Il movimento terrorista nigeriano affonda le sue radici negli anni ’70, quando divampa la predicazione islamista contraria a ogni tipo d’influenza occidentale

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:22

Gran parte dei discorsi su Boko Haram si sono concentrati sulla sua ascesa negli ultimi tre anni. Tuttavia credo sia importante chiedersi quali siano le ragioni di tale ascesa, che rapporti abbia con quella di altri gruppi e movimenti, quali siano le sue fonti d’ispirazione, perché la sua azione si sia dispiegata soprattutto in alcuni Stati della Nigeria (in particolare Borno e Yobe), e perché i principali obiettivi siano lo Stato e le forze di sicurezza, i cristiani e l’educazione occidentale.

Per rispondere a queste domande occorre collocare Boko Haram nel solco del movimento di Muhammad Marwa, noto come Maitatsine, il quale iniziò negli anni ’70 un’intensa attività di predicazione islamica nella Nigeria del Nord, dalle quale scaturirono una serie di rivolte contro lo Stato. Anche dopo che nel 1980 Maitatsine fu ucciso in uno scontro armato con l’esercito e il suo gruppo disperso, alcuni membri si stabilirono in diverse zone del Nord, le stesse che rappresentano oggi gli epicentri delle operazioni di Boko Haram.

Intanto la globalizzazione, i contatti internazionali di molti nigeriani (soprattutto in occasione del pellegrinaggio alla Mecca) e la crescita dei finanziamenti esteri destinati alla predicazione stavano trasformando la Nigeria del Nord in un calderone di varie tendenze islamiche che avevano una forte presa sulle menti dei musulmani poveri e analfabeti. In questo contesto emerse la figura di Mallam Mohammed Yusuf, che alla fine degli anni ’90 fondò un movimento noto come Jamâ‘at Ahl al-Sunna li-l-da‘wa wa-l-jihâd (Associazione dei sunniti per la predicazione e il jihad), oggi noto come Boko Haram. Yusuf, che era un predicatore molto carismatico, invitava i suoi seguaci a combattere il predominio della cultura occidentale trasmessa nelle scuole, a opporsi ai sistemi economici e politici non islamici o anti-islamici, a lottare per la restaurazione della sharî‘a e a eliminare l’ingiustizia e la corruzione. In origine sembra che Yusuf non fosse favorevole all’uso della violenza per il perseguimento di questi scopi.

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All’origine dell’opzione violenta

Le ragioni che hanno condotto Boko Haram all’uso della violenza sono complesse, ma è possibile indicarne alcune. Innanzitutto, se il governo federale avesse avuto una migliore conoscenza della questione, avrebbe potuto agire in modo diverso. All’inizio sono stati commessi troppi errori. Per esempio, il governo federale ha creduto a lungo che Boko Haram fosse un complotto ordito dai musulmani del Nord per destabilizzare il governo del Presidente cristiano Jonathan. Quest’idea era diffusa nella leadership pentecostale della comunità cristiana, secondo la quale Boko Haram rappresentava l’espressione finale dell’inevitabile scontro tra le forze oscure dell’Islam e la luce di Cristo. L’attentato contro la chiesa cattolica di Madalla e altre chiese nel Nord del Paese confermava questo pensiero. Data la scarsa conoscenza, da parte del Presidente e di alcuni dei suoi principali collaboratori, della complessa natura del Nord del Paese, l’idea di un’oscura cospirazione musulmana sembrava plausibile[1]. Alcuni però la pensavano diversamente. Io stesso ho spiegato in diversi articoli e conferenze pubbliche[2] che avevamo a che fare con una sfida alla nostra convivenza e non con una guerra di religione tra cristiani e musulmani, come comunemente si pensava. Ma queste idee suonavano strane a molti e siamo stati accusati di non sostenere la Chiesa e di non avere a cuore il destino dei cristiani.

In secondo luogo, il governo federale ha considerato Boko Haram un problema di ordine pubblico e ha deciso di intervenire militarmente. Ancora una volta alcuni di noi hanno segnalato che non era la strada giusta perché l’intervento militare presentava alcuni problemi: il prezzo in termini di vite innocenti era troppo alto e molte persone, magari parenti di membri di Boko Haram, venivano arrestate senza processo e a volte uccisi dalle forze di sicurezza, come avvenuto per esempio al suocero di Yusuf. Inoltre Boko Haram, trovandosi a combattere una guerra per cui non era preparata, ha cominciato ad attaccare i posti di polizia alla ricerca di armi, diventando sempre più violenta.

 

I rapporti con l’estero

Occorre poi considerare che il governo federale non ha compreso la dimensione internazionale di Boko Haram. Già negli anni ’90, alcuni giovani musulmani nigeriani erano entrati in contatto con al-Qa’ida. Era l’epoca in cui Osama Bin Laden si era stabilito in Sudan ed è probabile che Muhammad Yusuf abbia beneficiato dei fondi forniti da Bin Laden per la creazione di cellule in Nigeria[3]. In seguito gli attacchi da parte dell’esercito nigeriano hanno spinto i membri di Boko Haram a fuggire verso Paesi come Afghanistan, Algeria, Ciad, Niger, Mali e Somalia. Disperdendosi, questi membri venivano esposti a versioni più radicali dell’ideologia antagonista e al tempo stesso si legavano a gruppi come Ansaru Dine (partigiani della fede), AQMI o il Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa occidentale (MUJAO). Più recentemente, il collasso del regime di Gheddafi e gli sviluppi in Paesi come il Mali hanno permesso a migliaia di giovani di transitare attraverso i confini porosi del Mali, della Somalia, del Ciad, del Niger e del Camerun. Molti di questi giovani, soprattutto quelli che provenivano dall’esercito libico, avevano accesso ad armi pesanti.

Avendo adottato un approccio puramente militare e non avendo operato una diagnosi corretta, il governo federale ha finito per finanziare la ribellione. L’aumento sbalorditivo del bilancio militare ha portato alla corruzione delle forze armate, alla perdita della moralità e del senso delle priorità, e all’infiltrazione di membri di Boko Haram nell’esercito. Inoltre, nei primi giorni della rivolta le forze armate si sono inimicate molte comunità, procedendo ad arresti arbitrari, commettendo omicidi, rapimenti e torturando civili innocenti. Non sorprende perciò che la nascita di quella che è diventata nota come Civilian Joint Task Force, composta da giovani ragazzi del luogo, abbia saputo conquistarsi la fiducia delle comunità e abbia riportato alcune vittorie eclatanti contro gli insorti. Si dice infatti che i membri di Boko Haram abbiamo più timore dalla Civilian Joint Task Force che dei soldati dell’esercito nigeriano. Ovviamente c’è da sperare che essa non diventi il mostro di domani, ora che il governo statale provvede ad addestrala e fornisce armi da usare al posto di archi, frecce, maceti e bastoni.

La deriva omicida di Boko Haram sfida qualsiasi argomentazione razionale ed è perciò difficile tentare una spiegazione chiara della situazione in cui ci troviamo attualmente. Tutto ciò che possiamo dire è che la Nigeria sta vivendo il suo momento peggiore. La reazione della comunità internazionale è arrivata un po’ troppo tardi, ancora una volta perché il governo della Nigeria è sembrato piuttosto confuso su come affrontare la questione. L’esercito ovviamente ha continuato a sostenere che con più risorse avrebbe potuto vincere la guerra, ma si tratta di un errore di valutazione. Non sembra che il governo abbia prestato particolare attenzione alle analisi serie e professionali circa i membri di Boko Haram e le ragioni che li hanno spinti alla militanza jihadista. Pare invece che il governo sia stato comprensibilmente più interessato a vincere la guerra. Ma è impossibile vincere una guerra o trovare una cura senza una diagnosi accurata. Qual è dunque la via da seguire?

 

Come uscirne?

La Nigeria è chiamata a una sorta di esame di coscienza. Il governo deve esaminare seriamente le condizioni che hanno portato alla nascita di Boko Haram. La violenza omicida di Boko Haram è stata favorita dalla scarsa sorveglianza dei confini e dalla complicità delle élite musulmane. È necessario un sistema di protezione delle frontiere che non sia soggetto alla complicità e alla corruzione criminali, comunemente diffuse nei Servizi d’immigrazione. I confini con il Camerun, il Ciad e il Niger restano i più problematici per i legami storici che uniscono le popolazioni: Boko Haram ha saputo giocare a proprio vantaggio la comune appartenenza alla cultura kanuri delle popolazioni di quelle zone.

Evidentemente ciò che accade oggi è il risultato di anni di corruzione e della mala gestione delle risorse statali, che hanno condannato i nostri cittadini a una vita di miseria e indigenza. Nella narrazione di Boko Haram ricorrono continui riferimenti alla giustizia e all’applicazione della sharî‘a come rimedio ai mali del Paese. Ma questo ovviamente è solo un modo di incanalare la frustrazione ormai diffusa in tutto il Paese, anche perché la povertà è una condizione necessaria, ma non sufficiente per il sorgere della violenza. Nella nostra situazione, la frustrazione che si è accumulata negli anni fra i musulmani poveri per le menzogne ​​e gli inganni delle loro élite non ha trovato valvole di sfogo adeguate e pacifiche. I musulmani del Nord hanno gestito a lungo gli affari del Paese e occupato posizioni chiave nella vita pubblica, ma invece di fornire servizi al loro popolo, essi hanno continuato a concentrarsi su azioni ipocrite come la costruzione di moschee, l’organizzazione del pellegrinaggio e l’esibizione della propria devozione. Dopo il ritorno del Paese al governo civile alla fine degli anni ’90, essi hanno sostenuto apertamente l’adozione e l’applicazione della sharî‘a. Quelle rivendicazioni sono tutt’altro che svanite. Ciò che Boko Haram sta mettendo in scena con la sua pretesa di stabilire uno Stato islamico è l’esito dell’impatto cumulativo di queste frustrazioni.

I dirigenti politici che si sono susseguiti hanno fatto molto poco per formare una nazione unita, con il risultato che il divario tra comunità ha continuato ad aumentare, soprattutto di fronte al collasso delle infrastrutture che ha reso impossibili gli spostamenti attraverso il Paese. I musulmani hanno la sensazione di essere confinati in uno spazio troppo ristretto a causa della presenza di persone che considerano straniere, e in particolare la comunità cristiana. I non-musulmani nel nord della Nigeria hanno continuato a prosperare tra le difficoltà e questo sviluppo ha suscitato la gelosia dei loro vicini musulmani.

È importante perciò che il governo si concentri sulla creazione di una nazione unita, in particolare applicando il principio costituzionale dei diritti di cittadinanza per tutti i nigeriani. Il governo federale deve agire con urgenza per affrontare i problemi di corruzione, mettendo fine all’impunità nella vita pubblica e gettando le basi per un buon governo. I livelli sempre più alti di povertà e disuguaglianza sono moralmente inaccettabili e la Nigeria non potrà trovare la pace se non affronterà seriamente questi problemi.

Va percorsa la strada dell’amnistia, anche se è difficile trovare i giusti mediatori e riuscire a ristabilire un clima di fiducia, soprattutto se si considerano le fratture e la diffidenza che si sono create tra cristiani e musulmani negli Stati settentrionali della Nigeria. Il governo federale ha dato segnali contrastanti. Ha avviato almeno tre iniziative, ma senza dare seguito ad alcuna. In questo momento è all’opera un nuovo Comitato, ma Dio solo sa che cosa emergerà dalle sue conclusioni.

L’ossessione del governo per l’uso della forza per sconfiggere Boko Haram può spiegare l’evidente mancanza di interesse per una diagnosi adeguata. Si pensi alle illuminanti ricerche intraprese da gruppi come International Alert, International Crisis Group e da molte ambasciate straniere in Nigeria. Non è chiaro quanto di queste informazioni confluisca nelle risposte politiche del governo federale. Anche se la rivolta dovesse finire oggi stesso, è necessario intraprendere una seria riflessione per tracciare la via da seguire. Si ventila un piano Marshall per il Nord e alcuni parlano dell’amnistia come base da cui partire.

 

Un Paese da ricostruire

Per quanto questi argomenti possano essere plausibili, è necessario capire la differenza di orientamento culturale e di aspettative tra il delta del Niger e il Nord. Prima di tutto, gli irriducibili di Boko Haram sono contrari all’istruzione occidentale, che fornisce gli strumenti e le competenze per l’incorporazione in uno Stato moderno. La loro ossessione per la sharî‘a come condizione preliminare di qualunque trattativa è un ostacolo rilevante a qualsiasi soluzione.

In secondo luogo le relazioni tra il governo federale e i governi degli Stati coinvolti nella rivolta sono pessime, anche perché i governatori di questi Stati fanno parte di partiti che a livello federale sono all’opposizione.

In terzo luogo i governatori del Nord, passati e presenti, sono del tutto inerti di fronte agli sviluppi occorsi nei loro Stati. A differenza dei loro omologhi del Sud, gli Stati del Nord hanno indicatori di sviluppo più bassi in molti importanti settori, dalla sanità, alla sicurezza, all’istruzione, alle infrastrutture... Non si tratta tanto di un problema di denaro, ma di come questo viene speso. Come ho già detto, molti governatori credono che l’istruzione coranica, la costruzione di moschee e il pellegrinaggio siano molto più importanti dell’istruzione di tipo occidentale e dell’acquisizione di competenze che ritengono contrarie all’Islam. Il compito più grande che la nostra nazione deve intraprendere è perciò la costruzione di un Paese in cui la differenza non ostacoli la celebrazione della nostra umanità comune. Gli obiettivi e gli ideali delle nostre religioni sono la nostra carta migliore. La nostra sfida è salvare la religione e i suoi insegnamenti sacri dagli abusi dei fanatici e degli estremisti, siano essi uomini politici o jihadisti criminali.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 

[1] Il Presidente non aveva esperienze nazionali precedenti. La maggior parte dei capi della sicurezza, con l’eccezione dell’Ispettore generale della polizia, erano cristiani del sud, con una conoscenza limitata dell’Islam e della regione settentrionale.

[2] Matthew Kukah, Be Still and Know that I am God: An appeal to Nigerians, 22 gennaio 2012.

[3] Curbing Violence in Nigeria (2): the Boko Haram Insurgency, International Crisis Group. Africa Report (218), 3 aprile 2014, 23.

 

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Matthew H. Kukah, Boko Haram e il sangue innocente: di chi la colpa?, «Oasis», anno X, n. 20, dicembre 2014, pp. 42-45.

 

Riferimento al formato digitale:

Matthew H. Kukah, Boko Haram e il sangue innocente: di chi la colpa?, «Oasis» [online], pubblicato il 28 gennaio 2015, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/boko-haram-e-il-sangue-innocente-di-chi-la-colpa.

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