Paesi e culture /2. Pakistan. Nell’alternarsi di regimi democratici e dittature la libertà religiosa ha sempre avuto vita difficile, in particolare dagli anni Ottanta.
 

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:48:27

Il problema della libertà religiosa in Pakistan non può essere separato dalle vicende politiche che ne hanno caratterizzato i primi sessant’anni di vita. Nato come nazione moderna nell’agosto del 1947, con lo status di Dominion del Commonwealth britannico, esso dovette subito affrontare alcune emergenze politiche. Innanzitutto il conflitto interno generato dalle spinte secessioniste della parte orientale del Paese, il Bengala, sfociato nel 1971 nell’indipendenza della regione sotto il nome di Bangladesh e poi la questione ancora irrisolta del Kashmir, conteso tra India e Pakistan. Ma soprattutto il Paese è stato caratterizzato da una forte instabilità, segnata dall’alternanza tra regimi nati da elezioni democratiche e regimi militari insediatisi in seguito a colpi di Stato. Già due anni dopo la dissoluzione del Dominion e la creazione della repubblica islamica del Pakistan (1956), i militari assunsero il potere. Ceduto nel 1971 a un governo civile presieduto da Zulfikar Ali Bhutto, nel 1977 un nuovo colpo di stato portò al governo il generale Zia-ul-Haqq (1977-1988), che attuò una serie di misure sistematicamente volte alla re-islamizzazione dello stato e della società e allo sradicamento della pratiche non-islamiche dal Paese. Nel 1988, in seguito alla morte in un incidente aereo del generale, nuove elezioni riconsegnarono il Paese a governi civili, alternativamente presieduti da Benazir Bhutto e Nawaz Sharif. Ma i militari ripresero le redini dello stato nel 1999 con Pervez Musharaf, il cui regime è terminato nell’agosto del 2008 dopo che nel febbraio si erano nuovamente tenute le elezioni generali. Nonostante questi numerosi avvicendamenti al governo del Paese, l’identità politica e sociale del Pakistan è rimasta segnata dal regime di Zia-ul-Haqq, le cui politiche di islamizzazione hanno lasciato una traccia profonda nelle leggi e nella Costituzione ancora vigenti.

Secondo quest’ultima l’Islam è religione di stato, anche se alle minoranze religiose è formalmente riconosciuta la piena libertà di culto. In un Paese abitato da 168 milioni di persone, il 96% delle quali, secondo l’ultimo censimento del 1998, di religione islamica, le principali minoranze sono costituite da hindu, cristiani e ahmadi, che contano ognuna un numero di aderenti pari a una cifra compresa tra l’1 e 2% della popolazione totale del paese, mentre parsi, sikh e buddisti contano ognuno circa 20 mila aderenti.

Nonostante le garanzie formali, in realtà vi sono forti limitazioni alla libertà religiosa. La libertà di espressione è costituzionalmente soggetta «alle ragionevoli limitazioni imposte dalla legge nell’interesse della gloria dell’Islam» e molti diritti connessi alla libertà religiosa vengono sistematicamente violati. Le principali vittime di tali violazioni sono gli aderenti alla Ahmadiyya, movimento nato nel Punjab nel 1889 e di estrazione sunnita ma dichiarato non islamico nel 1974 dalle cosiddette leggi anti-Ahmadi, che vietano ai fedeli ahmadi di dichiararsi musulmani, di propagandare la loro fede o di offendere il sentimento religioso dei musulmani. Ma anche le altre minoranze, benché formalmente libere di esercitare il culto, sono sottoposte a una forte discriminazione e a una violenza sociale endemica e vengono spesso perseguitate o intimidite sulla base di una legge anti-blasfemia, così come succede d’altronde anche per i musulmani riformisti. Solo tra il 2006 e il 2007 si sono contati a decine i casi in cui i membri di minoranze religiose o musulmani riformisti sono stati vittime di persecuzioni, arresti, torture, linciaggi e false accuse, spesso proprio in seguito all’accusa di blasfemia. Sono numerosi poi i casi di discriminazione, anche violentemente perpetrata. Nel novembre del 2005, per esempio, il Vescovo cattolico di Islamabad-Rawalpindi aveva denunciato gli espropri che avevano colpito duecento cristiani del Sindh, le cui case erano state consegnate ad altrettante vittime musulmane del terremoto occorso dell’ottobre dello stesso anno.

A volte i ricorrenti fenomeni di discriminazione, sebbene attuati su base religiosa, hanno una dimensione sociale, soprattutto nei casi dei cristiani. Molti di questi discendono infatti da famiglie appartenenti a caste basse convertite al Cristianesimo e vengono quindi discriminati anche a causa della loro origine.

 

Nelle Periferie di Karachi

Anche nel campo educativo e dell’istruzione esistono restrizioni di fatto alla libertà religiosa. Gli studi islamici sono obbligatori per tutti gli studenti musulmani nelle scuole pubbliche. Benché gli studenti di altre religioni non siano legalmente tenuti allo studio dell’Islam, essi non hanno lo stesso diritto di essere istruiti nella loro religione. In alcune scuole essi possono soltanto studiare Akhlaqiyyat, cioè etica. La discriminazione prosegue poi nell’accesso alle istituzioni educative. La costituzione proibisce l’ammissione basata su criteri di discriminazione religiosa. Tuttavia gli studenti devono dichiarare la loro religione sui moduli di candidatura. Inoltre i musulmani devono dichiarare per iscritto che credono in Maometto come ultimo profeta, misura che esclude e isola gli Ahmadi i quali riconoscono nel loro fondatore Mirza Ghulam Ahmad il Messia inviato prima del giudizio finale.

Il diritto alla pubblicazione di testi e libri non è generalmente limitato dal governo, ma è vietata la vendita di letteratura ahmadi, così come è proibita è la pubblicazione di testi critici verso l’Islam o il suo profeta o offensivi per la religione altrui.

In realtà il governo continua a invocare il dialogo interreligioso, l’armonia tra tutte le comunità del Paese e la moderazione e a organizzare incontri e seminari per promuovere lo scambio tra i diversi aderenti delle religioni presenti nel Paese. Esso non proibisce né restringe il diritto delle famiglie a educare i figli in accordo con principi religiosi. E anche le numerose scuole private presenti nel Paese hanno il diritto di scegliere se impartire o no un insegnamento religioso. I missionari (tranne quelli ahmadi) possono inoltre operare nel Paese e fare proselitismo, purché i destinatari di questa propaganda non siano i musulmani e purché essi non predichino contro l’Islam.

Le tensioni più forti nascono però all’interno della società. Uno dei principali focolai di violenza sono le madrasse islamiche, che da alcuni anni continuano a diffondere un Islam estremista e terrorista. Queste operano soprattutto nelle zone rurali, dove rappresentano l’unica forma possibile di istruzione. Nel tentativo di porre fine alla diffusione dell’estremismo, il governo aveva emanato nel 2002 un’ordinanza per la loro registrazione, così da impedire loro di ricevere finanziamenti dall’estero e di accettare studenti stranieri. L’operazione, che secondo il governo ha avuto il risultato di far registrare 11 mila delle 13-15 mila madrasse esistenti, sottoponendole così al controllo e al finanziamento statale, non è riuscita tuttavia a estirpare il fenomeno dell’intolleranza religiosa. Le madrasse più estremiste, spesso controllate da quella di Deoband, rimangono infatti attive nelle aree tribali e nel Belucistan settentrionale. Allo stesso modo la Dawa School, emanazione della Jamat-ud-Dawa, continua un’attività di formazione e reclutamento per Lashkar-e-Tayyiba, una nota organizzazione terrorista straniera. Un rapporto del marzo 2007 indicava che madrasse estremiste e fuori controllo continuavano a prosperare nelle periferie di Karachi, abitate da una consistente popolazione di giovani disoccupati.

 

Leggi Discriminatorie

Il clima di tensione creato da queste istituzioni genera una situazione di violenza permanente e di discriminazione sociale. Numerosi sono i casi di conversioni forzate, di fronte alle quali le minoranze religiose accusano il governo di non fare abbastanza. I rappresentanti delle comunità hindu del Sindh, per esempio, denunciano la conversione forzata di 15-20 famiglie hindu all’anno, mentre le associazioni per la difesa dei diritti umani sottolineano il fenomeno crescente di ragazze hindu che, specialmente a Karachi e in altre zone del Sindh, vengono rapite, costrette a convertirsi e a sposare i loro rapitori. Nel febbraio 2007 un musulmano ha rapito due fratelli cristiani che avevano rifiutato la conversione all’Islam torturandoli per un mese. Nel maggio dello stesso anno un’anziana di 86 anni fu costretta alla conversione all’Islam dalle autorità religiose locali dopo che il marito era stato arrestato in seguito all’accusa di blasfemia.

In realtà non mancano sviluppi positivi nel rispetto della libertà religiosa. Oltre ai già citati tentativi di porre sotto controllo le madrasse per impedire un’istruzione di tipo estremista e agli incontri organizzati per il dialogo interreligioso possono essere ricordati alcuni fatti concreti. Nel gennaio del 2007 per esempio due studenti musulmani dell’Università di Peshawar si rivolsero a un tribunale per bloccare la costruzione di una chiesa cristiana sul terreno dell’Università. Il 23 gennaio l’Alta Corte di Peshawar respinse la loro petizione autorizzando la costruzione della chiesa e dichiarando nella loro sentenza che «l’Islam garantisce la libertà religiosa alle minoranze; non vi sono quindi impedimenti legali alla costruzione di luoghi di culto, così come stabilito dalla Costituzione».

Ma nel Paese resta alto il livello di violenza e di tensione intercomunitaria, non solo nei confronti delle minoranze religiose, ma anche tra i diversi gruppi musulmani. Il problema è che la presenza di leggi discriminatorie e la diffusione di un Islam intollerante insegnato in molte scuole, diffuso tramite la stampa e predicato nelle moschee, creano un terreno favorevole alla violenza. In queste circostanze di solito la polizia si rifiuta di intervenire, lasciando che le tensioni esplodano in episodi di persecuzione religiosa. È così che si sono verificati linciaggi di persone accusate di blasfemia, o che sono stati attaccati e incendiati templi hindu, chiese cristiane e moschee sciite o ahmadi. E questa situazione sembra per il momento destinata a rimanere tale, soprattutto nelle regioni situate al confine con l’Afghanistan dove l’influenza dei Talebani è più forte.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Francis Mehboob Sada, Sulla terra delle Madrasse il segno del Generale Zia, «Oasis», anno IV, n. 8, dicembre 2008, pp. 57-59.

 

Riferimento al formato digitale:

Francis Mehboob Sada, Sulla terra delle Madrasse il segno del Generale Zia, «Oasis» [online], pubblicato il 4 dicembre 2008, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/sulla-terra-delle-madrasse-il-segno-del-generale-zia.

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