L’ex premier britannico presenta ai lettori di «Oasis» il programma curato dalla sua Fondazione. «Nella vita globale del XXI secolo occorre promuovere la comprensione tra i credenti e proiettare una immagine positiva dell’identità religiosa». Un progetto operante in undici paesi.
 

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:36

Face to Faith è un programma internazionale per studenti delle scuole secondarie diretto dalla Tony Blair Faith Foundation, allo scopo sia di incrementare le conoscenze religiose dei partecipanti che di promuovere il rispetto e la comprensione reciproca tra studenti di diverse culture e religioni. Gli studenti hanno la possibilità di imparare gli uni dagli altri attraverso la discussione internazionale e interreligiosa in videoconferenza. Attualmente operativo in 11 Paesi (Australia, Pakistan, India, Tailandia, Singapore, Libano, Palestina, Giordania, Regno Unito, Stati Uniti e Canada), il programma offre agli studenti la possibilità di parlare con studenti di altri Paesi di problemi d’importanza globale e conoscere i tanti modi in cui culture e religioni diverse permettono alla gente di trovare soluzioni.  L’educazione è la chiave per lo sviluppo del futuro, non solo a livello individuale, ma anche a quello delle società, delle nazioni e, in misura sempre crescente, del globo. In vari Paesi del mondo i sistemi educativi faticano ad adattarsi all'idea di preparare gli studenti di oggi alle realtà globali di domani (e, dato che i cambiamenti avvengono a un ritmo sempre più accelerato, è quasi impossibile prevedere quali saranno queste realtà). I fondamenti storicamente solidi che erano avvertiti sostenere tali realtà e a cui si ancorava la percezione di sé nel fluire della storia – cultura, nazione, fede religiosa – sono essi stessi soggetti alle forze del cambiamento. Il programma Face to Faith ha lo scopo di affrontare un problema chiave che i sistemi educativi hanno finora eluso: la questione della fede e dell’identità. Nel preparare gli studenti alla vita nel XXI secolo, bisogna riconoscere che la Fede è importante per tante persone nel mondo, che essa gioca un ruolo decisivo nel formare la loro vita e imprimervi un significato. Punti di vista come: “Quello che credono gli altri non mi riguarda, perché siamo comunque siamo lontani”[1] o “La religione è una favola per quelli che non capiscono la scienza”[2] sono criticati con fermezza dai discorsi della Globalizzazione e del Post-Modernismo, traiettorie irresistibili che ci spingono verso un futuro da condividere quali cittadini globali che devono imparare ad ascoltare e a comprendere i loro nuovi vicini se vogliono reggersi in piedi e crescere insieme. La Tony Blair Faith Foundation ha due obiettivi principali: promuovere la comprensione reciproca tra i credenti e proiettare un’immagine positiva della fede sulla scena del mondo. Il programma Face to Faith gioca un ruolo vitale in entrambi i processi: si propone di lavorare con i giovani, gli studenti di oggi che saranno i leader mondiali, i politici, gli elettori, i cittadini di domani. Il Programma vuole renderli capaci di raccontare e ascoltare le loro storie, imparare gli uni dagli altri in materia di religione e quindi sviluppare una comunità di comprensione e rispetto reciproci. Infatti il corollario di questo tipo di educazione è che gli studenti sono a loro volta insegnanti, vengono quindi resi orgogliosi protagonisti delle loro storie e ambasciatori delle rispettive fedi e culture, le quali non vengono più rappresentate attraverso la lente dei media (troppo spesso deformante), ma scaturiscono fin dal principio dall’esperienza personale. L’incontro chiave fra gli studenti avviene attraverso la videoconferenza, con la quale gli studenti incontrano “gli altri” e imparano da loro, oltre a insegnare loro il proprio credo e le proprie posizioni culturali. A un livello più profondo, ciò li mette nella posizione di vedere al di là degli stereotipi presentati dai media e di incontrare direttamente giovani provenienti da altre fedi e culture per stabilire con loro rapporti basati sulla comprensione e il rispetto reciproci. Sebbene ciascuna videoconferenza duri solo un’ora, gli studenti possono continuare le discussioni attraverso una comunità online a cui possono accedere solo gli studenti e gli insegnanti che vi si iscrivono. Ogni videoconferenza viene moderata da una persona con esperienza nel campo del dialogo interreligioso o in quello dell'educazione plurireligiosa. Il moderatore facilita lo sviluppo della discussione e rende gli insegnanti liberi di aiutare gli studenti a trarre il massimo da questa opportunità. Face to Faith opera in collaborazione con il Global Nomads Group e Polycom (all'avanguardia mondiale della tecnologia della videoconferenza) per consentire la partecipazione di tutte le scuole che vogliono avvalersi del programma, fornendo gratuitamente il software necessario. La nostra esperienza ha dimostrato che si tratta di un metodo efficace per costruire relazioni globali. Un insegnante ha scritto questa e-mail ad un collega: «I tuoi studenti sono stati eloquenti, onesti e curiosi...mi è piaciuto il modo in cui si chiamavano tra loro “amici” e sono stato contento di sentire come reagivano ai loro interlocutori anche quando esprimevano disaccordo. Si vedeva che avevano recepito cosa significa comunicare con onestà e rispetto».  Discussioni in Classe Esistono spesso notevoli tensioni nel rapporto tra fede religiosa ed educazione, tensioni che in molti Paesi vengono risolte con una rigorosa aderenza ai principi laici: l'idea che la religione sia una questione interamente privata, spesso causa di divisione, da escludere completamente dalle aule. Questo atteggiamento non è sorprendente se si considera lo storico abuso di privilegi perpetrato in passato da alcune comunità religiose. Nessuno vuole che i giovani subiscano un lavaggio del cervello o che sia loro imposta una particolare fede o ideologia. Il rifiuto della fede religiosa come materia di insegnamento o di discussione è dunque un modo per affrontare la questione. Questo particolare approccio, tuttavia, ha i suoi problemi, tende cioè a produrre individui non solo ignoranti in materia di fede religiosa (che sia o no quella della propria cultura), ma anche privi del linguaggio o degli strumenti intellettuali specifici che li renderebbero capaci in un futuro di relazionarsi con dei credenti. Le loro opinioni saranno perciò formate dalle mode imposte dai media o, peggio, da gruppi estremisti. Inoltre si sviluppa un atteggiamento per il quale la fede religiosa non ha importanza e non è parte del “mondo degli adulti”. In breve, per usare la terminologia di Prothero, questi giovani diventano «religiosamente analfabeti».[3] Face to Faith cerca di migliorare l’“alfabetizzazione religiosa” degli studenti, offrendo loro le opportunità per esplorare queste idee in un ambiente sicuro e stimolante. Fondamentalmente il programma cerca di aiutare gli studenti a conoscere le religioni attraverso vari strumenti; in modo più significativo attraverso le discussioni con altri studenti. Il fatto che questo abbia luogo in classe è di per sé rilevante. Le classi sono spesso luoghi in cui avvengono vivaci e approfondite discussioni, nelle quali i partecipanti sono guidati e aiutati. Gli studenti vengono incoraggiati a spalancare la mente davanti a una varietà di problemi e a trarre le loro conclusioni. Perché dunque la fede dovrebbe essere esclusa da questo processo intellettuale? La tesi per cui “gli studenti potrebbero convertirsi al contatto con le idee che incontrano nelle lezioni” è debole. Studiando la storia, gli studenti del mondo imparano cose terribili, per esempio l’Olocausto; ma nessuno insinua il dubbio che l’esposizione a queste idee e lo studio delle radici dell’antisemitismo europeo possa rendere uno studente antisemita o genocida. In realtà l’esperienza suggerisce che per gli studenti è più probabile uscire da questo processo ancora più convinti delle posizioni iniziali. L’impresa di spiegare ad altri la propria fede è un bella sfida. Bisogna superare gli slogan e i luoghi comuni che regolarmente rientrano nel discorso religioso. Non si può usare la comoda terminologia dell’adepto, si devono invece spiegare i concetti in modo chiaro e semplice. Molto spesso ciò aiuta a esplorare approfonditamente ciò in cui si crede, che si tratti del “perché credo in Dio”, o del “perché non credo in Dio”. È infatti importante ricordare che stiamo parlando di alfabetizzazione religiosa, cioè di insegnare la religione, non di imporla. Ciò vale per tutti gli studenti, che abbiano o no una fede religiosa, e c’è spazio per discutere le fedi e i punti di vista di ognuno. Noi incoraggiamo l’uso di tecniche attinte al dialogo interreligioso, con un particolare accento su ciò che “io” penso o credo, piuttosto che immaginare che ciascun individuo rappresenti un’intera tradizione, il che non solo pone gli studenti in una posizione migliore rispettando le opinioni dei singoli, ma dà loro l’opportunità di scoprire in modo diretto la diversità delle esperienze e degli approcci all'interno di ogni singola tradizione religiosa. Gli studenti musulmani dell’Indonesia, del Pakistan, della Palestina e del Regno Unito condividono alcuni elementi di una cultura religiosa comune, ma la loro esperienza di come questa cultura viene vissuta all'interno di ciascuna comunità può essere molto diversa. È anche significativo che gli studenti imparano a conoscere la fede religiosa come forma di “antidoto contro l'estremismo”. Una delle ragioni per cui i giovani diventano estremisti religiosi è che il loro primo incontro con la religione, generalmente nella sua forma più fondamentalista ed estremista, avviene in un clima di intolleranza: niente domande o dissensi, le parole vengono inculcate loro in testa fino a farle uscir loro di bocca. Che un simile approccio sembri loro corretto è, paradossalmente, il risultato di un’educazione che privilegia la prospettiva laica sulla religione, suggerendo che la religione è di per sé monolitica, fondamentalista e irrazionale. Gli studenti il cui primo incontro con la religione è avvenuto in classe si trovano in una posizione diversa: sono  abituati a fare domande, hanno familiarità con certi concetti e, soprattutto, sanno che esiste una grande diversità all'interno di ogni religione particolare. Di conseguenza qualunque individuo o gruppo che pretenda di possedere una verità o un’interpretazione assolute potrebbe non avere ragione. Incoraggiare l’Azione Sociale Il programma Face to Faith offre una gamma di materiali didattici per aiutare gli insegnanti a preparare i loro studenti in vista delle videoconferenze. È importante che questi incontri preziosi diventino un’occasione di dialogo significativo e noi crediamo che questo approccio si possa sia imparare che insegnare. Le risorse sono modulari e flessibili, in modo da poter essere utilizzate in diversi modelli curricolari e con studenti di età ed esperienze differenti; possono essere integrate in strutture curricolari esistenti o formare corsi indipendenti (o perfino  affiancare la componente del progetto Global Perspectives IGCSE offerto in 140 Paesi da Cambridge Assessment). Dopo un modulo introduttivo, incentrato sulle abilità necessarie per costruire un dialogo efficace e significativo, gli altri moduli trattano di problemi globali, come la ricchezza o l’ambiente, osservati attraverso “la lente della fede”. Gli studenti hanno l’opportunità di scoprire i modi in cui diverse comunità religiose li affrontano, nonché lo spazio in cui considerare i propri sentimenti. È anche estremamente importante non perdere mai di vista il fatto che le migliori attività di classe sono anche piacevoli. Il divertimento ha un ruolo importante nell'apprendimento e riuscire a suscitarlo nelle aule scolastiche in varie parti del mondo è per noi un grande privilegio. Uno dei nostri colleghi indiani ha commentato: «Vi ringrazio per questo magnifico programma Face to Faith. Agli studenti piace un sacco svolgere le attività dei moduli». Una parte importante di questi moduli, strettamente collegata ad altre attività svolte dalla Fondazione, è l'incoraggiamento all’“azione sociale” nei moduli successivi.Gli studenti vengono spinti ad esplorare strategie utili per il coinvolgimento diretto in questi problemi e a metterle in pratica. Naturalmente si tratta di una cosa che molte scuole già fanno, ma l’accento qui è leggermente diverso e potrebbe dare uno slancio supplementare per un impegno più ampio degli studenti nel loro contesto sociale.  Dobbiamo riconoscere che pochissimi insegnanti nel mondo sono esperti di religioni nelle varie culture. Per questo i materiali sottolineano il ruolo dell'insegnante come “facilitatore” più che come esperto vero e proprio. Face to Faith tiene conto del fatto che a molti insegnanti viene richiesto un grande sforzo nel mettere in pratica questo progetto, in particolare in Paesi nei quali il sistema educativo è rigorosamente laico o le didattiche pedagogiche hanno scoraggiato lo sviluppo del dialogo. Di conseguenza cerca di aiutarli in vari modi: innanzitutto con materiali dettagliati che gli insegnanti possono usare come preparazione degli studenti per le videoconferenze (e che gli insegnanti sono liberi di adattare per ottimizzare la loro efficacia  in particolari contesti culturali); in secondo luogo con un programma continuo di tirocinio per gli insegnanti che comprende non solo le idee che emergono dai moduli, ma una serie di efficaci metodi pedagogici, che si concentrano su tecniche di apprendimento cooperativo e costruiscono il dialogo. Si è tentati di criticare tale lavoro come la continuazione di un progetto coloniale che impone prospettive occidentali ai sistemi educativi di altri Paesi del mondo; ma in realtà non si tratta di questo. La filosofia che sottende il Programma è basata sulla natura internazionale dei “Principi guida di Toledo sull'insegnamento delle religioni e delle fedi nelle scuole pubbliche”[4] e il suo sviluppo è stato monitorato da un gruppo internazionale di esperti di religione ed educazione, con contributi da parte di un ampio comitato di consulenza rappresentato da leader religiosi e intellettuali. La flessibilità dei materiali permette agli insegnanti di adattarli alla propria situazione, mentre la continua attività di supervisione e valutazione assicura l’aggiornamento costante dei materiali alla luce dei commenti degli insegnanti. Inoltre, il Prof. Robert Jackson e un gruppo di ricercatori della World Religions Education Unit dell'Università di Warwick stanno effettuando una valutazione indipendente di Face to Faith. Il gruppo userà dati sia qualitativi che quantitativi raccolti dalle discussioni online, dalle attività e dai dialoghi delle videoconferenze. Face to Faith è stato lanciato il 9 giugno 2009 e da allora è cresciuto rapidamente. Abbiamo organizzato laboratori di formazione degli insegnanti in India, Pakistan, Tailandia, Singapore, Australia, Stati Uniti, Regno Unito, Giordania, Libano e Palestina, lavorando con 267 insegnanti [5] per presentare il progetto. Il Programma è sostenuto da scuole che hanno un ruolo chiave in tutti questi Paesi e da coordinatori locali, capaci di offrire la loro abilità e la loro esperienza di lavoro, per sostenere e assistere altri insegnanti ed istituti. La nostra esperienza di lavoro con il primo gruppo di insegnanti provenienti da tutto il mondo è stata enormemente stimolante: abbiamo riscontrato un grandissimo entusiasmo per il progetto in tutti i laboratori. Come ci ha scritto uno degli insegnanti: «C'è un grande fermento a scuola a proposito di Face to Faith». Nelle scuole di tutto il mondo c’è una gran richiesta di questo tipo di dialogo, come anche di metodi pedagogici utili a organizzare le attività che lo rendano possibile e di opportunità per garantirne la continuità, in modo tale che gli studenti superino le barriere dell'ignoranza, del pregiudizio e del sospetto che hanno deturpato i rapporti delle generazioni precedenti. Gli insegnanti con i quali abbiamo lavorato finora sono, come molti dei loro colleghi nel mondo, desiderosi di accogliere nuove idee e approcci che rendano più efficace l'apprendimento nelle classi ed hanno accolto Face to Faith con questo spirito. Come ha detto uno dei nostri colleghi australiani: «Siamo rimasti molto colpiti e possiamo veramente vederne i vantaggi per i nostri ragazzi». Costruire questi rapporti internazionali e definire questi problemi in termini di fede e identità sembra essere realmente lo spirito dei nostri tempi, non solo in Europa ma nel mondo. In ognuno dei Paesi nei quali lo abbiamo lanciato il programma è riconosciuto come uno strumento di cui gli studenti hanno bisogno per affrontare il futuro. Si sa che la fede religiosa può essere usata per causare problemi nel mondo; ma c'è anche il desiderio di vedere esempi di come la fede può essere usata per unire il mondo e per iniziare ad affrontare quei problemi. Face to Faith è un passo avanti in questa direzione.


  [1] Parafrasando Richard Dawkins,  il fatto che nessuno si vanti di ignorare  la letteratura, ma che è socialmente  accettabile vantarsi di ignorare la religione è diventato quasi un cliché. [2] Citando Richard Dawkins «Le religioni avanzano pretese sull'universo - lo stesso tipo di pretese che avanzano gli scienziati, a parte il fatto che esse sono generalmente false». [3] Stephen Prothero, Religious Literacy: What Every American Needs to Know And Doesn't, HarperCollins, New York 2007. [4] http://www.osce. org/publications/ odihr/2007/ 11/28314_993_en.pdf.  [5] Finora!  

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