La verità donata da Dio si manifesta capace di attraversare il tempo e lo spazio rimanendo sempre contemporanea all’uomo di ogni tempo, offrendosi alla sua libertà attraverso una modalità storica precisa e sperimentabile

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:57

L’apostolo Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi, per introdurre il racconto dell’ultima cena, afferma: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11,23). Con queste espressioni il santo di Tarso descrive sinteticamente una dinamica decisiva dell’esperienza cristiana. Egli comunica fedelmente qualche cosa non come frutto di una propria speculazione ma in quanto a sua volta l’ha ricevuta. Egli qui compie un atto di tradizione (traditio) il cui metodo fondamentale appare la testimonianza. Può trasmettere perché, a sua volta, ha ricevuto; è testimone perché ha accolto una testimonianza. Nella traditio l’evento si comunica da testimone a testimone. Colpisce che san Paolo usi gli stessi verbi (paradídomai “trasmettere” e paralambáno “ricevere”) per parlare dell’istituzione dell’Eucaristia (1Cor 11,23) e per annunciare la Risurrezione di Cristo come contenuto essenziale della predicazione (cfr. 1Cor 15). In entrambi i casi egli dice: «Quello che ho ricevuto (paralambáno) io vi trasmetto (paradídomai)».

Bastano queste semplici riflessioni per capire come il tema della testimonianza e della tradizione si appartengano vicendevolmente. Se la testimonianza appare sinteticamente come la modalità storica con cui la verità di Dio si offre in modo incondizionato all’uomo, rispettando e coinvolgendo la sua libertà, la tradizione appare come la dinamica con cui la verità donata di Dio si manifesta capace di attraversare il tempo e lo spazio, rimanendo così sempre contemporanea all’uomo di ogni tempo. In tal modo, quanto viene indicato dalla parola Traditio intercetta la grande obiezione illuminista alla rivelazione cristiana, tuttora attuale, di trasmettere una verità storicamente condizionata e per questo inesorabilmente “passata”.[1]

In realtà la coscienza cristiana è sempre stata consapevole, seppur in modo a volte implicito, dell’insuperabile condizionamento storico e tuttavia è stata anche consapevole della capacità della verità di Dio di automediarsi nella storia mediante la Tradizione. È probabile che la difficoltà che a volte i cristiani rivelano nell’affrontare l’obiezione moderna alla fede dipenda almeno in parte dall’aver smarrito o quantomeno ridotto il senso della tradizione. Del resto non è un caso che nel nostro tempo questa stessa parola possa essere interpretata in modi molto differenti. Come altri termini etimologicamente positivi, la parola tradizione ha acquisito negli ultimi secoli in modo crescente un accento piuttosto negativo, a tal punto da essere confusa con il tradizionalismo, negativamente intesa come una sorta di zavorra che il passato mette sulle nostre spalle e che sarebbe bene lasciar cadere al più presto; oppure, positivamente intesa, come un attaccamento nostalgico a un passato che non vuole interloquire con il presente e il futuro. In realtà la vera traditio ha più a che fare con il presente e la contemporaneità che con il passato; o, se vogliamo, ha a che fare con il passato in quanto riguarda inesorabilmente il presente nel quale viviamo. Von Balthasar ebbe a dire: «la tradizione è anzitutto qualcosa di vivente, che spinge in avanti, un continuo immergersi nella Parola vivente in preghiera e contemplazione».[2]

Si deve dare ragione anche a Blondel che definiva l’autentica tradizione come luogo di pratica e di esperienza:

forza conservatrice e preservatrice, [la tradizione] è al tempo stesso educatrice e iniziatrice. Rivolta amorevolmente verso il passato dov’è il suo tesoro, essa va verso il futuro dov’è la sua conquista e la sua luce. […] Per lei insomma lavora chiunque viva e pensi cristianamente, tanto il santo, che perpetua Gesù in mezzo a noi, che l’erudito che risale alle pure sorgenti della Rivelazione, o il filosofo che si sforza di aprire le strade dell’avvenire e di preparare la continua creazione dello Spirito di novità. E questo lavoro sparso delle membra contribuisce alla salute del corpo, sotto la direzione del capo che solo, nell’unità di una coscienza divinamente sorretta, ne organizza e ne stimola il progresso.[3]

Se quanto affermato da Blondel si riferisce immediatamente alla Tradizione cristiana, tuttavia è la stessa esperienza elementare che accomuna tutti gli uomini a riferirsi inevitabilmente alla dinamica della tradizione. Basterebbe pensare alla sua riabilitazione a opera di pensatori come Gadamer, dall’interno del percorso ermeneutico: poter comprendere un testo e capire se stessi richiede il riconoscimento della tradizione come dato originario cui tutti apparteniamo.[4] La millantata neutralità illuministica è astrattezza e incapacità a cogliere l’uomo reale che vive in un flusso di storia che lo precede e lo raggiunge e al quale appartiene: senza riconoscere questa Vor-Verständnis, questa pre-comprensione, non c’è nessuna interpretazione della realtà e della storia.

Ancora più radicalmente, l’esperienza elementare ci fa capire la realtà della tradizione nella sua capacità vitale di connettere nel tempo le generazioni che si susseguono. La persona umana che dovesse misconoscere le proprie radici, infatti, sarebbe condannata allo spaesamento. L’uomo non giungerebbe alla coscienza di sé e sarebbe smarrito se non gli fosse data, con l’esistenza biologica, anche una ipotesi di lavoro positiva nei confronti della realtà, che i genitori trasmettono ai figli. In una tale prospettiva, la tradizione non è fardello di cui liberarsi al più presto, ma l’ipotesi positiva di cui la libertà della persona ha bisogno per l’affronto del reale.[5] In questo senso la tradizione rappresenta un ingrediente costitutivo dell’esperienza antropologica, del proprio esserci come figli, indicando così il senso della propria “genealogia”, che identifica il nesso tra le diverse generazioni, oltre la semplice “biologia”.[6]

In questo contesto è opportuno richiamare anche il carattere di memoria che la dinamica della tradizione porta con sé. Essa appare come il motore interno di ogni autentica tradizione che passa vitalmente tra le generazioni. Nella memoria il passato viene condensato e ritrovato nel presente come assetto della persona che cresce nel tempo, riconoscendo ciò che è dato nella realtà e permettendo l’orientamento esistenziale. L’uomo senza memoria, sbarazzatosi della tradizione, non è affatto un uomo più libero, non si trova davanti un terreno sgombro su cui edificare; piuttosto non ha nemmeno gli strumenti per riconoscere cosa sia il terreno che gli sta davanti e il nesso di questo con la propria libertà, che su di esso deve progettare il futuro.

 

La consegna di Cristo

Quanto abbiamo rapsodicamente richiamato, ci serve ora come substrato per cercare di riscoprire il valore esplicitamente teologico della Tradizione. Per enucleare il senso della tradizione cristiana vorrei riferirmi a una sintesi elaborata da Hansjürgen Verweyen riguardo ai suoi differenti significati biblici.[7] Secondo il pensiero del teologo di Friburgo, il senso della tradizione può essere riassunto essenzialmente in alcune categorie in riferimento all’evento di Cristo: “tradizione” può indicare consegna di un uomo alla violenza attraverso un altro uomo; inoltre può significare consegna di un uomo per ogni uomo attraverso Dio; e ancora, tradizione può voler dire consegna di sé come dedizione di quest’uomo a favore di ogni uomo; e, infine, essa significa tradizione diacronica di questo uomo dato per tutti attraverso la tradizione ecclesiale. Tutto ciò si è realizzato nell’esistenza di Cristo. Egli è consegnato alla violenza nella sua passione e morte; ma prima ancora egli è consegnato per amore da Dio stesso all’umanità (Gv 13,17); Gesù stesso si consegna liberamente (Gv 10,11-18); infine, gli Atti degli apostoli e le lettere di san Paolo bene descrivono il senso diacronico della tradizione-consegna.

Da questa sintesi si può ben comprendere come la traditio indichi una realtà dinamica, più ancora un “movimento” che scaturisce dal cuore della santissima Trinità riversandosi sul mondo per ogni uomo, e che possiede in se stesso la capacità di mantenersi contemporaneo. È il Padre che per nostro amore e per la nostra salvezza dà, “consegna”, il suo Figlio nello Spirito Santo, cosicché Gesù “consegnandosi” nella morte di croce compia la missione paterna, realizzando in modo incondizionato la salvezza per tutti.

Con quanto affermato, possiamo ora ritornare a san Paolo. Non è certo un caso che l’Apostolo delle genti descriva il suo comunicare quanto a sua volta ha ricevuto proprio in relazione al racconto dell’Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli. Infatti, nella prospettiva teologica, la traditio come consegna libera di sé avviene originariamente nell’istituzione eucaristica. Qui, Gesù, con atto supremo della libertà e in totale obbedienza al Padre, dona anticipatamente se stesso, consegnandosi nelle mani dei sui discepoli perché ripetano questo gesto come memoriale della sua morte e risurrezione.[8] Come afferma in particolare il vangelo di Giovanni, proprio nel mistero pasquale Gesù appare pienamente come il testimone di quella verità (Gv 18,37), con la quale egli coincide (Gv 14,6).[9] Infatti, nella consegna eucaristica che Gesù fa di sé al Padre, egli corrisponde (Entsprechung) perfettamente alla vita trinitaria e ne diventa insuperabile espressione.[10] L’amore eterno tra le persone divine si esprime nella dedizione del Figlio incarnato fino alla consegna di sé. Infatti, tutto ciò che Gesù è, lo è dal Padre nello Spirito Santo. Nella missione che caratterizza la sua vita, Gesù afferra nel tempo il suo essere da sempre il Figlio, al quale il Padre ha dato tutto, poiché tutto ciò che è del Padre è del Figlio (Gv 17,10). Nella dedizione del Figlio si esprime, dunque, la dedizione della vita divina.

In questo senso si deve dire che nell’evento originario della nostra fede “testimonianza” e “traditio” coincidono nella persona stessa di Gesù: poiché egli consegna se stesso per amore, è il testimone della verità salvifica di Dio per ogni uomo. Allo stesso tempo questa consegna fonda il suo essere presente nel tempo, in ogni istante, grazie al carattere intrinsecamente sacramentale della tradizione stessa. Significativamente Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis ha affermato: «La celebrazione dell'Eucaristia implica, infatti, la Tradizione viva» (n°37). Nel memoriale eucaristico ogni credente è posto di fronte alla consegna viva e attuale che Cristo fa di sé ed è chiamato a rispondevi pienamente in termini personali.

 

Presenza permanente

Da quanto descritto consegue un mistero decisivo per comprendere la dinamica della vita cristiana: la traditio non è pensabile senza il destinatario di questo dono, ossia il mistero della Chiesa, rappresentata nell’Ultima Cena dagli Apostoli e sotto la croce da Maria di Nazareth nella compagnia del discepolo amato dal Signore.[11] La traditio contiene, pertanto, il legame tra Cristo e la Chiesa, tra “il Testimone fedele”, di cui parla il libro dell’Apocalisse, e la testimonianza cristiana, il cui soggetto è la Chiesa. Detto in altre parole, Tradizione (traditio) e ricezione (receptio) sono due momenti che appartengono intimamente alla vita della Chiesa e a ogni autentica esperienza cristiana.

Qui si deve riconoscere innanzitutto il primato della Traditio: non è la ricezione a fondare il dono; è la traditio a implicare la ricezione.[12] Tale elemento è decisivo: da ciò dipende la capacità veritativa della testimonianza cristiana. Quest’ultima, infatti, non è divagazione che si ispira ai valori della vita di Gesù, ma autentica ricezione: ogni atto di testimonianza cristiana è ricezione del dono che Cristo fa di sé nel tempo. Nella circolarità tra traditio e receptio, Cristo si mostra presente qui e ora nella vita della Chiesa. La Tradizione come ha detto Benedetto XVI, «è la presenza permanente della parola e della vita di Gesù nel suo popolo».[13] Non a caso la Chiesa ha sempre riconosciuto la Parola di Dio indivisibilmente nella sua attestazione scritta (le Sacre Scritture) e nella Tradizione viva della Chiesa. Dei Verbum 12 per questo ci ricorda che un’autentica ermeneutica della Scrittura può solo avvenire nella Tradizione ecclesiale e non può essere mai un fatto privato. Da qui si comprende il nesso profondo tra la Parola di Dio, scritta e trasmessa, e il ruolo del magistero della Chiesa. Tutto ciò è profondamente legato al carattere eucaristico della tradizione. Inverando la dimensione antropologica cui si è fatto precedentemente riferimento, la libertà credente può agire autenticamente solo se il dono della verità di Dio viene comunicata incondizionatamente. Di questa realtà si fa carico la dimensione istituzionale del mistero ecclesiale.

Inoltre, si deve riconoscere la necessità di una receptio personale della verità da parte della libertà credente, fino a diventare autentici testimoni di quella verità nelle proprie circostanze di vita quotidiana. Lo Spirito Santo che ha operato in Maria per fare di lei la Madre di Dio, e che opera obiettivamente nel sacramento, non manca di muovere interiormente la libertà dei credenti alla personale receptio, all’accoglienza della verità donata così da esserne, con la propria esistenza, testimoni presso gli uomini del proprio tempo. Carismi antichi e recenti, nascosti o manifesti, abilitano ciascuno ad accogliere la viva Tradizione della Chiesa, rendendoci testimoni della verità donata.

Vorrei concludere questa riflessione richiamando un testo prezioso del Concilio Vaticano II:

Questa Tradizione di origine apostolica – si afferma – progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità (DV 8).

In questo passaggio si mostra bene come quanto ci è stato donato una volta per sempre in Cristo cresce in noi e nella Chiesa per opera dello Spirito Santo. Ogni generazione non si limita ad assumere quanto le viene trasmesso, ma accogliendolo mediante l’assistenza dello Spirito Santo e sotto la guida del Magistero, lo fa “crescere”. In tal modo possiamo comprendere l’importanza di ogni esperienza spirituale nei diversi momenti della storia della Chiesa. Attraverso le esperienze più diverse – penso in particolare ai casi di testimonianza fino alla sofferenza e al martirio, non rari in questo tempo – si scoprono e si approfondiscono i tesori che Cristo ha donato alla sua Chiesa. La testimonianza e in particolare i martiri sono atti di una autentica ricezione della consegna che Cristo ha fatto di sé una volta per tutte e in tal modo ce ne manifestano l’infinita fecondità e profondità. Infatti, come afferma ancora la Dei Verbum, «così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (DV 8).

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

[1] Come è possibile che «verità storiche casuali possano diventare prova di verità di ragione necessarie»? Cfr. Aurelio Rizzacasa, Il tema di Lessing. È possibile provare una verità eterna a partire da un fatto storico?, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996.

[2] Cfr. Hans Urs Von Balthasar, Integralismus heute, «Diakonia» 19 (1988), 226s.

[3] Maurice Blondel, Storia e dogma. Le lacune filosofiche dell’esegesi moderna, Queriniana, Brescia 1992, 108.

[4] Cfr. Hans Georg Gadamer, Verità e metodo, Garzanti, Milano 1987.

[5] Per questo concetto vedi Luigi Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005.

[6] Cfr. Angelo Scola, Genealogia della persona del figlio, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, I figli: famiglia e società nel nuovo millennio. Atti del Congresso Teologico-Pastorale Città del Vaticano 11-13 ottobre 2000, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001, 95-104.

[7] Cfr. Hansjürgen Verweyen, La Parola definitiva di Dio. Compendio di teologia fondamentale, Terza edizione completamente rielaborata, Queriniana, Brescia 2001, 353-384.

[8] Cfr. Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n°10.

[9] Cfr. Ignace de la Potterie, «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), in Id., Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova, 19923, 124-154.

[10] Cfr. Paolo Martinelli, La morte di Cristo come rivelazione dell’amore trinitario nella teologia di Hans Urs von Balthasar, Jaca Book, Milano 1996.

[11] Cfr. Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, nn°14-15, 33.

[12] Cfr. Hervé Legrand, Julio Manzanares, Antonio García y García, Recezione e comunione tra le chiese. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca 8-14 aprile 1996, EDB, Bologna 1998; si rimanda in particolare al saggio di Legrand.

[13] Udienza Generale, 10 Maggio 2006.

 

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Paolo Martinelli, San Paolo e il Metodo della Testimonianza, «Oasis», anno V, n. 9, luglio 2009, pp. 7-13.

 

Riferimento al formato digitale:

Paolo Martinelli, San Paolo e il Metodo della Testimonianza, «Oasis» [online], pubblicato il 1 luglio 2009, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/san-paolo-e-il-metodo-della-testimonianza.

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