Con le mosse di Ghannouchi e della sua oppositrice ‘Abir Moussi, la grande partita intra-sunnita che si gioca in Libia entra nella scena politica tunisina riaccendendo vecchi conflitti ideologici

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:54

Tra le primavere arabe del 2011, quella tunisina viene considerata l’unica storia a lieto fine e l’esempio di come il consenso tra forze islamiste e laiche sia possibile e possa contribuire positivamente a gettare le basi di una democrazia. Mentre altri Paesi sono ricaduti nella dittatura o precipitati nella guerra civile, la Tunisia ha scelto il dialogo e la cooperazione tra i diversi attori politici, riuscendo ad approvare pressoché all’unanimità una nuova Costituzione, considerata da molti un modello. Ciononostante, la democrazia tunisina risulta ancora estremamente fragile, e la frattura tra islamisti e laici che aveva caratterizzato la storia della Tunisia indipendente si sta nuovamente inasprendo a causa delle pressioni politiche provenienti dagli attori coinvolti in Libia.

 

 

Tensioni interne e pressioni esterne: la nuova crisi della politica tunisina

 

La Rivoluzione dei Gelsomini ha permesso agli islamisti di al-Nahda di accedere per la prima volta, dopo decenni di esclusione politica, alle istituzioni del Paese. Se il successo di un partito d’ispirazione islamica ha messo in luce un pluralismo ideologico oscurato per decenni dal regime, ha anche contribuito ad innescare un acceso dibattito sulla natura dell’identità tunisina, che il fondatore della Repubblica, Habib Bourguiba, aveva associato, anche se in modo equivoco, alla laïcité francese. Sul piano politico, il conflitto tra al-Nahda e i partiti laici, che dopo la Rivoluzione temevano l’instaurazione di uno Stato islamico, ha portato tra il 2011 e il 2013 a un susseguirsi di crisi politiche, rischiando di compromettere la transizione democratica del Paese. Nel 2014, la decisione di laici e islamisti, e in particolare dei leader dei due campi, l’ex presidente Beji Caid Essebsi e Rachid al-Ghannouchi, di superare il proprio antagonismo dando vita a un governo di coalizione deve essere letta alla luce della volontà comune di evitare alla Tunisia la drammatica sorte toccata ad altri Paesi arabi. Lo stesso al-Nahda ha intrapreso un processo di riforma interna che nel 2016 lo ha portato ad abbandonare l’etichetta di partito islamista per presentarsi come partito democratico musulmano. Tuttavia, il consenso cui si è votata la politica tunisina ha sospeso, piuttosto che risolvere, il conflitto tra islamisti e laici, che si è riacceso negli ultimi mesi a causa di fattori interni ed esterni.

 

Sul piano interno, la nomina a presidente del Parlamento del leader di al-Nahda, Rachid Ghannouchi, che anche dopo la rivoluzione non aveva assunto incarichi istituzionali, ha suscitato apprensione tra le fila dei suoi avversari, che vi vedono un politico di parte e non una figura di garanzia. Sul fronte esterno, gli attori internazionali impegnati nel conflitto libico contribuiscono ad esacerbare le tensioni, tessendo relazioni con le varie forze politiche tunisine nel tentativo di spostare il Paese all’interno della propria sfera d’influenza.

 

 

Moussi contro Ghannouchi

 

A suscitare timore tra gli oppositori di Ghannouchi sono state le frequenti interferenze in politica estera del nuovo presidente del parlamento, che viene accusato di sfruttare il suo ruolo istituzionale per perseguire gli interessi del suo partito. Particolarmente controverse sono state la visita del gennaio scorso al presidente turco Erdogan, per il quale Ghannouchi ha sempre espresso la propria ammirazione, e la telefonata fatta nel mese di maggio a Fayez Sarraj per congratularsi dei successi militari di quest’ultimo contro le forze del generale Haftar. I legami che il leader di al-Nahda sta tessendo con questi attori stranieri sollevano infatti problemi di ordine istituzionale e politico. Da una parte, l’attivismo in politica estera di Ghannouchi calpesta le prerogative del presidente della Repubblica, Kais Saied, il quale ha apertamente criticato le manovre del leader di al-Nahda. Dall’altra, ad agitare particolarmente le frange laiche è il sospetto che le relazioni di Ghannouchi con Sarraj possano sbilanciare la posizione della Tunisia sulla questione libica verso una linea non sostenuta dal parlamento.

 

A scagliarsi contro al-Nahda e il suo leader è stata soprattutto la deputata ‘Abir Moussi. Benché leader di una formazione, il Partito Destouriano Libero (PDL), che finora non è stata particolarmente incisiva nello scenario politico tunisino, Moussi è riuscita a imporre il tema nel dibattito parlamentare, pronunciando feroci invettive contro gli islamisti e il loro capofila. Sfruttando il presunto coinvolgimento di Ghannouchi nella questione libica, ‘Abir Moussi ha infatti accusato il leader di al-Nahda di aver collaborato sin dalla caduta di Ben Ali con diversi gruppi estremisti nel Paese e con i jihadisti libici. Il partito di ‘Abir Moussi ha quindi invitato le altre forze politiche a revocare la fiducia al presidente del Parlamento. Le tensioni sono ulteriormente aumentate quando ‘Abir Moussi ha dichiarato di aver ricevuto informazioni circa una visita di alcuni membri di al-Nahda a terroristi salafiti nelle carceri di Mournahuja e Borj el-Amri, arrivando ad accusare alcuni deputati islamisti di aver preso parte a un piano per assassinarla. Nel tentativo dunque di mettere alle strette al-Nahda, la leader del PDL ha incoraggiato qualsiasi partito si consideri lontano dalla dottrina dei Fratelli Musulmani – compreso al-Nahda, il quale ha più volte affermato la propria indipendenza rispetto all’organizzazione egiziana – a firmare una mozione che definisca la Fratellanza come organizzazione terroristica e sanzioni chiunque abbia con essa un legame diretto o indiretto.

 

 

Una “falsa novità”

 

Le invettive di ‘Abir Moussi contro il presidente del parlamento hanno rinfocolato il dibattito tra islamisti e laici, rimasto congelato negli ultimi anni nel tentativo di non compromettere la transizione democratica. A una prima analisi si potrebbe affermare che, dopo anni di immobilismo politico e consenso “forzato”, la leader del PDL costituisca ora la guida di un’opposizione reale, che costringe il principale partito di governo a confrontarsi con gli errori presenti e passati. Tuttavia, sia per la retorica cui Moussi ricorre che per la tradizione politica che rappresenta, la novità promossa dalla parlamentare laica è solo apparente.

 

‘Abir Moussi è infatti cresciuta politicamente all’interno del Raggruppamento Costituzionale Democratico, il partito di Ben Ali, e raccoglie nella sua formazione politica diversi esponenti ed ex-funzionari del vecchio sistema di potere. Sostenitrice dell’ancien régime e convinta anti-rivoluzionaria, Moussi ricorda con la sua battaglia contro l’Islam politico, all’interno del quale non vede distinzioni tra estremismi e correnti moderate, una posizione tipica delle dittature precedenti. A ciò si aggiunga che, oltre ai toni demagogici con cui Moussi attacca i propri oppositori, il suo progetto politico risulta inconsistente, risolvendosi in una variante “bourguibiana” della destra conservatrice, come dimostra il manifesto disinteresse della deputata verso temi come l’uguaglianza di genere. ‘Abir Moussi sembra dunque incapace di elaborare una proposta che non sia l’opposizione ad al-Nahda, e difficilmente può presentarsi come interprete di un reale cambiamento politico.

 

La retorica populista e anti-islamista di Moussi ha scatenato la reazione dei membri di al-Nahda, che hanno accusato la leader dell’opposizione di ostacolare i lavori istituzionali e di pregiudicare gli interessi dei cittadini. La presentazione, inoltre, da parte del deputato di al-Nahda Bishr al-Shabi di una denuncia penale contro Moussi, accusata di aver ricevuto  finanziamenti illeciti dagli Emirati Arabi Uniti segnala ulteriormente come lo scontro attuale debba essere compreso anche alla luce delle dinamiche internazionali.

 

La diatriba tra Ghannouchi e Moussi si inserisce infatti un gioco di potere più ampio, che vede i grandi attori regionali contendersi la Tunisia, un Paese strategicamente rilevante anche per le sorti della Libia. Da un lato l’asse Abu-Dhabi-Ryadh-Il Cairo, che sostiene il generale Haftar, punta a contrastare anche nel Paese dei gelsomini il peso dell’Islam politico. Dall’altro, la Turchia di Erdogan, vicina a Sarraj, sostiene invece al-Nahda, che considera un vettore della propria influenza regionale e con il quale è legato da una forte affinità ideologica. A gennaio il presidente turco aveva anche richiesto il permesso di dispiegare le sue truppe al confine tunisino al fine di facilitare l’intervento in Libia, ricevendo tuttavia il rifiuto del presidente Kais Saied, che anche durante la sua recente visita in Francia ha insistito sulla neutralità del proprio Paese nel conflitto libico.

 

 

Politica immobile, società in cambiamento

 

La Tunisia post-rivoluzionaria è riuscita a sopravvivere alle diverse sfide che hanno messo a dura prova la sua neonata democrazia, tra cui un tasso di disoccupazione in costante crescita e il grave danno economico causato dagli attentati del 2015, cui si aggiungono le nuove criticità legate alla pandemia. Ciononostante, le dinamiche attuali mettono in luce che la transizione democratica tunisina non è ancora conclusa. La scena politica è stata monopolizzata prima dalla questione dell’identità del Paese, con lo scontro tra islamisti e laici, a scapito delle richieste provenienti dalla società, per poi arenarsi nelle sabbie mobili di un consenso a tutti i costi che ha condannato la Tunisia all’immobilismo. Gli scontri recenti all’interno delle aule del parlamento evidenziano che le fratture ideologiche non sono ancora sanate, e l’entrata in gioco di potenze regionali che fanno leva su queste spaccature rischia di esacerbare ulteriormente le tensioni all’interno del panorama politico.

 

L’elezione come Presidente della Repubblica di Kais Saied, un outsider politico che non si identifica con nessuna delle due grandi culture politiche del Paese, è la risposta di un elettorato stanco di governi impegnati più a consolidare un consenso fragile che a varare riforme sostanziali e desideroso di superare i vecchi conflitti ideologici. Il Paese, ora come nel 2011, necessita di una classe dirigente capace di guidare il cambiamento che i cittadini continuano a chiedere. Da questa prospettiva, mettere la Tunisia al riparo dalle contese regionali significa preservare l’unica rivoluzione araba che, seppur con difficoltà, è riuscita a innescare una reale transizione democratica.

 

 

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