È probabilmente la più famosa cantante mauritana. Cantastorie diventata artista, dopo aver subito una censura decennale ha portato nei palazzi della politica lo stesso desiderio di giustizia che si trova nei suoi testi

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:26:34

Malouma Mint El Meidah è probabilmente la più famosa cantante mauritana. Ma non solo. È anche un’abile musicista, instancabile attivista e prima donna senatrice del suo Paese.

 

Malouma nasce nel 1960 (anno dell’indipendenza mauritana dalla Fancia) a Mederdra, una cittadina nel deserto a metà strada tra il confine con il Senegal (a sud) e le coste dell’oceano Atlantico (a ovest).

 

È figlia di una numerosa e prestigiosa famiglia di iggawen (femminile tigiwit/tigawaten, termine in lingua hassaniya per indicare i griot), una sorta di troubadours, storici, poeti, musicisti, maestri della parola e detentori della tradizione (nel caso della Mauritania, soprattutto della tradizione azāwān), figure tipiche dell’Africa occidentale. Il nonno, Mohamed Yahya Ould Boubane, era infatti conosciuto per la sua abilità nel suonare il tidinit, mentre il padre, Mokhtar Ould Meidah, era una figura di riferimento nella tradizione poetica e musicale locale, che egli stesso contribuì ad arricchire.

 

La musica scorre dunque nel sangue di Malouma, la quale impara presto a comporre sull’ardin (un’arpa tradizionale spesso suonata esclusivamente da donne) e a cantare, tenendo già nell’adolescenza delle sessioni musicali in cui è protagonista indiscussa. Grazie alla radiolina del padre, allena inoltre il suo orecchio ai grandi cantanti arabi “classici” mediorientali e a suoni più occidentali (come il blues).

 

Eppure, nonostante l’evidente talento, non avrà una carriera semplice e lineare: le sue “innovazioni musicali” attireranno le critiche di alcuni musicisti “puristi”, mentre lei stessa rifiuterà di essere “etichettata” come una griot tradizionale, rivendicando delle scelte di rottura nelle sonorità e nelle tematiche dei suoi brani.

 

I suoi testi, audaci nella critica alle norme sociali tradizionali, saranno spesso percepiti come “scandalosi”: a questo proposito, è emblematica la primissima canzone originale (Habibi Habeytou), che criticava il trattamento riservato alle donne nella società mauritana tradizionale e con la quale si esibì al Festival di Cartagine del 1988, riscuotendo un grandissimo successo (anche in patria).

 

Proprio per essere una cantante donna, Malouma sarà spesso percepita come una “semplice” tigiwit e non un’artista indipendente, completamente libera. Non aiuterà nemmeno il suo essere divorziata da due mariti, uno imposto e uno che rifiutava il suo desiderio di cantare, una storia già vista in una precedente puntata di T-arab, con Mariem Hassan.

 

Ma una vera e propria censura decennale si abbatté su di lei non tanto per la sua ferrea volontà di emancipazione sociale e musicale, quanto per il suo sostegno, nel 1992, al candidato indipendente alla presidenza Ahmed Ould Daddah e le sue posizioni molto critiche contro i governi militari mauritani.

 

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Le cose cambieranno lentamente grazie al suo crescente successo all’estero e alle prime elezioni democratiche libere in Mauritania nel 2007, che la spingeranno a mettersi in gioco anche a livello politico: eletta senatrice in quello stesso anno, tenterà di dar nuova voce alle istanze che fino a quel momento aveva “solo” cantato. Dichiarava infatti: «Uso la mia presenza e il mio tempo di parola in quest’aula [il parlamento] per “prolungare” i miei testi, le mie canzoni […] mi faccio portavoce delle attese del popolo».

 

Di questioni sociopolitiche importanti, nelle sue canzoni, Malouma ne ha toccate molte: unità nazionale, libertà di espressione, giustizia, corruzione, razzismo, scolarizzazione, pari opportunità, lotta all’AIDS. Negli ultimi anni si è però progressivamente ritirata dalla politica “partitica”, portando avanti in altro modo due cause che le stanno molto a cuore: l’accesso alla cultura (in particolare per le donne) e il rispetto dell’ambiente.

 

Oggi, grazie poi alla sua Fondazione, Malouma tenta infine di preservare il patrimonio musicale mauritano.

 

Parliamo appunto di musica: tutti i suoi quattro album (Desert of Eden, 1998; Dunya, 2003; Nour, 2007 e Knou, 2014), sono un mix ricco e variegato di sonorità tradizionali (di tutte le componenti mauritane, grazie ai Sahel Hawl Blues) e influenze blues, gospel, funk, jazz e rock.

 

Il brano di oggi arriva dal suo ultimo lavoro, Knou. Vi si trovano canzoni “ambientaliste” (Zemendour e Menn Mina), brani su un tè condiviso tra cittadini e gente del deserto, canzoni “intergenerazionali” dedicate al padre scomparso e alla sua arte tradizionale, testi sulle migrazioni subsahariane e la nostra Mektoub (“scritto”, ma anche “destino”), un pezzo a prima vista “spirituale” più  che “politico”. Ed è spesso così con i testi di Malouma, che da buona tradizione iggawen “spiritualizza” le ingiustizie di questo mondo.

 

In effetti, la canzone sembra essere un pio invito alla conversione, al pentimento e alla buona condotta. Leggendo tra le righe, si nota però una critica al “potente” che non persegue il bene comune; al ricco insolente, che non ha occhi per i poveri; ai criminali che commettono ingiustizie.

 

Attraverso dei “profili”, Malouma descrive il destino di chi ha scelto il bene e chi il male, sottintendendo: a voi la scelta. A chi è rivolto questo ammonimento? In un’intervista la cantante afferma che la canzone si rivolge in particolare ai terroristi che operano nel Sahel, i quali «uccidono gratuitamente in nome dell’Islam […]. Come osano servirsi dell’Islam per compiere i loro crimini?».

 

Si potrebbe aggiungere molto altro su questa figura carismatica ed è giusto segnalare che, per una volta, gli articoli di Wikipedia in arabo e inglese sono notevoli e molto più accurati di frettolose ricostruzioni giornalistiche ripetute a pappagallo da un sito all’altro.

 

Malouma è l’esempio di una donna che non solo ha rivoluzionato il mondo della canzone nel suo Paese, ma è anche riuscita, con il suo talento e le sue idee, a portare la sua voce e quella del suo popolo fino in parlamento. D’altronde, ci sarà un motivo se in Mauritania è conosciuta come mutriba al-fuqarā’, “la cantante dei poveri”.

 

Buon tarab!

 

Canzone: Mektoub

Artista: Malouma

Anno: 2014

Nazionalità: Mauritania

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

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Destino

 

Dio, ci hai donato la vita

e scritto e decretato il (nostro) destino[1]

Ci pentiamo per ciò che è passato

A Te ritorniamo, in Te il nostro rifugio

 

(Vi è) Colui che resta attaccato alla sua vita, appagando il proprio ego[2]

e affogandosi nei piaceri, senza porsi limiti

al sopraggiungere improvviso della morte ha giusto il tempo per i rimorsi

Ma chi potrà cambiar qualcosa? Gloria a Colui che tutto conosce!

 

Dio, ci hai donato la vita

e scritto e decretato il (nostro) destino

Ci pentiamo per ciò che è passato

A Te ritorniamo, in Te il nostro rifugio

 

(Vi è) colui che di notte veglia, leggendo il Libro di Dio[3]

e conversa intimamente con il Maestoso, che lo ha guidato (sulla retta via)[4]

mentre colui che raccoglie denaro per costruire palazzi

quando tutt’intorno a lui c’è povertà di ogni tipo,

cammina nella sua meschinità[5]

 

Dio, ci hai donato la vita

e scritto e decretato il (nostro) destino

Ci pentiamo per ciò che è passato

A Te ritorniamo, in Te il nostro rifugio

 

(Vi è) colui che, con convinzione e generosamente, rinfranca gli animi[6]

egli non dà grande importanza né al passato né al futuro

mentre colui che commette crimini avrà un destino ignobile.

L’Islam ingiunge un pentimento sincero, voi uomini, abbiate timor di Dio![7]

 

Dio, ci hai donato la vita

e scritto e decretato il (nostro) destino

Ci pentiamo per ciò che è passato

A Te ritorniamo, in Te il nostro rifugio

 

E colui che non si è appropriato ingiustamente di ciò che non era suo,

non avrà nessun rimorso né inquietudine

 

Dio, ci hai donato la vita

e scritto e decretato il (nostro) destino

Ci pentiamo per ciò che è passato

A Te ritorniamo, in Te il nostro rifugio

 

 

 

مكتوب

 

يا رب منحتنا الحياة

وكتبت وقدّرت المكتوب

التوبة من ذاك اللي فات

ارجعنا إليك الهروب

 

اللي يبقي الحياة متّع بها نفسه

وغرق في الملذات ما رأى حد يحسه

فجأة يوم الأجل بيجي وقت الندم

من يمكن يتدخّل سبحان من يعلم

 

يا رب منحتنا الحياة

وكتبت وقدّرت المكتوب

التوبة من ذاك اللي فات

ارجعنا إليك الهروب

 

واللي مقيم الليل يقرا كتاب الله

يناجي للجليل سبحان من هداه

اللي يجمع المال يبني به القصور

الفقر حذاه أشكال يعجب يمشي محقور

 

يا رب منحتنا الحياة

وكتبت وقدّرت المكتوب

التوبة من ذاك اللي فات

ارجعنا إليك الهروب

 

اللي يرفد الأرواح واقنع بالتكثير

الماشي واللي راح الكامل عنده حقير

واللي ارتكب الإجرام والذل انهى حقه

والنوب أمر الإسلام يا عباد الله اتقوا

 

يا رب منحتنا الحياة

وكتبت وقدّرت المكتوب

التوبة من ذاك اللي فات

ارجعنا إليك الهروب

 

اللي ما قط ولمّ اللي ما هو واكل حق

والله ما يتندم ولا يشعر بالقلق

 

يا رب منحتنا الحياة

وكتبت وقدّرت المكتوب

التوبة من ذاك اللي فات

ارجعنا إليك الهروب

 


[1] Maktub, titolo della canzone, significa letteralmente “scritto”. Può essere utilizzato in arabo nel senso di “destino”, ossia “ciò che è stato scritto” da parte di Dio per l’umanità. Si noti l’utilizzo del verbo qaddara, “decretare”, da cui anche qadar, anch’esso traducibile come “destino” o, più precisamente, “decreto” o “volontà divina”.

[2] Si noti l’utilizzo del verbo baqiya, “restare”, “rimanere”, in questo caso “rimanere attaccato alla vita, alle cose di questo mondo”. L’atto di “rimanere” è solo di Dio, l’Eterno (al-Bāqī, lett. colui che “rimane”), mentre tutto il resto, compresa l’esistenza terrena, passa (fanā’, concetto citato nel ritornello). Si è scelto di tradurre nafs (“anima”) con “ego”, evocando il senso negativo che il termine nafs acquista nella spiritualità islamica, e in particolare in quella sufi, come sede delle passioni umane.

[3] Kitāb Allāh, ossia il Corano.

[4] Riferimento alla prima sura coranica, “l’Aprente” (al-Fātiha), in cui si prega Dio di “guidare” il cammino del credente lungo la retta via.

[5] Il vero povero, “meschino” e “abietto” (mahqūr) è colui che, nella sua ricchezza, non vede né prova empatia per la povertà intorno a lui.

[6] Lett. “colui che sostiene gli spiriti (rūh), e, compie ciò con convinzione e in maniera abbondante”.

[7] Si tratta del termine squisitamente coranico taqwā, il “timore reverenziale” nei confronti di Dio. Si è invece preferito tradurre con un generico “uomini” il termine ‘ibād, lett. “servi (di Dio)”.

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