La geopolitica dell’acqua non è un’invenzione del XXI secolo: l’attuale controversia sul Nilo legata alla Grande Diga del Rinascimento Etiope (GERD) affonda le sue radici nel remoto passato. E coinvolge addirittura un profeta

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:11

Gli etiopi costruiscono uno sbarramento che blocca le acque del Nilo, gli egiziani rispondono allestendo un esercito. Non è – o almeno speriamo non sia – il copione del prossimo conflitto africano, ma l’antefatto di un importante episodio della vita di Mosè raccontato dallo storico arabo-cristiano Agapio di Manbij. Siamo nel X secolo, a cavallo tra mondo greco e arabo, e il racconto, a dire il vero, ha già quasi mille anni di vita alle spalle: lo si trova infatti per gran parte già nelle Antichità giudaiche dello storico ebraico Giuseppe Flavio (37-100 d.C.)[1]. Una prova in più del fatto che l’attuale controversia sull’acqua del Nilo legata alla Grande Diga del Rinascimento Etiope (GERD) affonda le sue radici nel remoto passato. E finisce per coinvolgere addirittura un profeta.

 

I trionfi del giovane Mosè

 

Racconta Agapio che «nell’anno 28 dalla nascita di Mosè […] gli etiopi dichiararono guerra agli egiziani e devastarono gran parte del paese»[2]. Mosè in quel momento si trova a corte, «educato in tutta la sapienza degli Egiziani» (At 7,22). I notabili, invidiosi della sua posizione privilegiata, riescono a convincere il faraone a metterlo a capo di un esercito incaricato di contrastare l’invasione etiope, nella speranza che rimanga ucciso nella lotta. Raccolti 10mila ebrei e 10mila egiziani, Mosè si inoltra nel deserto nubiano per cogliere di sorpresa gli etiopi, che si aspettano piuttosto un attacco via fiume. La regione è infestata da serpenti velenosi, ma il giovane condottiero «ordina di prendere con sé un numero sterminato di ibis»[3], che fa rinchiudere in apposite gabbie e alimentare solo allo spuntar della luce. Tormentati dalla fame, gli ibis lanciano grida per tutte le notti della traversata, tenendo lontani i serpenti dal campo di Mosè, che grazie a questo stratagemma riesce a porre l’assedio alla capitale etiope Meroe. Al vedere la grandezza dell’esercito nemico, la figlia del re d’Etiopia comprende che le sorti della guerra sono segnate. Manda quindi segretamente un’ambasceria a Mosè promettendogli di rivelargli un passaggio segreto nelle mura della città. In cambio chiede la mano del condottiero ebreo (e probabilmente anche la clemenza verso il suo popolo). Mosè accetta l’offerta, trionfa, mantiene la parola data e torna in patria.

 

La curiosa leggenda, che raggiunse anche l’occidente medievale[4], è nata senza dubbio da un accenno contenuto nella Bibbia. Nel libro dei Numeri (Nm 12,1-15) si afferma infatti che Mosè, oltre alla figlia del sacerdote Ietro, sposò una donna etiope, attirandosi per questo le critiche del fratello Aronne e soprattutto della sorella Maria. Probabilmente gli ebrei alessandrini, alle cui tradizioni Giuseppe Flavio attinge, erano stati colpiti da questo breve accenno della Torah che metteva in relazione Mosè con l’Etiopia e ne avevano tratto un racconto in cui il giovane principe dà buona prova di sé (è bello, intelligente e valoroso), ma soprattutto dimostra la sua lealtà verso l’Egitto, quasi a controbilanciare – e sicuramente la cosa non poteva dispiacere agli ebrei della diaspora – la successiva strage del Mar Rosso.

 

La diga

 

Ma nel passaggio da Giuseppe Flavio allo storico arabo-cristiano il racconto si arricchisce di un motivo di sorprendente attualità, quello della diga appunto[5]. Per trovarlo dobbiamo abbandonare l’edizione a stampa di Agapio e chiamare in causa lo storico copto-arabo al-Makīn (1206-1293), che nella sua cronaca universale La raccolta benedetta, riproduce diversi passi di Agapio, preservandoci non di rado un testo migliore rispetto alla tradizione diretta giunta fino a noi. Nella prima stesura della sua cronaca al-Makīn aggiunge infatti, alla fine della biografia di Mosè, un elemento importante, che dichiara di aver trovato in Agapio.

 

Nel ventottesimo anno dalla nascita di Mosè Faraone costruì la città di Pelusio sul fiume Nilo. Subito dopo i kushiti, cioè gli etiopi, attaccarono l’Egitto, lo devastarono, e bloccarono l’acqua, perché la piena del Nilo viene dall’Etiopia. Allora Faraone allestì un grande esercito e lo affidò a Mosè, che lo condusse in Etiopia, come abbiamo anticipato. Successivamente, dopo aver sposato la figlia del re, Mosè restò con le sue truppe in Etiopia fino alla piena del Nilo. In tal modo ne apprese l’origine e costruì una grande diga fatta di pietra e calce che tratteneva l’acqua durante la stagione delle piogge, irrigando l’Etiopia e fornendole la quantità d’acqua di cui aveva bisogno. Poi [riempita la diga], l’acqua scendeva verso l’Egitto. Mosè nominò il fratello di sua moglie come re d’Etiopia e gli fece giurare che non avrebbe mai bloccato il Nilo impedendogli di scorrere verso l’Egitto. Dopodiché tornò in Egitto via fiume[6].

 

La leggenda si arricchisce così di un lieto fine politico che viene a sigillare la ritrovata pace tra Etiopia ed Egitto. E proprio attraverso al-Makīn il racconto entrerà a far parte anche della tradizione islamica, venendo copiato quasi parola per parola (ma senza dichiararne la fonte) dal geografo damasceno al-‘Umarī (1300-1349) nella sua fortunata enciclopedia Masālik al-absār[7].

Sempre tramite al-Makīn la storia raggiungerà probabilmente anche la stessa Etiopia, per mezzo di una traduzione realizzata nel XV secolo.

 

Non sarà certamentesfuggita la sorprendente attualità del racconto, che per certi versi potrebbe essere stato scritto oggi. La geopolitica dell’acqua non è un’invenzione del XXI secolo: anche se Agapio o al-Makīn non usano la parola, certamente il concetto era loro chiarissimo.

 

Una seconda considerazione: l’avventura di Mosè, pur iniziata con uno scontro militare, si conclude con un accordo che regolamenta il flusso delle acque del Nilo. E anche oggi, come scrive su Twitter William Davison, esperto di Etiopia dell’International Crisis Group, «c’è un unico modo costruttivo di procedere: continuare i colloqui»[8]. Infine – ed è forse la riflessione più importante – la leggenda mostra tutta l’importanza del tema dell’acqua nell’immaginario egiziano da al-Makīn ad Agapio, al suo contemporaneo Eutichio Patriarca di Alessandria, che attribuisce a Giuseppe figlio di Giacobbe la bonifica dell’oasi di al-Fayyūm, a Giuseppe Flavio, a Erodoto e naturalmente alla mitologia egizia. Una tradizione millenaria e soprattutto ininterrotta.

 

La diga degli etiopi toglieva il sonno al faraone del tempo di Mosè. Continua a toglierlo anche al suo moderno erede.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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[1] Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, a cura di Luigi Moraldi, UTET, Torino 2000, libro II, Campagna di Mosè contro gli Etiopi.
[2] Agapius (Mahboub) de Menbij, Kitab al-‘unvan (sic.). Histoire universelle, éditée et traduite en français par Alexandre Vasiliev, première partie, «Patrologia Orientalis» 5 (1910), pp. 673 [117] - 676 [120]. Traduzione italiana a cura di Bartolomeo Pirone: Agapio di Gerapoli, Storia universale, Edizioni Terra Santa, Milano 2013, p. 103.
[3] Il particolare degli ibis prova l’antichità del racconto. Nella cultura egizia infatti l’ibis era il simbolo di Thot, dio della scrittura e delle arti.
[4] Per maggiori dettagli rimando a Marie-Laure Derat, Robin Seignobos, La femme éthiopienne de Moïse dans l’Histoire des églises et des monastères d’Égypte et l’histoire universelle d’al-Makīn, in Françoise Briquel-Chatonnet (ed.). Figures de Moïse. Approches textuelles et iconographiques, De Boccard, Paris 2015, pp.  249-278.
[5] Il nuovo elemento, come spesso accade, non è perfettamente armonizzato con il resto della narrazione. Nella versione di Agapio infatti gli etiopi scendono il Nilo a bordo di imbarcazioni; d’altra parte è pure detto che gli etiopi avevano “tagliato l’acqua” agli egiziani, impedendo al Nilo di scorrere.
[6] Al-Makīn attribuisce tutto il passo ad Agapio, ma esso non compare nelle edizioni a stampa di Vasiliev e Cheikho ed è quindi inedito. Il testo è riportato secondo l’edizione critica di al-Makīn, in preparazione.
[7] Shihāb al-Dīn Ibn Fadl Allah al-‘Umarī, Masālik al-absār fī mamālik al-amsār, a cura di Kāmil Salmān al-Jubūrī, Dār al-Kutub al-‘ilmiyya, Bayrūt 2010, vol. 23, pp. 226-227.
[8] Citato in Francesca Sibani, La diga che avvelena le relazioni tra Egitto ed Etiopia, «Internazionale», 21 luglio 2020, https://www.internazionale.it/notizie/francesca-sibani/2020/07/21/riempimento-diga-etiope

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