I fondamenti /4. Il Rapporto 2008 conferma la percezione diffusa dagli allarmanti fatti di cronaca:
la protezione giuridica e l’accettazione sociale della libertà religiosa rischiano di regredire.
 

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:48:24

Mentre scrivo questo testo, mi trovo in Libano. Il Paese simboleggia in modo eloquente la fragilità delle basi sulle quali riposa il concetto stesso di libertà religiosa. I vari incontri che ho avuto con persone che si sono convertite all’Islam o al Cristianesimo mostrano che il diritto effettivo a professare liberamente la propria fede e al tempo stesso la possibilità di cambiare religione costituiscono una specificità di questo Paese. Da questo punto di vista, il Libano rompe con il contesto culturale del Medio Oriente in cui s’inserisce: la tendenza a racchiudere la spiritualità dell’uomo in una cornice rigida privandolo della libertà religiosa è una delle causa delle sofferenze che colpiscono attualmente soprattutto l’Islam.   Ho riletto recentemente la scheda sull’Afghanistan del Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo che l’Aiuto alla Chiesa che Soffre ha preparato e che ricorda il caso di Abdul Rahman, convertito al Cristianesimo e costretto a fuggire in Occidente. La minaccia che pesa su quelli che, come Abdul Rahman, scelgono di fruire di un diritto non riconosciuto nel loro Paese si traduce spesso nella prigione o nella pena di morte.   Il Rapporto 2008 purtroppo non manca di esempi in questo senso, soprattutto in Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Algeria, Egitto, India o Sudan. Papa Giovanni Paolo II riteneva che il Libano avesse una missione specialissima, ben oltre i suoi confini, e ripeteva che «il Libano è più che un paese, è un messaggio». Il Libano rappresenta, nel quadro dei Diritti dell’Uomo, un messaggio che, come la libertà religiosa, esige un grande impegno e un acuto senso delle responsabilità per preservarlo da tutti gli avvenimenti, gli interessi e i giochi di potere politici ed economici che potrebbero soffocarlo. Le sofferenze di una popolazione, le sue lotte e l’attaccamento alla propria fede, che si tratti di cristiani, drusi, sunniti o sciiti, mostrano oggi più che mai quanto il concetto stesso di libertà religiosa debba essere ancorato e definito in un quadro chiaro che permetta il dialogo tra le varie religioni, i governi e i popoli. In caso contrario, l’interpretazione del rispetto del diritto alla libertà religiosa corre inevitabilmente il rischio di diventare ideologico o – incoscientemente o volontariamente – di parte. Quanti militano per l’accettazione del diritto alla libertà religiosa sono ben coscienti del pericolo.   D’altronde, il Rapporto 2008 mette in evidenza quanto la situazione giuridica relativa alla protezione e al diritto alla libertà religiosa in molti Paesi sia ancora lontana dal progredire. Le conseguenze sono catastrofiche tanto per le minoranze quanto per i membri della religione maggioritaria, che diventano anch’essi, in fin dei conti, vittime del fanatismo religioso. Una legislazione che rispetti la libertà religiosa dovrà essere super-politica e super-culturale, super-etnica e super-confessionale. Certamente l’articolo 18 della Carta della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo traduce in modo chiaro tutti questi valori. Ma in che misura la «libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo» impegna i governi a proteggerla e a farla rispettare?   Leggendo il Rapporto 2008 si constata la forte preoccupazione che la libertà religiosa sia relativizzata confondendola con il diritto di culto, che resta limitato alla sfera privata, ed eludendo così il fatto che l’esperienza religiosa implica anche per natura interazioni con la società. Episodi di Persecuzione Dal 1999 l’Aiuto alla Chiesa che Soffre pubblica il Rapporto sulla libertà religiosa, lavorando con gruppi specializzati di ricercatori, giornalisti e specialisti che, insieme, raccolgono e analizzano informazioni fornite da diverse fonti internazionali, come i rapporti o i reportage di varie aggregazioni religiose o le testimonianze raccolte sul campo. Mentre l’Aiuto alla Chiesa che Soffre agisce per portare un aiuto pastorale in tutti i Paesi del mondo in cui considera che la Chiesa sia minacciata o perseguitata, il Rapporto pubblicato dall’Opera persegue da parte sua l’obiettivo di essere la voce di tutte le religioni e di tutti i gruppi religiosi, al di là di ogni giudizio circa i loro insegnamenti, le loro pratiche e convinzioni. La finalità del Rapporto consiste nel rendere pubbliche, in un quadro ordinato, notizie, fatti, situazioni e testimonianze che in caso contrario, nel flusso delle notizie che ci raggiungono ogni giorno, passerebbero inosservate o sfuggirebbero all’attenzione del pubblico, delle istituzioni internazionali o di tutti coloro che sono interessati alla questione dei Diritti dell’Uomo e più specificamente a quella della libertà religiosa.   Il Rapporto pubblicato quest’anno dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre è uscito nel mese di ottobre 2008 e riferisce gli avvenimenti degli anni 2006 e 2007. Dietro alla scelta di ricordare avvenimenti che si sono svolti lungo un periodo di due anni e alcuni dei quali potrebbero sembrare già molto lontani dalle nostre preoccupazioni vi è la volontà di mettere in relazione gli avvenimenti che stanno segnando l’anno 2008 con quelli che li precedono per offrirne una lettura più approfondita e per illuminare un passato recente di fatti tragici troppo importanti per essere già dimenticati. Quale bilancio trarre, circa il rispetto della libertà religiosa, dalla lettura di queste schede?   Nel corso degli anni considerati dal Rapporto 2008 la libertà religiosa ha conosciuto degli avanzamenti, soprattutto nel rispetto del diritto a praticare la fede in luoghi di culto. Ma questo periodo è stato fortemente segnato da episodi di violenza o di persecuzione contro gruppi di persone o individui appartenenti a minoranze religiose che sono spesso presi di mira per scoraggiare ogni attività missionaria. Ricordiamo qualche caso: in India, nel periodo 2006-2007, sono state promulgate molte leggi che vietano le conver¬sioni e sia i governi locali sia le istituzioni pubbliche sostengono ora apertamente il nazionalismo hindu, oppositore di ogni forma di libertà religiosa; per quanto riguarda la Cina, il Rapporto 2008 mette in luce il risveglio del senso religioso che interessa il Paese, con più di 300 milioni di credenti, di cui più di 40 milioni cristiani.   Gli autori del Rapporto 2008 sottolineano come nel corso degli anni 2006-2007, in vista dei giochi olimpici, lo Stato abbia voluto impedire ogni alleanza tra l’attivismo religioso e l’attivismo sociale e politico. La lista degli arresti, delle deportazioni e delle condanne a morte è tragicamente lunga e interessa sia i buddisti tibetani che i cristiani e i musulmani. Se ci soffermiamo su alcuni tra i più sanguinosi conflitti, come quelli in Afghanistan, Somalia o Iraq, il Rapporto 2008 ci riporta a parecchi drammi volontariamente provocati per attaccare direttamente il diritto alla liber¬tà religiosa. Pensiamo al gruppo dei ventitré coreani impiegati per una ONG protestante e sequestrati da alcuni talebani a Kabul, due dei quali uccisi, all’assassinio di suor Leonella Sgorbati a Mogadiscio o alla lunga lista di vittime della persecuzione religiosa in Iraq.   Tuttavia non mancano neppure i segnali incoraggianti. Il Rapporto 2008 dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre permette di percepire gli elementi positivi che la presenza e la testimonianza delle minoranze religiose apportano alla diffusione del diritto alla libertà religiosa. Beninteso si tratta di progressi che non cancellano le difficoltà a vivere una confessione o una religione differente. Così, là dove fino a poco tempo fa non ci si sarebbe mai immaginati di veder costruire chiese o sorgere iniziative per promuovere il dialogo e l’incontro con rappresentanti di altre religioni, le cose cominciano a cambiare, com’è il caso di Paesi quali il Kuwait, il Qatar o gli Emirati. Questi fatti permettono di gettare uno sguardo di speranza su numerosi casi di fanatismo e intolleranza religiosa che l’anno 2008 continua a registrare. L’Azerbaigian è un esempio di Paese impegnato a favorire una cultura di rispetto della libertà religiosa: esso deve affrontare una grande sfida per far pienamente propria questa scelta. Nell’aprile del 2007 la piccola comunità di 130 fedeli cattolici ha potuto inaugurare la prima chiesa, grazie anche all’aiuto di musulmani, ortodossi e della comunità ebraica presente nel Paese. Tuttavia, le sfide poste dalla radicalizzazione di alcune comunità religiose, dalla situazione politica del Paese o dalla stessa scelta da parte dei cittadini di beneficiare della libertà religiosa alimentano nel governo azero la facile tentazione di cadere nella trappola della persecuzione religiosa. Al riguardo le conversioni al Cristianesimo e il lavoro missionario che, secondo l’organizzazione Open Doors, ha condotto dall’indipendenza quasi 18 mila autoctoni a diventare cristiani sono visti dalle autorità come elementi destabilizzanti per la sicurezza dello Stato. Occorre ricordare che il Cristianesimo è anche la religione della vicina Armenia, con la quale l’Azerbaigian è tuttora in guerra.   I cristiani del Libano, che godono di una reale libertà religiosa sia a livello politico che sociale, conoscono difficoltà d’altro ordine. Esse sono dovute da una parte alla storia propria di questo paese e dall’altra ai dissensi tra le varie comunità cristiane. L’apparente clima vacanziero che si può respirare durante la stagione estiva per le vie di Beirut o la piacevole tranquillità che si incontra negli accoglienti villaggi del Paese non debbono far dimenticare le conseguenze dei gravi avvenimenti che hanno segnato gli anni 2006 e 2007. L’ultimo conflitto con Israele, che ha fatto più di 1200 morti nel campo libanese, ha lasciato ferite profonde. D’altra parte il Rapporto 2008 ricorda quanto già nel 2006 il Cardinal Sfeir deplorasse le divisioni tra i cristiani, che a suo avviso costituivano una delle causa del disgregamento del Cristianesimo in Libano (nello stesso anno si sono avuti parecchi atti di violenza tra confessioni cristiane, come quelli perpetrati da un gruppo di maroniti che ha attaccato la sede della Chiesa battista nel distretto di Kesru¬wan, provocando seri danni agli edifici). Vocazione Universale Se le divisioni tra cristiani hanno effettivamente contribuito a rendere il Cristianesimo minoritario in parecchi Paesi, occorre anche considerare gli effetti della migrazione dei cristiani, come pure le conversioni o l’abbandono di ogni forma di religione. Quest’ultimo fenomeno rappresenta per le religioni il prezzo da pagare per garantire il rispetto della libertà religiosa, che rimane comunque un obiettivo essenziale per l’avvenire di ogni società. L’azio¬ne a favore della libertà religiosa deve continuare, nonostante l’apprensione con cui ogni religione a vocazione universale guarda alle conversioni ad altre religioni. L’abbandono di una religione in favore di un’altra è infatti percepito frequentemente dall’istituzione religiosa e dai fedeli come un attentato alla vocazione universale e quindi alla sopravvivenza stessa della religione abbandonata. Tale timore dovrebbe essere considerato più attentamente dagli Stati, per garantire la libertà religiosa piuttosto che per servirsene, com’è spesso il caso, per fagocitare l’elemento religioso all’interno degli obiettivi politici ed economici.   In questo senso, il fine ultimo del Rapporto dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre è di interrogarsi sulle radici delle discriminazioni e della persecuzione. Ci auguriamo che questo lavoro contribuisca a diffondere il senso delle responsabilità e della missione perché ciascuno possa imparare a comprendere meglio, accettare e rispettare la libertà di scelta che Dio ha voluto offrire all’umanità.  

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