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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:03

Il primo musulmano eletto al Congresso degli Stati Uniti, Keith Ellison, ha chiesto e ottenuto di giurare sul Corano, anziché sulla Bibbia. Un fatto senza precedenti, se si escludono alcuni presidenti americani - Roosevelt, Adams e Johnson - insediatisi senza giurare. Il fatto potrebbe interpretarsi come nuova fase di un braccio di ferro tra un Islam militante, che cerca spazi di visibilità e di affermazione pubblica, e la cultura tradizionale statunitense, che si gloria del fatto che in tutte le camere di ogni hotel americano, dentro un cassetto, l'ospite possa trovare ad attenderlo la Bibbia. Questa lettura, che forse ha del vero, sembra però dimenticare un aspetto centrale dell'attuale tensione tra le istituzioni, l'ordinamento e una società civile sempre più meticcia. Dworkin forse vorrebbe inserire la richiesta di giurare sul Corano tra i suoi «casi difficili» . In effetti, il caso di Ellison ha portato alla luce il possibile cortocircuito tra due forze egualmente presenti, nella società americana, da secoli, che spesso si rivolgono nella stessa direzione. Ellison, con la sua richiesta, ha mostrato invece come questa dinamica non sia affatto scontata. Da un lato, è innegabile che gli Stati Uniti si siano formati poggiando sulla libertà religiosa. È nota l'epopea degli europei giunti nel Nuovo Mondo alla ricerca di un luogo dove poter esercitare, non solo privatamente, ma anche pubblicamente, la propria fede. La vicenda dei Padri Pellegrini e del Mayflower non è che la punta di un iceberg, tanto che autorevoli studiosi hanno potuto affermare che il valore preminente della libertà religiosa sia il vero e proprio vanto degli Stati Uniti . Un vanto che ha percorso i secoli di vita della Costituzione americana, visto, ad esempio, il ruolo centrale che ha avuto la pratica religiosa nella storia della campagna elettorale per la presidenza. Dall'altro lato, è altrettanto evidente che la religiosità caratteristica del popolo americano è di stampo cristiano. William Penn, Lord Baltimore e Roger Williams, i tre capofila delle libertà americane, furono cristiani - così come lo furono coloro che li raggiunsero, rispettivamente in Pennsylvania, Maryland e Rhode Island. Risulta naturale, pertanto, riconoscere che la Bibbia è il documento scritto più importante e significativo, storicamente, per gli Stati Uniti - non ne descrive solo la religiosità del popolo, ma le stesse ragioni che lo hanno generato. Il caso Ellison ha pertanto posto l'opinione pubblica di fronte a un'alternativa: consentire al deputato di giurare sul Corano, riaffermando il valore fondativo della libertà religiosa; oppure imporgli di prestare giuramento sulla Bibbia, riconoscendo il significato del Cristianesimo per l'esistenza stessa degli Stati Uniti. In altri termini, si trattava di stabilire se dovesse giurare su quanto egli ha di più caro, o su ciò che "la storia della Nazione" ha maggiormente a cuore. In entrambi i casi si sarebbe sacrificato qualcosa: o il riconoscimento che senza il Cristianesimo gli USA non esisterebbero, o l'evidenza che questi sono nati dall'esigenza di libertà religiosa che risiede in ogni uomo. Sotto un certo profilo, sembra che la società americana abbia fatto marcia indietro. Volendo riprendere l'intuizione di Huysmans, autore di À rebours (A ritroso), si potrebbe affermare che gli americani abbiano dovuto guardare dove poggiano le proprie istituzioni: su quali valori si basino. Un'operazione delicata, forse sottovalutata dalla stampa e dai media, che tuttavia mostra come sia importante il legame che unisce le istituzioni e la società, e quanto si nutra di elementi simbolici. Quando questi ultimi entrano in crisi, occorre riguadagnare le ragioni che li hanno plasmati, per rimpiazzarli o per riaffermarli. Paradossalmente, la nazione più pubblicamente religiosa e maggiormente attenta a non istituzionalizzare alcun credo, secondo il dettame del primo emendamento alla Costituzione, si è dovuta chiedere cosa fare di quel libro sacro in nome del quale è nata. Corte Costituzionale Tedesca In genere, il conflitto tra la coscienza individuale e quella collettiva - o tra quella di un gruppo e quella della totalità - è in grado di stemperarsi sul piano politico. Sono il parlamento e il potere esecutivo i soggetti in grado di prevedere, a livello istituzionale e normativo, soluzioni capaci di rispondere alle nuove esigenze e di riequilibrare posizioni di sfavore o di vantaggio. L'alternativa secca tra i due estremi è invece una pratica più usuale nel campo giurisdizionale. I giudici, sul piano nazionale, ma anche sopranazionale - si pensi alla Corte Europea di Diritti dell'Uomo -, decidono in termini di aut aut, con alcune apprezzabili eccezioni. Il conflitto, una volta che giunga di fronte a un giudice, vede un vincitore e un perdente. Si pensi alla differente impostazione denunciata in Germania nel corso della querelle sull'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, prevista da una norma bavarese. La Corte costituzionale tedesca ha puntato sulla tutela della coscienza e sulla neutralità dello Stato in termini piuttosto netti, arrivando a concludere per l'illegittimità dell'esposizione del crocifisso. La Baviera è poi intervenuta, nuovamente disponendo per l'affissione del crocifisso, stavolta con la precisazione che, qualora nella classe si levino obiezioni, si debba giungere a soluzioni concordate . La classe politica bavarese ha interpretato dunque il rapporto tra tradizione cristiana e libertà di coscienza in termini meno antitetici e più concilianti di quanto abbia fatto la Corte. Naturalmente, il pregio di un'impostazione è insieme il difetto dell'altra. Se l'alternativa radicale, binario sul quale sembrano ragionare i giudici, appare incapace di tenere insieme le istanze contrapposte di una società conflittuale, il modus operandi dei politici denuncia talvolta un pragmatismo che non coglie il nocciolo della questione, anzi lo scansa, evitando, insieme a uno scontro tra sensibilità, anche una riflessione approfondita sui problemi. In questo modo, la politica in materia ecclesiastica, di integrazione culturale e sociale, o di relazione tra la sfera individuale e quella collettiva assumono contorni più sfumati e privi di punti di riferimento. Sembra esserne un segnale abbastanza eloquente la spaccatura avvenuta nell'ambito istituzionale e in quello accademico italiani, quando anche nella penisola si è affacciata la questione dell'esposizione del crocifisso. Argomenti di diritto si sono sovrapposti a considerazioni pragmatiche o di opportunità politica, prestandosi a numerose strumentalizzazioni, avvertite chiaramente dalla dottrina . Valenza Culturale In un susseguirsi di indicazioni provenienti dalla politica e dalla giurisprudenza, si possono identificare abbastanza agevolmente due filoni. Da un lato i sostenitori della illegittimità dell'esposizione del crocifisso, che facevano leva sul carattere confessionale del simbolo; dall'altro i fautori della sua legittimità, che ne rilevavano il carattere culturale, sulla base del quale il crocifisso doveva considerarsi, a tutti gli effetti, parte del patrimonio storico nazionale. La circostanza, tra l'altro, vedeva generalmente i credenti, che opinavano a favore del crocifisso, rimarcarne il carattere civile, mente i laici, contrari, ne valorizzavano il lato religioso. Tutte queste argomentazioni, giuridiche e politiche, pro o contro il crocifisso, sembrano segnate da un'impostazione piuttosto unitaria: religione e politica vengono concepite come sfere separate, che non si incontrano se non in singoli punti di tangenza. Il fattore religioso filtra nelle istituzioni in forza della sua valenza culturale, non per una valenza autonoma. La religione e i suoi contenuti sono banditi dalla sfera istituzionale. «Per il Cristianesimo […] il metodo, cioè la carità, prevale sui presupposti, cioè sulla fede, e sulle finalità, cioè sulla speranza, il che costituisce un unicum tra le religioni»; «Il meccanismo logico dell'esclusione dell'infedele è insito in ogni credo religioso, anche se gli interessati non ne sono consapevoli; peraltro, con la sola eccezione del Cristianesimo, ove ben compreso»: di conseguenza, «il rifiuto del non credente da parte di un cristiano implica la radicale negazione dello stesso Cristianesimo, una sostanziale abiura». Queste affermazioni sembrano collocarsi all'interno di una riflessione teologica, effettuata da un soggetto che si ritiene competente a distinguere i tratti peculiari del Cristianesimo nei confronti delle altre fedi. Al contrario, si tratta di una parte importante del ragionamento di un giudice del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Veneto, impegnato a decidere sulla legittimità dell'esposizione del crocifisso - con argomentazioni destinate a incidere profondamente sulla successiva pronuncia del Consiglio di Stato , che chiuderà la questione opinando ugualmente per la legittimità. Anziché adottare una prospettiva esterna alla religione, che si soffermi sull'incidenza del simbolo della croce sulla laicità dello Stato, sulla libertà religiosa degli studenti e sul ruolo storico del Cristianesimo all'interno della storia d'Italia, il TAR "penetra" all'interno della religione cristiana, poiché ritiene «necessario indagare come il cristianesimo si ponga rispetto ad alcuni valori giuridicamente sanciti dalla costituzione repubblicana». Per il giudice del TAR, la «tolleranza dell'altro e la difesa della dignità dell'uomo», la «forte accentuazione del precetto dell'amore per il prossimo e ancor più […] l'esplicita prevalenza data alla carità sulla stessa fede», avrebbero contribuito a delineare «quelle idee di tolleranza, eguaglianza e libertà che sono alla base dello Stato laico moderno e di quello italiano in particolare». Questo legittimerebbe pienamente l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. È dunque la consonanza tra la natura del Cristianesimo e i principi fondamentali della Costituzione italiana a giustificare la presenza del simbolo della croce - non semplicemente un suo radicamento culturale. Il punto di maggiore interesse, e che apre prospettive nuove, del ragionamento del TAR del Veneto è forse proprio quello che solleva i dubbi più gravi - il che rende comprensibile sia le critiche sia il plauso che la pronuncia ha ricevuto tra gli studiosi. Un intervento così approfondito del giudice, focalizzato sui caratteri della religione cristiana, può dirsi senz'altro in grado di andare al nocciolo della questione e di porre il rapporto tra sentimento religioso, laicità delle istituzioni e libertà religiosa in termini estremamente concreti e puntuali - molto più di un ragionamento, pur valido, che bilanci patrimonio religioso, cultura nazionale e principi costituzionali solo in astratto. Infatti, il TAR effettua una analisi dei contenuti di fede del Cristianesimo per valutarne la compatibilità con i valori della Costituzione: argomento centrale, ma solo sfiorato generalmente dai giudici e dagli stessi studiosi. Il giudice esplicita, in tal modo, quanto la restante giurisprudenza e la dottrina danno generalmente per scontato: quando si sostiene che il crocifisso debba essere esposto perché espressivo della storia nazionale, implicitamente si afferma il valore positivo ed edificante della tradizione cristiana. Al contrario, infatti, ben pochi propenderebbero per l'esposizione del fascio littorio in Italia o, in Germania, della svastica, perché egualmente espressivi di parte della storia nazionale. D'altro canto, se la sentenza del TAR tradisce una certa propensione del giudice per le tematiche teologiche, solleva più ampiamente il dubbio che, al di là della preparazione personale, un rappresentante delle istituzioni possa delineare i caratteri salienti di un credo religioso. Operazione che il giudice del TAR del Veneto effettua con chiara disinvoltura, esibendo una personale Weltanschauung sul nocciolo del Cristianesimo e sul suo sviluppo storico, comprendente l'indicazione di Cristo di «dare a Cesare quel che è di Cesare», eventi come le Crociate o l'Inquisizione, l'apporto di Paolo Sarpi, o il contributo della Confessione valdese. Intese e Richieste Se, sotto un certo profilo, il TAR del Veneto mette in crisi la separazione o, quantomeno, la distinzione tra la religione e le istituzioni civili, dall'altro offre spunti particolarmente interessanti per rispondere a esigenze che emergono, sempre più chiaramente, nel contesto europeo e americano. Il processo di meticciato, infatti, vede la moltiplicazione delle richieste, da parte delle religioni e delle culture di nuovo insediamento, nei confronti delle istituzioni. Questo sviluppo delle relazioni tra Stato e confessioni religiose si documenta, nel contesto italiano, nella produzione di rapporti bilaterali, di intese tra lo Stato e le confessioni. Finora ne sono state siglate quattordici, e altre sono allo studio. Distinguere richieste pretestuose o simboliche - come il venerdì festivo per i musulmani, quando, al contrario, la religione islamica richiede in quel giorno solo di recarsi alla preghiera comunitaria - risulta difficile, avendo a disposizione soltanto i principi costituzionali. I casi di conflitto radicale tra Costituzione e dettato religioso sono, infatti, piuttosto limitati rispetto al ventaglio di richieste. A meno di assentire a tutte le richieste che non confliggano frontalmente con l'ordinamento - ipotesi improbabile, che condurrebbe, al limite, a riconoscere persino l'obiezione al versamento delle imposte utilizzate per finanziare spese belliche - la soluzione finora adottata era di tipo estremamente pragmatico, basata su accomodamenti reciproci da parte delle istituzioni e della religione. La sentenza del TAR del Veneto si situa invece quale punta forse troppo avanzata, ma comunque rilevante, di un processo che intende guardare al fenomeno religioso per come esso si presenta, e non solo nelle sue ricadute. Se affinato, questo nuovo approccio consentirebbe forse di radicare i rapporti tra Stato e credi sulla base delle concrete esigenze di questi ultimi. Del resto, in questo senso soccorre anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che sembra imporre alle istituzioni di dare ascolto alla coscienza individuale e dei gruppi religiosi solo a fronte di convinzioni saldamente radicate, non semplicemente collegate in modo tenue al bagaglio di credenze e valori cui il singolo o il gruppo fa riferimento . Questa esigenza, da parte delle istituzioni, di una bussola con la quale orientarsi rispetto alle disparate richieste religiose, va ampliandosi con le richieste, che raggiungono vertici finora inediti per la concezione occidentale moderna dello Stato e dei suoi rapporti con la religione. È piuttosto recente, ad esempio, la richiesta da parte di alcuni musulmani italiani affinché lo Stato istituisca un sistema di certificazione per le guide del culto, a fronte della moltiplicazione di sedicenti imam, talvolta di dubbia dottrina, che si pongono come punti di riferimento, soprattutto per le comunità immigrate, senza adeguata preparazione. Si tratta di una richiesta recente - del resto in linea almeno con parte della tradizione islamica, che ha visto costantemente l'influenza del potere politico su quello religioso, se non la perfetta coincidenza tra i due - che riporta indietro di secoli l'orologio della storia delle istituzioni in Occidente. Pragmatismo istituzionale Paradossalmente, mentre la Chiesa Cattolica esige di poter nominare autonomamente i propri vescovi in Cina, alcuni musulmani invocano in Italia l'intervento statale nella selezione degli imam. Se non si arriverà, forse, alla nomina di questi ultimi per mano dello Stato, è piuttosto probabile che nei prossimi anni le istituzioni civili dovranno scegliere se rimanere alla finestra, rispetto all'evoluzione del panorama culturale e sociale, o se intervenire - e fino a che punto; talvolta, su richiesta delle medesime confessioni religiose. Il panorama attuale è evidentemente molto dinamico: difficile prevedere quale china prenderà la dialettica Stato-religioni nelle varie nazioni occidentali. Tuttavia, al momento, sembra possibile avanzare due brevi considerazioni. In primo luogo, l'articolazione tra la sfera civile e quella religiosa tipica dell'Occidente probabilmente non va ascritta semplicemente a un processo di perimetrazione dei due ambiti, costruito in maniera logica e coerente, seppur lenta e progressiva. Alla luce delle nuove tensioni che serpeggiano sulle due sponde dell'Atlantico, sembra che molto della tradizione occidentale sia dovuto alle culture religiose che vi hanno attecchito e ne hanno costituito l'ossatura, e al loro sviluppo. Un'ossatura che ora sembra dover reggere a nuovi innesti. In secondo luogo, forse il pragmatismo istituzionale col quale vengono affrontate le questioni riguardanti la pratica religiosa e la sua intersezione con la sfera civile può ridursi, grazie all'elaborazione di nuovi strumenti interpretativi, in grado di sondare le reali esigenze di una società meticcia: il TAR del Veneto ne offre un esempio, probabilmente troppo invasivo nei confronti della sfera religiosa. Un certo grado di pragmatismo, al contrario, pare inevitabile per quanto concerne la propensione delle istituzioni a occuparsi del fattore religioso. Come è stato icasticamente ma efficacemente affermato, segnare una volta per tutte i confini tra lo Stato e le religioni sembra davvero una missione impossibile .

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