Il processo di secolarizzazione è a un punto di svolta. Il compito dell'Europa nel riaprirsi alla dimensione religiosa è urgente

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:24

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«Perché nelle nostre società occidentali del 1500 era virtualmente impossibile non credere in Dio, mentre nel 2000 molti di noi trovano questa opzione non solo semplice, ma persino inevitabile?»[1].

Per rispondere a questo interrogativo, formulato con rara incisività da Charles Taylor, occorre prima di tutto optare per una narrazione della storia della modernità[2]. Anzi, di storie in circolazione ce ne sono in realtà almeno due: la prima, quella del “disincantamento del mondo”, vede nel secolarismo odierno l’inevitabile approdo della moderna secolarizzazione; la seconda intende invece il percorso della secolarizzazione come conseguenza di precise scelte culturali, maggioritarie ma non assolute né strutturali. Nel primo caso la strada risulta segnata, nel secondo la secolarizzazione – intesa come processo – è soltanto un cammino il cui esito è, in qualche modo, ancora aperto[3].

 

La magia di Arafa

Impossibile e in fondo poco utile risulterebbe ora cercare di ripercorrere il dibattito in materia, condensando in poche parole le ragioni e soprattutto i dati empirici per cui la seconda lettura appare oggi più plausibile della prima, in particolare se si allarga lo sguardo oltre l’Europa continentale[4]. Più interessante è osservare come il processo di secolarizzazione, che viene da lontano, sembri giungere oggi a un’inattesa svolta. Da un lato esso assume forme inedite, ma dall’altro l’intera costruzione è investita da una crisi profonda.

In effetti, è difficile immaginare una possibilità di agire senza alcun riferimento al trascendente più radicale di quella dischiusa negli ultimi decenni dall’ideologia tecno-scientifica[5]. Per la libertà dell’uomo di oggi appare ormai a portata di mano il traguardo di disegnarsi e ri-disegnarsi a piacimento, all’interno di una “cornice immanente” priva di ogni forma che non quella da lui stesso immessa in precedenza. È vero, ognuno di noi è gettato nell’essere senza potersi auto-generare e la nostra stessa conformazione psicologica sembra incapace di reggere a lungo tale ebbrezza. Tuttavia nessuno può dirsi immune dal fascino vertiginoso di un così profondo dominio su di sé, sul mondo e (almeno potenzialmente) sugli altri. Il connubio, dai risultati strabilianti, tra scienze e tecnologie è il luogo di una potenza in cui la parabola della secolarizzazione ha assunto, in termini assolutamente imponenti e inimmaginabili, un peso radicale.

È del resto la conclusione a cui perveniva già negli anni Cinquanta il Premio Nobel egiziano Naghib Mafhuz nel suo più controverso romanzo, Il rione dei ragazzi, allegoria del Medio Oriente e delle sue religioni. Il vecchio Ghabalawi (il Dio della creazione) viene alla fine scacciato dalla “magìa” di Arafa, figura della scienza moderna.

«Il popolo si fece così caparbio nella propria opposizione che diceva: “Il passato per noi è nulla. Nostra unica speranza è la magia di Arafa. Dovessimo scegliere tra Ghabalawi e la magia, sceglieremmo la magia”»[6].

E proprio la furibonda reazione dei fondamentalisti egiziani, che per queste frasi arrivarono a un passo dall’uccidere Mahfuz, rappresenta il più chiaro attestato della debolezza intellettuale della loro prospettiva, puramente oppositiva.

In questo contesto, espressivo del travaglio che connota il passaggio di millennio, compare tuttavia all’orizzonte, largamente imprevista almeno nelle sue dimensioni, la crisi economico-finanziaria. In Europa, prima ancora del mero dato statistico, colpisce la quasi totale assenza d’ipotesi di soluzione che non siano la riproposizione di stanchi repertori economici[7], non di rado accompagnati dalle ricette di un secolarismo aggressivo sul piano dei diritti soggettivi. Lavoro non ce n’è (e non si sa come fare a recuperarlo), ma le priorità dell’agenda politica sembrano nei fatti essere lasciamo stare i discorsi accorati e i fervorosi appelli ben altre anche in chi aveva fatto dei diritti sociali la sua storica bandiera. Dov’è finita – penso sia lecito chiederselo – la critica di Marx alle libertà borghesi come espressione dell’«individuo ripiegato su se stesso»[8]? Sembra si sia persa per strada nei convulsi tornanti del post ’89.

È evidente tuttavia che la crisi in Occidente non si limita all’ambito economico. Essa è anche crisi della rappresentazione e della rappresentanza politica e come tale investe partiti e istituzioni. Come ha ricordato Papa Francesco di recente, non siamo di fronte a

«una crisi soltanto economica [...]. È una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo!»[9]

Senza evidentemente misconoscere gli aspetti positivi che il processo di secolarizzazione ha indotto – penso ad una più chiara articolazione dei rapporti religioni-società civile e alla valorizzazione della libertà del soggetto – permane l’impressione di essere arrivati a un punto di svolta.

 

Fare i conti con la storia

È con questo punto di svolta che, piaccia o meno, devono fare i conti le comunità cristiane presenti in Europa. Uno dei motivi di fondo delle innegabili difficoltà che come Chiesa stiamo attraversando è il rischio di non reggere il paragone con questa nuova fase della storia; anzi a volte sembriamo non renderci conto né dell’urgenza di tale paragone, né di che cosa esso implichi. Manchiamo il bersaglio. Da qui nasce a mio avviso, come nostro compito specifico di cristiani in Europa, la necessità di una nuova interpretazione culturale della fede e, più in generale, delle religioni.

Non sarà forse inutile ribadire che essa non consiste nell’elaborazione di nuove teorie e parole d’ordine da parte di «cristiani inamidati, troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè»[10], ma nel tentativo, da parte dei battezzati, di vivere in ogni ambito dell’umana esistenza («il campo è il mondo» Mt 13,38) le dimensioni della fede cristiana fino, alle sue implicazioni antropologiche, sociali e di rapporto con il creato. E questo a partire proprio dalle domande suscitate dal mix di tecno-scienza, secolarismo e crisi economica, ma anche da quel rinnovato interesse per la fede che il pontificato di Papa Francesco documenta in modo imponente.

Tale tentativo peraltro resterebbe gravemente incompleto se non considerasse anche l’interazione tra le diverse fedi che sembra essere una delle caratteristiche più singolari della nostra epoca. Ed è qui che entra in scena in modo specifico l’intuizione che sta alla base di Oasis. Partiti per offrire un sostegno alle comunità cristiane di minoranza nel Medio Oriente, ci siamo gradualmente affacciati alla realtà variegata dell’Islam e dei suoi fedeli. Ora però, posti di fronte alla sfida di una nuova interpretazione culturale della nostra fede, ci rendiamo conto che, nelle nostre società plurali, essa non potrà che accadere nell’orizzonte inter-religioso e delle “etiche sostantive”.

Il punto è capitale perché il dia-logo a 360° è per un cristiano una dimensione strutturale dell’atto stesso di fede. Non lo si può limitare a un semplice corollario, per cui, conseguito una volta per tutte il possesso della verità, amor di pace e carità cristiana mi imporrebbero (come pure è!) di trattare “con gentilezza” i seguaci di altre religioni e culture. San Giovanni Climaco (575-ca650), probabilmente contemplando le scoscese forme del Monte Sinai, ebbe la geniale idea di concepire la vita cristiana come una scala[11], un’immagine poi ripresa anche dalla mistica ebraica e musulmana. Gradino per gradino l’uomo s’innalza a una sempre più perfetta conoscenza di Dio fino ad arrivare al pieno incontro con Cristo. A livello personale (è questa la prospettiva prevalente del Santo asceta), i gradini della scala sono le virtù; ma a livello della comunità dei credenti, incamminata verso la Gerusalemme celeste, ce li possiamo figurare come il susseguirsi delle varie epoche storiche. La nostra, come in altri termini già quella dei Padri dei primi secoli, è un’epoca di fisica mescolanza tra diverse mondo-visioni, laiche e religiose. È il nostro gradino, la nostra stazione lungo la scala e, nel conformarci al pensiero di Cristo, non potremo progredire oltre se non sapremo criticamente assumerla.

 (...)

Riscoprire l’esperienza religiosa

Guardando al “nostro” gradino, occorre riconoscere con realismo che esso appare segnato da «una profonda crisi di fede»[12], una crisi che investirebbe anche gli stessi cristiani, più preoccupati delle conseguenze della loro fede che della sua essenza. Ma se le cose stanno così, la presenza di musulmani che sovente vivono una radicale dedizione all’Assoluto rappresenta una provocazione da raccogliere.

Secondo un brano coranico che trova paralleli nel midrash ebraico, il giovane Abramo, alla ricerca del dio, si volge nella notte ad adorare le stelle. Ma quando esse scompaiono al far del giorno, esclama: «Non amo ciò che tramonta». E da questa considerazione egli è condotto, attraverso la luna e il sole, al culto del Creatore unico[13]. “Non amo ciò che tramonta”: si può immaginare una provocazione più radicale per le nostra società nord-occidentali?

Ovviamente i credenti sanno bene che concetti come “trascendente” o “assoluto” sono semplificazioni di un’esperienza infinitamente più ricca. L’esito di questo incontro tra religioni e culture non dovrà essere, se ci si mantiene fedeli alla mossa iniziale, l’approdo a un indistinto teismo, una improbabile “alleanza del trascendente”, ma una più consapevole coscienza della propria dinamica identità e della propria tradizione, rinnovata in alcune sue espressioni e approfondita in altre. In questa logica appare in ogni caso ingenuo ed oggettivamente sbagliato auspicare, segretamente o apertamente, per i musulmani, in particolare per quelli che vivono in Europa, un “bagno purificatore” nel secolarismo, proprio nel momento in cui ne lamentiamo gli effetti sulla vita delle comunità cristiane e della società tutta. No, decisamente, a proposito dell’esperienza religiosa mal comune non è mezzo gaudio. Quello di cui c’è bisogno invece è in tutti un più deciso approfondimento dell’esperienza religiosa e delle sue autentiche esigenze, che Gesù Cristo ha annunciato di essere venuto a compiere in pienezza.

Tali esigenze tuttavia implicano anche una costante purificazione. E dunque sarebbe errato rappresentarsi il processo a senso unico, come se il tutto si risolvesse nella necessità di un “recupero del trascendente” per un’Europa appiattita sull’orizzonte dell’immediato. Urge anche il movimento opposto, nella forma di una decisa denuncia di una teologia politica e di una religione ideologizzata[14] che travaglia sempre più la vita in Medio Oriente, prima di tutto delle comunità di minoranza oggi così duramente provate. Liquidare la questione come un utilizzo improprio della religione a fini politici rischia facilmente di diventare auto-assolutorio. Occorre piuttosto parlare di una compromissione in cui molti fedeli e uomini delle religioni, prendendo l’iniziativa “per conto di Dio”, finiscono per agire “al posto di Dio”. Non è sorprendente allora che la reazione a queste forme di deriva ideologica giunga nel mondo islamico non soltanto dagli ambienti più o meno occidentalizzati, ma anche dagli esponenti di una religiosità tradizionale che, pur non riuscendo sempre ad articolare le proprie ragioni, conservano un senso vivo della trascendenza di Dio che impedisce di ridurlo alla meschina statura di un capo-fazione. Nel leggere tali preoccupanti fenomeni non bisognerà mai dimenticare che il processo di secolarizzazione è nato e finora si è svolto prevalentemente in ambito cristiano; non c’è perciò alcuna garanzia che, investendo altre religioni, ne debba replicare i modelli. Occorre anzi affinare lo sguardo per abituarsi a coglierlo all’opera in fogge inconsuete e al limite paradossali: la religione immanente dell’Islam politico, nelle sue forme violente e non violente, potrebbe esserne una[15].

Una cosa comunque è certa: non ha molto senso opporre l’Occidente ateo all’Oriente della spiritualità. Lo sguardo ormai dev’essere unitario perché il dato nuovo di quel processo che chiamiamo meticciato è che i due poli, se mai sono esistiti, si sono ormai intrecciati anche fisicamente. Non saprei dire se un mega mall saudita, in cui pure risuona l’appello alla preghiera, sia più mistico e meno secolarizzato di un suo omologo occidentale. È del resto il crollo o quanto meno l’indebolimento delle frontiere che questi inediti ibridi plasticamente incarnano a giustificare la natura “di frontiera” della intrapresa di Oasis, che non si lascia ridurre a un centro di studi sull’Islam o sul Cristianesimo orientale, e ancor meno a un istituto di ricerca sulla società plurale europea. Se i confini vanno riconfigurandosi, la nostra ipotesi di lavoro dev’essere quella di attraversare i vari territori e saperi, facendo leva sulla comune esperienza religiosa e sulla sua continua, necessaria purificazione. Ovvero, parafrasando il romanziere italiano Calvino:

«Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo al deserto, non è deserto, e farlo durare e dargli spazio»[16].

Perché ciò che in mezzo al deserto non è deserto è proprio l’oasi.

 

Il compito dell’Europa

Siamo partiti da un quadro tutto sommato noto: la magia di Arafa che scalza il vecchio Ghabalawi. Ma guardando meglio il contesto odierno, vi abbiamo trovato, accanto a elementi che indubitabilmente vanno in questa direzione, anche fatti imprevisti, come la messa in discussione dei grandi immaginari della modernità (economia autoregolata, sfera pubblica trasparente e rappresentazione democratica)[17] o decisamente contraddittori, come la rinascita della teologia politica, che peraltro non è un fatto del solo mondo islamico.

A fonte di questo frastagliato panorama, la grande parola che l’Europa è chiamata a osare è “sintesi”. Lo diceva con grande lucidità Benedetto XVI recandosi in pellegrinaggio a Fatima, nel 2010:

«In questi secoli di dialettica tra illuminismo, secolarismo e fede, non mancavano mai persone che volevano creare dei ponti e creare un dialogo, ma purtroppo la tendenza dominante fu quella della contrarietà e dell’esclusione l’uno dell’altro. Oggi vediamo che proprio questa dialettica è una chance, che dobbiamo trovare la sintesi e un foriero e profondo dialogo. Nella situazione multiculturale nella quale siamo tutti, si vede che una cultura europea che fosse solo razionalista non avrebbe la dimensione religiosa trascendente, non sarebbe in grado di entrare in dialogo con le grandi culture dell’umanità, che hanno tutte questa dimensione religiosa trascendente, che è una dimensione dell’essere umano. [...] Quindi penso che proprio il compito e la missione dell’Europa in questa situazione è trovare questo dialogo, integrare fede e razionalità moderna in un’unica visione antropologica, che completa l’essere umano e rende così anche comunicabili le culture umane»[18].

Ciascuno può misurare tutta la distanza tra questa audace prospettiva, nella linea di quella secondarietà dell’Europa su cui ha scritto Rémi Brague[19], e la desolante politica del giorno per giorno che sta conducendo il Continente, più per ignavia che per cattiva volontà, verso sentieri interrotti. Ritrovare allora il gusto e la capacità di fare sintesi, aprirsi nuovamente alla dimensione del religioso ma senza cedere alla tentazione di una sua ideologizzazione, è certo camminare su un crinale, ma è anche il compito urgente dell’Europa. L’alternativa è impostare i rapporti unicamente sul piano economico. Ma negli ultimi anni le soddisfazioni che l’economia sta dando, a noi europei, non sono certo esaltanti.

 


[1] Charles Taylor, A Secular Age, Harvard University Press, Cambridge (MA) – London 2007, 25.

[2] È l’intuizione fondamentale di Augusto del Noce nel Problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1964: «Ora, invece, [l’ateismo] si presenta sotto forma di tesi che ha la sua prova nella storia, e come salvezza della scienza e della morale; e pone quindi, come questione prima, non più il problema della realtà del mondo esterno, ma il problema della storia della filosofia. La storia della filosofia come problema sembra quindi essere, a mio giudizio, la formulazione presente del dubbio metodico» (13-14).

[3] Cfr. Francesco Botturi, Secolarizzazione e laicità, in Pierpaolo Donati (dir.), Laicità: la ricerca dell'universale nelle differenze, Il Mulino, Bologna, 2008, 295-337.

[4] La necessità di impostare la questione a livello mondiale è ampiamente presente nello stimolante volume curato da Craig Calhoun, Mark Juergensmeyer e Jonathan Vanantwerpen, Rethinking Secularism, Oxford University Press, Oxford and New York 2011.

[5] Cfr. Mauro Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano 2009.

[6] Naghib Mahfuz, Il rione dei ragazzi, Tullio Pironti Editore, Napoli 2001, 416.

[7] «Senza mettere in gioco le dimensioni immateriali e simboliche che sono tutt’uno con la dimensione materiale dell’economia possiamo solo ripercorrere inconsapevolmente, in modi nuovi, strade vecchie; non sorprende che le crisi finanziarie continuino a ripetersi – sempre un po’ diverse, ma sostanzialmente uguali» (Simona Beretta, Economia e verità: avere di più per essere di più, «Oasis» 17 [2013], 8).

[8] «Nessuno dei cosiddetti diritti dell’uomo oltrepassa dunque l’uomo egoista, l’uomo in quanto è membro della società civile, cioè l’individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità» (Karl Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma 1978, 67-71). Non è ovviamente accettabile la soluzione propugnata da Marx, cioè il trascendimento dell’individuo nella classe.

[9] Papa Francesco, Veglia di Pentecoste con i movimenti, le nuove comunità, le associazioni e le aggregazioni laicali, Piazza San Pietro 18 maggio 2013.  

[10] Ibid.

[11] Giovanni Climaco, La scala del Paradiso, Paoline Editoriale Libri, Milano 2007.

[12] Benedetto XVI, Porta fidei. Lettera apostolica in forma di motu proprio con la quale si indice l’anno della fede, 11 ottobre 2011, n. 2.

[13] Il passo si trova in Cor. 6,76. Per quanto riguarda il racconto del midrash cfr. Riccardo Pacifici (a cura di), Midrashim. Fatti e personaggi biblici, Marietti, Casale Monferrato 1986, 24. Ben lungi da un facile concordismo, sono ben consapevole della diversa funzione teologica che Abramo svolge nell’Antico Testamento e nel Corano. Ciò non mi sembra tuttavia incidere sulla forza simbolica di questo apologo.

[14] Sul tema, centrale nel Novecento cattolico, da Peterson a Maritain, al giovane Ratzinger studioso di Agostino, cfr. Massimo Borghesi, Critica della teologia politica, Marietti 1820, Genova-Milano 2013.

[15] Cfr. Olivier Roy, Global Muslim. Le radici occidentali del nuovo Islam, Feltrinelli, Milano 2003. Non va dimenticato che tutta la prima fase dell’epoca moderna in Europa, in cui con il senno di poi si possono agevolmente cogliere i primi semi del processo di secolarizzazione, fu apparentemente l’età del trionfo di Dio, tra Riforma e guerre di religione.

[16] Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, 170. Calvino per la verità parla di “inferno”, espressione eccessivamente dura ed estranea alla visione cristiana del mondo e della storia.

[17] Charles Taylor, A Secular Age, 176.

[18] Benedetto XVI, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Portogallo, 11 maggio 2010.

[19] Rémi Brague, Europe. La voie romaine, Gallimard, Paris 1992.

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