Degna rappresentante della ricca eredità artistica del suo Paese, non ama i compromessi, né nella musica né in politica. Il suo repertorio è ampio, ma la sua canzone più famosa è un potente atto d’accusa contro i soprusi del potere

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:40:20

Nancy Ajaj (ma anche Nancy Agag o ‘Ajāj) è forse la più popolare cantautrice e cantante sudanese contemporanea. Nel suo Paese è apprezzata in particolare per la sua capacità di dare continuità alla ricca eredità musicale sudanese degli ultimi decenni pur rimanendo “moderna” e dando perciò voce anche alle generazioni di oggi e alle loro richieste.

 

Nata nel 1979 nella città più popolosa del Sudan, Omdurman, Nancy è cresciuta nei Paesi Bassi, dove ha studiato storia sociale all’Università di Rotterdam, per poi tornare definitivamente in Sudan e dedicare la sua vita artistica e personale al suo Paese.

 

È figlia d’arte. Suo padre Badr al-Din Ajaj, è stato musicista e compositore sudanese, morto assassinato in circostanze poco chiare al suo ritorno in Sudan alla fine del 2007. La cantante però ci tiene a sottolineare nelle sue interviste che per lei la musica non è una carriera “predestinata” o un dovere familiare, ma una vocazione graduale nella quale si è sentita chiamata a mettere tutta se stessa.

 

A giudicare dal numero di fan e dalla sua popolarità in Sudan e nel Corno d’Africa, Nancy ha egregiamente onorato questa vocazione, benché su di lei si trovi poco materiale (eccetto in lingua araba) in confronto ad altri cantanti sudanesi meno famosi localmente.

Come altre cantanti incontrate nei nostri precedenti episodi di T-arab, è una donna e un’artista indipendente, conosciuta in Sudan per le sue scelte senza compromessi già prima delle rivolte del 2019: l’utilizzo di abiti “occidentali” (senza il velo, obbligatorio durante il governo di Omar al-Bashir); oppure il rifiuto di suonare a sostegno del governo o di passare nelle radio ufficiali (per decenni controllate e censurate dall’autorità politica del Paese). Scelte libere anche musicalmente: non si è mai interessata alle logiche di mercato, ma ha portato avanti fieramente la tradizione musicale sudanese, spesso caratterizzata da testi “ripetitivi” e canzoni “lunghe” (ma solo per certi canoni commerciali, appunto).

 

La stima e l’affetto dei fan per Nancy sono aumentati negli anni grazie ai suoi gesti informali, al suo sostegno all’unità nazionale nella preservazione della ricca diversità culturale sudanese, al suo impegno come Ambasciatrice UNICEF, e alle tante iniziative di beneficienza di cui è stata promotrice.

 

Segui la playlist di T-Arab su Spotify: esplora i brani degli episodi passati e scopri quelli in arrivo 

 

Recentemente, la sua popolarità è ulteriormente cresciuta grazie al suo impegno in prima persona nelle manifestazioni sudanesi del 2019 che hanno portato alla caduta del regime di al-Bashir. La si può infatti vedere cantare in piazza insieme ad altri artisti, partecipare ai sit-in di protesta e soprattutto farsi portavoce delle richieste sudanesi all’estero attraverso la campagna #BlueForSudan.

 

Proprio a supporto delle proteste sudanesi degli ultimi anni ha pubblicato la canzone da milioni di ascolti che vi proponiamo oggi: s’intitola Milād (“nascita”) ed è composto da Sammany Hajo, nostra vecchia conoscenza.

 

Certo: Nancy ha scritto e interpretato brani d’amore e d’esilio, canzoni folcloristiche da tutti gli angoli del Sudan, rivisitato grandi classici e anche compiuto inaspettate collaborazioni internazionali. Ma la sua canzone più ascoltata resta questo suo potente atto d’accusa, espresso attraverso domande incredule. A conferma che, ancora oggi, dopo tanti decenni, la musica in Sudan ha ancora molto da dire alla politica.

Buon tarab!

 

Canzone: Milād

Artista: Nancy Ajaj

Anno: 2019

Nazionalità: Sudan

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

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Nascita

 

Se soltanto con la stessa forza con cui schiacciano[1] gli innocenti

schiacciassero chi ruba il pane agli affamati!

Se soltanto con lo stesso impeto con cui compiono sanguinose stragi

Ci riconsegnassero anche un solo centimetro del nostro Paese (da loro) sperperato

 

Ma, sfortunatamente, proprio loro, nella loro piccolezza, 

Ma, sfortunatamente, proprio loro, nella loro piccolezza, 

e con l’inganno, causano alle persone paura e umiliazione,

 

Da dove sono venuti questi?[2]

Prendimi, fammi prigioniero! Comanda!

alimenta[3] la miseria della gente!

 

Da dove sono venuti questi?

Prendimi, fammi prigioniero! Comanda!

spargi sangue!

 

Da dove sono venuti questi?

Che religione seguono?

Non assomigliano per nulla alla gente del mio Paese

Non appartengono alla nostra Terra

Da dove sono venuti a comandare?

 

Ma loro non sanno

Ma loro non sanno

 

Che siamo i figli di Ta-Seti e Makuria[4]

Le fiamme di Sennar vivono in noi

Legandoci a loro in un’armoniosa continuità[5]

Siamo grandiosi! Siamo grandiosi!

Siamo stati creati con l’argilla della generosità!

Il sole poi ci ha resi neri, e integri![6] Integri! Integri! Integri!

I nostri cuori, con amore, donano alla Terra

rose e saluti di pace,

e alle persone, felicità.

 

 

 

ميلاد

يا ليتَهم وبنفسِ قوةِ بطشِهِم بالأبرياء

بطشوا بمن سرق الرغيفَ من الجياع

أو ليتَهم وبنفسِ نهمتِهِم على سفكِ الدماء

استرجعوا شبراً من الوطنِ المضاع

لكنهم ولبؤسِهم هم نفسُهم

لكنهم ولبؤسِهم هم نفسُهم

من أورد الناسَ المهالكَ والمذلةَ بِالخداع

 

من أين جاءَ هؤلاء؟

خذني حبيساً كن رئيساً

جرِّعِ الناسَ الشقاء

من أين جاءَ هؤلاء؟

خذني حبيساً كن رئيساً

ولترَق كل دماءّ

 

من أين جاءَ هؤلاء؟

ولأي دينٍ يتبعون؟

لا يُشبِهونَ الناسَ في بلدي بتاتاً

لا هم لأرضِنا ينتمون

من أين جاؤوا يحكمون؟

 

لكنَهم لا يعلمون، لا يعلمون

لكنَهم لا يعلمون، لا يعلمون

 

بأننا أبناءُ تاسيتي العظيمةِ والمقرّة

أحيت النيرانُ من سنارَ فينا

صِلاتاً بالتآلفِ مستمرة

عظماء، عظماء

من طينِ المكارمِ قد خُلقنا

وكستنا الشمس سُمرة

طيّبون، طيّبون، طيّبون، طيّبون

قلوبُنا بالحب تهدي الأرض

ورداً وسلاماً

ثم للناسِ المسرّة

 

 

[1] Il verbo batasha indica, in generale, l’atto di “compiere violenze” o “fare uso della forza”.

[2] Come indicato nell’ottima traduzione in inglese a cura di The Sounds of Sudan (un’iniziativa nata nel 2018 che mira a preservare e celebrare la cultura musicale del Sudan, di cui avevamo già parlato qui), si tratta probabilmente di un riferimento al saggio dell’autore sudanese Tayeb Salih intitolato proprio “Da dove vengono questi?”, volto a criticare il governo di Sadiq al-Mahdi e i suoi sostenitori (in particolare i Fratelli Musulmani).

[3] Jarraa, lett. “far inghiottire”, “far trangugiare”, “far tracannare”.

[4] Si tratta di alcuni riferimenti alla Storia antica della regione dell’attuale Sudan. Nell’Antico Egitto, Ta-Seti si riferiva a una vasta regione storicamente situata tra l’Alto Egitto e la Nubia e, per estensione, alla regione più settentrionale dell’attuale Sudan. Makuria fu un regno nubiano sorto intorno al 350 a.C., anch’esso corrispondente all’attuale Egitto meridionale e Sudan settentrionale.

[5] Si tratta di un altro riferimento storico al Regno di Sennar (o “Sultanato blu”), nel nord dell’attuale Sudan, durato dal XVI secolo agli inizi del XIX secolo. La cantante desidera dunque tracciare un’armoniosa continuità con la gloriosa Storia “sudanese”.

[6] La cantante usa il termine generico tayyibūn, traducibile con “buoni”, “giusti”, “onesti”, “maturi”, “retti”, etc.

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