I sei episodi del podcast “Il Mediterraneo come destino. I grandi protagonisti del dialogo” sono ora disponibili anche in formato ebook. Qui l’introduzione del libro

Ultimo aggiornamento: 03/08/2023 12:38:39

L’ebook, pubblicato da Marcianum Press, è disponibile sulle principali piattaforme digitali

 

Se si osservano le tendenze di lungo periodo, il Mediterraneo è da tempo démodé: a partire dal Cinquecento, ha dovuto inchinarsi all’ascesa dell’Atlantico; ultimamente assiste allo spostamento del baricentro della politica internazionale in direzione del cosiddetto “indo-pacifico”. Eppure, chi intorno al Mediterraneo ci vive sa bene che la storia non ha disertato il Mare Nostrum. Lo conferma una rapida rassegna dei fatti accaduti negli ultimi anni: nel 2011, le rivoluzioni arabe hanno messo in moto un turbolento processo di riconfigurazione politica e geopolitica della regione; nel 2015, mentre l’Europa cercava ancora di risollevarsi dalla crisi economica, una violenta fiammata jihadista e una consistente ondata di migranti provenienti da Medio Oriente e Nord Africa le hanno ricordato che la politica non è solo una questione di rapporto debito/PIL; nel 2022, la guerra al confine orientale dell’Europa, che a prima vista sembrava suggellare definitivamente il declassamento del Mediterraneo, ha messo gli europei di fronte alla necessità di intensificare rapporti e scambi commerciali con i loro partner nordafricani e mediorientali, ritornati nuovamente centrali e non solo sul piano energetico.

 

Così, il Vecchio Continente si trova ciclicamente a dover immaginare forme istituzionali d’interazione con i suoi dirimpettai asiatici e africani. Avviato a metà degli anni ’90, il “processo di Barcellona” aveva l’obiettivo di delineare una strategia comune per la cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo, ma i suoi risultati sono stati inferiori alle attese. Oggi, le ambizioni dei Paesi europei sono decisamente più limitate e discutibili: appaltare il controllo della propria frontiera meridionale ai governi di Nord Africa e Medio Oriente, in modo da contenere quanto più possibile i flussi migratori. Recentemente l’Italia ha elaborato un “Piano Mattei” che dovrebbe rilanciare le sue relazioni con gli Stati africani, ma al momento non è chiaro quali siano i suoi contenuti.

 

Questi tentativi sono spesso ispirati da due prospettive antitetiche. Una considera il Mediterraneo un ponte naturale tra culture diverse, uno spazio di per sé votato alla convivenza pacifica; l’altra ritiene che a unire le due sponde del Mare Nostrum siano invece interessi commerciali e preoccupazioni condivise in tema di sicurezza. Entrambe sono parziali e inadeguate. La prima perché nella sua sublimazione utopica delle differenze non regge alla prova di una storia che è fatta anche di tensioni e conflitti; la seconda perché rinuncia a priori a trovare nei rapporti tra Paesi rivieraschi un orizzonte di senso diverso dalla mera contingenza materiale.

 

In un bel libro sulla vocazione mediterranea dell’Italia, lo storico Egidio Ivetic ha scritto che c’è una dimensione pratica della relazione con il Mediterraneo con cui ogni giorno il nostro Paese si misura e si deve misurare: lo sfruttamento del mare, le questioni energetiche ed economiche, il turismo e via dicendo. Ma c’è anche una dimensione culturale, senza la quale non si può parlare di un ruolo politico veramente consapevole, e che implica la capacità di interagire con tutte le componenti storiche di quest’area: l’antichità classica, la tradizione cristiana latina, quella cristiana bizantina e quella cristiano-orientale, la tradizione islamica, quella ebraica e quella laica moderna[1]. Si tratta di una considerazione preziosa, utile per superare tanto gli irenismi a buon mercato quanto gli opportunismi di corto respiro. E realistica: le possibili declinazioni di questa visione, infatti, non devono essere inventate, esistono già. Muovendo da questa constatazione, la Fondazione Internazionale Oasis ha ideato un podcast, realizzato da WIP Italia con il sostegno della Fondazione Cariplo, dedicato a sei personalità del Novecento che hanno contribuito ad avvicinare le due sponde del Mediterraneo: Giorgio La Pira, Taha Hussein, Pierre Claverie, Enrico Mattei, Germaine Tillion e Shlomo Dov Goitein. Cinque uomini e una donna; un politico, un letterato, un vescovo, un imprenditore, un’antropologa, uno storico; due italiani, due francesi, un egiziano, un israeliano di origine tedesca; tre cattolici, un musulmano, un ebreo, una non-religiosa.

 

Questo libro raccoglie i copioni delle sei puntate che compongono la serie, così da fissare anche in forma scritta la testimonianza delle figure a cui sono dedicate. Lo stile del testo rimane tuttavia quello dell’espressione orale. Si è intervenuto soltanto nella trascrizione delle interviste che compaiono nei vari capitoli, in modo da evitare ridondanze ed esitazioni tipiche del parlato, e in alcuni passaggi che avrebbero perso di significato se trasposti semplicemente nero su bianco. Più che biografie vere e proprie, si tratta perciò di schizzi, che vogliono suscitare curiosità e interesse e non hanno l’ambizione di presentare esaustivamente i sei personaggi. Due, La Pira e Mattei, sono piuttosto noti in Italia. Gli episodi che gli abbiamo dedicato mettono tuttavia in luce alcuni aspetti che rischiano di essere trascurati, o che rimangono particolarmente istruttivi. Gli altri sono meno conosciuti nel nostro Paese, e speriamo che il podcast e il libro contribuiscano a renderli un po’ più familiari anche al lettore italiano.

 

Questi sei protagonisti del dialogo, come recita il sottotitolo del podcast e di questo libro, non avevano necessariamente la stessa idea del Mediterraneo. Per La Pira, il Mare Nostrum era il “Lago di Tiberiade allargato”, il luogo nel quale ebrei, cristiani e musulmani, la “triplice famiglia di Abramo”, sono chiamati a realizzare il disegno di fratellanza che Dio ha stabilito per l’umanità. Il grande intellettuale egiziano Taha Hussein lo vedeva innanzitutto come la culla di tre grandi culture classiche, quella egizia, quella greca e quella romana, e il crogiolo dei loro scambi. Secondo il vescovo-martire Pierre Claverie, il Mediterraneo era invece un luogo di profonde fratture politiche e religiose, sulle quali i cristiani hanno il compito di essere presenti come su una linea di faglia. Mattei lo concepiva come uno spazio di cooperazione tra nazioni in via di sviluppo. Per l’antropologa Germaine Tillion, il Mediterraneo e il suo entroterra erano in primo luogo il teatro della rivoluzione neolitica, e di conseguenza di un particolare tipo di struttura famigliare, fondata sull’endogamia e sulla segregazione della donna, che la modernità chiedeva di superare; il Mediterraneo che aveva in mente lo storico Shlomo Dov Goitein era soprattutto quello dell’Egitto medievale, nel quale tre pilastri – la fede monoteista, la famiglia, e la città, intesa come luogo di socialità e di commercio – davano concretamente forma a un modo di vita comune che trascendeva i confini delle diverse comunità religiose.

 

Ognuna di queste prospettive illumina una dimensione particolare del mondo mediterraneo, facendo sempre emergere la realtà di un destino condiviso. In alcuni casi sono stati i percorsi personali e particolari delle sei figure che abbiamo scelto di raccontare a intrecciarsi per formare un disegno più ampio. La Pira e Mattei, compagni di partito e amici nella vita, sono due figure complementari, e si può dire che il secondo abbia contribuito a realizzare materialmente gli ideali del primo. Taha Hussein è stato uno degli ospiti dei Colloqui Mediterranei organizzati a Firenze dal “sindaco santo” e ha a sua volta ospitato La Pira nella sua casa del Cairo, che la moglie Suzanne aveva trasformato in una sorta di salotto letterario in cui si davano appuntamento artisti e intellettuali di tutto il mondo. Il pied-noir Pierre Claverie cambiò la sua visione dell’Algeria, impregnata di colonialismo, anche leggendo un famoso testo di Germaine Tillion[2], mentre quest’ultima deve un po’ di quello che è stata e che ha fatto a Louis Massignon, un altro grande interprete del dialogo tra cristiani e musulmani. Goitein non fa direttamente parte di questa trama di rapporti, ma la sua opera rimane una testimonianza imprescindibile di quello che non può mancare a una coscienza mediterranea.

 

Le loro vite si collocano in un contesto ben preciso, quello della decolonizzazione, nel quale l’Europa ha dovuto ridefinire su basi nuove, dal punto di vista politico, culturale e finanche ecclesiale, le sue relazioni con i Paesi dell’Africa e dell’Asia. Una questione tutt’altro che risolta se si pensa alle esternazioni dell’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza sul “giardino” europeo assediato dalla “giungla” che lo circonda. Anche su questo i nostri sei hanno ancora molto da dirci. E la considerazione vale anche in direzione inversa. Taha Hussein, per esempio, ha saputo pensare e vivere i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo nei termini di uno scambio fecondo in un tempo in cui alcuni suoi connazionali rifiutavano la modernità europea in nome dell’autosufficienza dell’islam.

 

Nell’ideazione del podcast, abbiamo letteralmente avuto l’imbarazzo della scelta. Stabilito che le puntate sarebbero state sei, la selezione ha comportato spiacevoli estromissioni. Solo per fare qualche nome, i libanesi Samir Kassir e Youakim Moubarac, i francesi Fernand Braudel e Jacques Berque e il croato Predrag Matvejević avrebbero ben meritato di far parte della serie.

 

Ma a queste esclusioni si potrà sempre rimediare, con una nuova serie o in un’altra forma. Tutto sommato, ricordare i giganti che ci hanno preceduto è cosa relativamente facile. Il vero tema è capire chi siano oggi i loro eredi.

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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[1] Egidio Ivetic, Il Mediterraneo e l’Italia. Dal mare nostrum alla centralità comprimaria¸ Rubbettino, Soveria Mannelli 2022.
[2] Germaine Tillion, L’Algérie en 1957, Les Éditions de Minuit, Paris 1957.

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