Sei anni fa aveva luogo il colpo di stato che faceva cadere il governo dei Fratelli musulmani, dopo solo un anno al comando

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:39:17

L’esercito ha deposto il presidente Morsi. La mobilitazione popolare lo ha richiesto e le forze armate non si sono fatte pregare, lanciando al tempo stesso un’ondata di arresti che ha preso di mira 300 responsabili dei Fratelli, tra cui la Guida Suprema, le due vice guide, l’ex-presidente del parlamento, i consiglieri del Presidente etc. Anche persone vicine alla Confraternita sono in stato di fermo.

La caduta di Morsi è frutto di una mobilitazione, quantificatasi in decine di milioni di persone, che ha superato ogni attesa, come anche dell’ostinazione cieca e dei paraocchi ideologici dei Fratelli e di un coordinamento tra diversi attori, servizi di sicurezza, giovani rivoluzionari, forze politiche (compresi i salafiti), membri dell’ancien régime, con la benedizione dell’Esercito. I Fratelli si sono ritrovati in una morsa, in cui oltretutto rifiutavano di fare delle concessioni pensando che gliene sarebbero state richieste altre: o lasciavano svolgersi le manifestazioni senza attaccarle e queste diventavano sempre più consistenti, oppure le attaccavano e davano all’esercito un pretesto per intervenire.

La roadmap dell’esercito è piuttosto semplice: congelare la Costituzione, nominare un Comitato per emendarla. Questa formula, un po’ traballante, permette di conservare all’interno della coalizione i salafiti, molto legati alla Costituzione del dicembre 2012. Gli altri provvedimenti sono nominare un presidente ad interim, Adli Mansour, Presidente della Corte Costituzionale; formare un governo di tecnocrati che sia sostenuto dai membri della coalizione; preparare delle elezioni presidenziali.

È molto difficile prevedere il seguito. L’unica cosa che si può fare è un inventario non esaustivo dei problemi e dei motivi d’inquietudine: prima di tutto, c’è da temere uno “scenario algerino”? Il Paese rischia una guerra civile? La prima notte senza Morsi ha già visto una dozzina di persone uccise in provincia, nel corso d’incidenti scatenati da partigiani dei Fratelli musulmani. Questi ultimi e i loro alleati dispongono nel Sinai dei mezzi per abbracciare una politica del “tanto peggio”. E altrove? In teoria, questa scelta sarebbe un errore e legittimerebbe una repressione più dura alienando ancor più la popolazione. Ma potrebbe essere imposta dalla base nel caso in cui questa si radicalizzasse o se i Fratelli fossero esclusi dal gioco politico a opera della nuova coalizione. Il problema ne solleva altri due: l’avvenire della direzione dei Fratelli e l’ampiezza degli arresti nei ranghi della Confraternita. Questa si è resa colpevole di atti analoghi a quelli che sono sfociati nel processo a Mubarak e ai suoi collaboratori. Ma la nuova squadra conta di sanzionare i soli dirigenti? Dissolvere la Confraternita? Non fare nulla? Non lo sappiamo ancora con certezza, tanto più che le pressioni della strada e della gioventù rivoluzionaria saranno cruciali.

È ugualmente difficile sapere se lo stato dell’economia permetterà o meno di rimettere in discussione le decisioni impopolari. Di primo acchito, la risposta è no, ma i Paesi del Golfo (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati) hanno più volte lasciato intendere ai loro interlocutori egiziani di essere pronti ad aiutare in modo massiccio il Paese se i Fratelli musulmani fossero caduti e il presidente Mubarak fosse stato trattato meglio. Sono pronti a farlo e/o a rinunciare alla seconda condizione? Gli Emirati sembrano aver già avviato un aiuto consistente, con la consegna di notevoli quantità di gasolio (l’Egitto soffre di una penuria che ne indebolisce l’economia).

La coalizione che prende il posto dei Fratelli ha i mezzi per durare almeno il tempo necessario per organizzare le elezioni (qualche mese, secondo ogni probabilità)? I membri dell’ancien régime, gli uomini degli apparati di sicurezza e i giovani rivoluzionari, i non islamisti e i salafiti, quanti vogliono ristrutturare l’apparato di Stato per democratizzarlo e quanto sono invece legati alla sua missione di modernizzazione autoritaria, per fare solo tre esempi, possono percorrere un tratto di cammino insieme? Su diversi capitoli, come ad esempio quello della Costituzione e della posizione degli uomini dell’ancien régime, non si vede accordo possibile.

Grande sarà la tentazione per le diverse forze di corteggiare esercito e polizia, domandare il loro arbitrato e così consacrarne la preminenza. Una transizione democratica di successo esige la presenza di partiti potenti o influenti. In Egitto non ce ne sono e il Paese è un gigantesco cantiere, senza una squadra di lavoro unita e in cui mancano i soldi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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