Oltre a essere oggetto di infiniti dibattiti dottrinari, la celebrazione del mawlid al-nabī ha prodotto una grande ricchezza artistica. Un’antica poesia in cinque versioni, dalla salmodia al rap

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:37:37

Questa settimana si è celebrato il mawlid al-nabī (la “nascita del Profeta”), una festa islamica che cade il dodicesimo giorno del terzo mese del calendario lunare islamico (il mese di rabī‘ al-awwal, letteralmente la “prima primavera”) e che ricorda appunto la nascita alla Mecca del profeta dell’Islam Muhammad, 52 anni prima dell’egira, dunque nel 570 d.C., nel cosiddetto anno dell’Elefante.

 

Le diatribe sulla liceità, sulle modalità, sulle ritualità e sulla storicità o meno di questa celebrazione sono infinite. Senza parlare delle possibili “influenze”: era un evento già commemorato dai Compagni del Profeta? Oppure è una “festa” molto più tardiva, forse dei tempi degli Abbasidi, degli Ayyubidi, dei Fatimidi, e comunque certamente presente in epoca ottomana? Era proprio il dodicesimo oppure era il diciassettesimo giorno di quel mese? In quest’occasione si possono declamare poesie e comporre canti, oppure solo recitare alcune preghiere rituali particolari?

 

Tante domande che interessano solo in parte la nostra rubrica T-arab, e le sue puntate “speciali” dedicate alle più importanti festività cristiane e musulmane. Ciò che importa è che questa ricorrenza sia riconosciuta come festa nazionale nella gran parte degli Stati a maggioranza musulmana e che, in Paesi come Tunisia, Egitto, Turchia, Pakistan, India e Indonesia (solo per citarne alcuni) le celebrazioni siano di una grandiosa ricchezza musicale.

 

Difficile selezionare un solo componimento musicale mawlidī rappresentativo di un così vasto patrimonio. La scelta è arbitrariamente caduta su una poesia particolarmente famosa, intitolata “O Signore dei due universi”, presente nella popolare raccolta di novelle e racconti Kitāb al-Mustatraf (poeticamente tradotto in italiano con “Libro degli aneddoti peregrini”) del letterato egiziano al-Abshīhī (o al-Ibshaihī, m. 1448) ed erroneamente attribuita al celebre teologo Abū Hanifa (m. 767).

“Musicalmente” esiste in svariati arrangiamenti (che ci auguriamo soddisfino i vostri diversi gusti), tutti però eseguiti con trasporto, complice il testo semplice ma denso.

 

Tra le tante versioni, vi consigliamo cinque “estremi”:

 

●       La versione “storica” (della durata totale di 30 minuti, inclusi dialoghi e altre improvvisazioni) del recitatore coranico (qāri’) egiziano Muhammad Ahmad ‘Umrān (m. 1994) a casa del grande cantante egiziano Muhammad ‘Abd al-Wahhāb (d. 1991). Solo per i più coraggiosi.

●       La versione “sufi” del musicista tunisino Dhafer Youssef. Profonda e spirituale.

●       La versione “femminile della cantante belga-tunisina Ghalia Benali. Potente e delicata allo stesso tempo.

●       La versione “tanzaniana” di Yahya Bihaki Hussein. Talentuosa, con un tocco mainstream.

●       La versione “auto-tune del rapper libanese El Rass. Visionaria e audace. 

 

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

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O Signore dei due universi[1]

 

O Signore dei due universi, a Te vengo, desideroso

O Signore dei due universi, a Te vengo, desideroso

Chiedendo confidente[2] il Tuo compiacimento e cercando rifugio nella Tua protezione

Lo giuro, o migliore delle creature:

Ho un cuore pieno di ardente desiderio, che non anela ad altro che a Te

E a ragione della tua gloria,[3] Io sono innamorato di Te

Dio sa che ti amo![4]

 

Se non fosse per Te, nessun essere umano sarebbe stato creato

No! Se non fosse per Te, nessuna creatura sarebbe stata creata

O Tu, la cui luce ricopre il plenilunio

Mentre il sole sfolgora per la luce del Tuo splendore

O Signore dei due universi!

 

 

يا سيد الكونين

 

يا سيد الكونين جئتكَ قاصدًا
يا سيد الكونين جئتك قاصدًا
أرجو رضاكَ وأحتمي بحماكَ
والله يا خير الخلائق

إنّ لي قلبًا مَشوقًا لا يرومُ سواكَ
وبحقِّ جاهكِ إنني بكَ مُغرمٌ

والله يعلمُ أنني أهواكَ


أنتَ الذي لولاكَ ما خُلقَ امرؤٌ

كلّا ولا خُلقَ الوَرى لولاكَ
أنتَ الذي مِن نوركَ البدر اكتسى

والشمسُ مشرقةٌ بنورِ بهاكَ

يا سيد الكونين

 


[1] La poesia esiste in diverse versioni, con leggere variazioni nel testo. Presentiamo qui il “cuore” del testo, ossia i versi più sovente recitati. Si noti che la prima apparizione dell’appellativo “Signore dei due mondi” o “dei due universi” (inteso solitamente come quello “celeste” e quello “terreno” oppure quello “interiore” e quello “esteriore”) in riferimento a Muhammad si fa generalmente risalire a un altro celebre componimento in lode al Profeta, la Qasīdat al-Burda (“Ode del mantello”) del poeta egiziano al-Būsīrī (m. 1294).
[2] Arjū, traducibile con i seguenti verbi: “sperare”, “confidare”, “augurare”, “supplicare”, “sollecitare”.
[3] Jāh, termine ricercato che indica “superiorità”, “onore”, “prestigio”, “magnificenza”.
[4] Il testo attinge dalla ricchezza del vocabolario arabo per indicare diversi gradi e sfumature dell’amore: shawq (desiderio ardente); hawā (passione amorosa); gharama (innamoramento “perso”).

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