal New York Times. Pare che la regione del Golestan fosse un focolaio, con già 594 casi registrati ma Teheran avrebbe impedito di rendere pubblica la notizia fino a nuovo ordine. Non sono inoltre mai state stabilite delle “zone rosse” per contenere il contagio, e il presidente Hassan Rouhani stesso ha dichiarato il 16 marzo, che «non abbiamo niente chiamato quarantena, si dice che sia stata posta la quarantena a Teheran o ad alcune città, negozi o attività, ma non esiste niente del genere, la quarantena non è attiva, né oggi né durante i giorni di Nowruz, né poi». Il Nowruz è una festa mediorientale di origini iraniche paragonabile al nostro Capodanno ma che segna anche l’inizio della primavera, e in Iran è decisamente la festa più sentita, con notevoli spostamenti e assembramenti di persone. Il Presidente ha comunque invitato a più riprese a evitare viaggi non necessari.

 

Il governo ha varato anche misure di stampo economico per fronteggiare i danni delle sanzioni e dei rallentamenti della produttività dovuti al virus.

Nel mese di marzo si sono osservate azioni sempre più decise, come la chiusura di tutte le scuole il 6 marzo o il rilascio di 70 mila detenuti con permesso temporaneo il 9 marzo. È del 16 marzo la notizia della chiusura delle moschee meta di pellegrinaggio a Qom. A Mashhad il santuario dell’Imam Reza, meta di più di 25 milioni di pellegrini sciiti all’anno, iraniani e non, è stato chiuso per “operazioni di pulizia”. Il mantenimento in funzione dei siti religiosi più importanti fino ad ora è stato secondo molti uno dei motivi principali della propagazione della malattia in tutto il territorio nazionale, ed è ad oggi una delle critiche più pesanti rivolte al regime. Tuttavia, sono moltissimi i religiosi e i fedeli che si sono opposti con fervore a questa decisione, assaltando addirittura le moschee per ottenerne la riapertura.

 

«Conosciamo questo santuario sacro come Dār al-šafā, cioè “casa della guarigione”. Significa che le persone vengono e guariscono dalle malattie mentali e fisiche, quindi deve rimanere aperto e la gente deve per forza venire». Le parole dell’imam del santuario di Qom Seyyed Mohammad Saeedi esprimono l’attaccamento di molte persone alla fede sciita, sulla quale si legittima il potere degli ayatollah. Per sua stessa natura l’establishment ha dovuto scendere a compromessi e accantonare le misure impopolari che l’urgenza della situazione richiedeva. L’epidemia è stata sfruttata dai politici soprattutto per deviare l’attenzione da altri temi. Secondo Rouhani, che appartiene al fronte moderato e pragmatico, è stata la paura per il contagio una delle cause della bassissima affluenza (42,57%) alle ultime elezioni parlamentari, la più bassa nella storia della Repubblica Islamica. Causa più probabile, una larga astensione dell’elettorato riformista dovuta alle tante squalifiche di candidati operate del Consiglio dei Guardiani.

 

Non mancano tentativi di incanalare il malcontento verso gli USA: il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif ha scritto su Twitter che le sanzioni di Trump contro l’economia iraniana stiano danneggiando l’efficienza del Paese nella risposta all’emergenza e l’accesso a medicinali e attrezzature mediche.

 

Secondo quanto affermato, tra gli altri, dall’ambasciatore iraniano in Spagna, Hassan Qashqavi, l’Iran è, a causa delle sanzioni statunitensi, l’unico Paese al mondo che non può acquistare medicinali e attrezzature mediche dall’estero per far fronte all’emergenza. Infatti, per il giornale iraniano Pars Today, la portata delle sanzioni è troppo elevata per dissuadere le industrie, i governi stranieri e le banche a fornire sostegno e attrezzature mediche, poiché essi temono di essere oggetto di ulteriori sanzioni secondarie o terziarie da parte di Washington.

 

Su Instagram, uno dei social network più utilizzati dagli iraniani, si leggono ovunque espressioni di disillusione nei confronti delle notizie ufficiali, ma anche un’intensa attività di sensibilizzazione, condivisione di notizie e anche il corrispettivo in persiano del nostro hashtag #iorestoacasa, che conta più di 30 mila post.

 

L’attuale situazione di generale sfiducia è frutto di vari incidenti accaduti negli ultimi mesi: l’abbattimento del velivolo ucraino l’8 gennaio, l’inasprimento delle sanzioni internazionali, l’aumento dei prezzi della benzina e le conseguenti violente proteste represse a volte in modo brutale e l’oscuramento di Internet deciso dalle autorità.

 

Il Coronavirus potrebbe essere un ulteriore grave colpo alla precaria situazione della classe politica iraniana, che oltre a fronteggiare la minaccia diretta del virus deve trovare un equilibrio tra il libero flusso di informazioni richiesto da gran parte del popolo e la volontà di dimostrarsi all’altezza di qualsiasi sfida, che sia l’America o un’epidemia globale.

 

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