Ultimo aggiornamento: 17/12/2020 10:57:42
Oltre ad aver inaugurato il fermento rivoluzionario del 2010-2011, la Tunisia è l’unico caso di transizione istituzionale riuscita nel contesto della Primavera araba. Questo è dovuto a una serie di caratteristiche che altri Stati della regione non possiedono. Tuttavia, pur avendo fatto innegabili passi avanti, il Paese si trova oggi in una fase di emergenza economica e sociale a cui classi politiche vecchie e nuove sembrano incapaci di rispondere.
Nel 2011 la Tunisia inaugurava una nuova tipologia di rivoluzione, senza ideologia, senza leader o za‘īm, ma il cui attore principale è un eroe collettivo che comunica sui social network, si riappropria dei simboli del nazionalismo (come la bandiera e l’inno nazionale), scende in piazza, trasforma in determinazione la rabbia dei cittadini e riesce a far cadere un regime in carica da 23 anni. Una nuova era sembrava aprirsi per la Tunisia e per il mondo arabo.
Il fenomeno, che ha suscitato un’ondata di rivolte nella regione, non ha mancato di stupire, essendosi verificato in un piccolo Paese governato in modo autoritario sin dalla sua indipendenza nel 1956. A differenza del Marocco o dell’Egitto, che nonostante tutto avevano compiuto alcune riforme per aprire parzialmente il sistema politico, con un’integrazione minimale degli islamisti, o consentendo una certa libertà di tono alla stampa, i governanti tunisini si erano sempre dimostrati refrattari a qualsiasi allentamento del sistema. Habib Bourguiba e Zine el-Abidine Ben Ali avevano in comune questa pratica autoritaria del potere: associavano infatti la democrazia al disordine e soprattutto alla presa del potere da parte degli islamisti, che entrambi combattevano con tutte le loro forze.
I manifestanti tunisini del 2011 volevano farla finita con questo tipo di governo, sbarazzandosi di Ben Ali. L’immagine del popolo unito che si libera dal suo “dittatore” rimarrà impressa nella memoria e, malgrado le grandi difficoltà del periodo post-rivoluzionario, la Tunisia continua a incarnare la speranza di quella che è stata chiamata la “Primavera araba”.