Un monaco e islamologo accompagna dei detenuti musulmani nella riscoperta del loro patrimonio religioso e culturale. Da questa esperienza nascono un progetto educativo, un documentario e un programma di prevenzione della radicalizzazione esportato in tutta Europa

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:57:41

Un monaco dei Piccoli Fratelli dell’Annunziata, islamologo, accompagna i detenuti musulmani del carcere “Dozza” di Bologna nella riscoperta del loro patrimonio religioso e culturale. Da questa esperienza sono nati un progetto che ha coinvolto 150 studenti, per lo più di origine maghrebina, una “assemblea costituente”, un documentario e un programma di prevenzione della radicalizzazione esportato in tutta Europa.

 

Ho trascorso molti anni in Medio Oriente, nelle case della mia comunità religiosa. Lì ho studiato a fondo l’arabo e l’Islam. È stato questo il motivo per cui, al rientro in Italia, mi è stato chiesto di svolgere, dal 2009, un servizio di volontariato tra i detenuti musulmani del carcere “Dozza” di Bologna, uno dei più grandi d’Italia e con un numero molto elevato di musulmani, oggi oltre 200 su circa 600 detenuti.

 

In Italia i detenuti stranieri sono più di un terzo del totale, e la percentuale dei musulmani è valutata (sulla base del Paese di provenienza) tra il 30 e il 50 per cento degli stranieri. In termini assoluti parliamo di circa 8-9 mila persone. La mia presenza in mezzo a loro può sembrare paradossale: un monaco cattolico si dedica all’assistenza spirituale dei musulmani!

 

Ho iniziato con colloqui personali, poi incontrando piccoli gruppi nei piani delle celle, per giungere alla realizzazione di percorsi didattici inclusi annualmente nel piano accademico della scuola interna al carcere, che si occupa di circa 250 studenti. In tutti i livelli della mia attività procedo dallo sforzo di tenere realmente conto del patrimonio religioso e culturale dei miei interlocutori. Ritengo infatti che questo patrimonio fornisca preziose risorse per stimolare la rinascita morale di persone che più o meno a lungo hanno violato la legge e che, in mancanza di un intervento educativo specifico per loro, continueranno a farlo anche dopo la scarcerazione (in Italia la recidiva nel reato supera il 70 per cento). Per riuscire a resistere al trauma del passaggio da un introito di 20-30 mila euro al mese con la droga agli 800 di un contratto di formazione, la motivazione religiosa può essere decisiva. Allo stesso tempo, bisogna essere coscienti del fatto che è proprio all’interno del loro patrimonio di tradizioni che si annidano i germi del radicalismo. Il radicalismo, come ben sappiamo, può iniziare in carcere e poi svilupparsi all’esterno in svariate direzioni, inclusa quella del terrorismo. Da un lato la riscoperta delle proprie tradizioni religiose e culturali è quindi positiva, ma presenta dall’altro dei rischi che non possono essere sottovalutati. Per questo essa chiede d’essere accompagnata con molta attenzione. Il “fai da te” in carcere è il più grande pericolo. Ho avuto modo di osservare da vicino molti casi di riscoperta della propria fede che evolvono verso posture di radicalismo religioso.

 

Con i detenuti leggo in lingua originale e traduco in italiano soprattutto testi riguardanti l’etica e il complesso delle virtù consacrate nell’Islam, biografie edificanti, ma anche poesia, letteratura, fiabe, pagine di storia, diari di viaggi. L’ampio ventaglio di temi vuole suggerire il passaggio da un Islam ridotto esclusivamente al suo aspetto dogmatico e cultuale, ciò che facilita la deriva radicale, a un Islam inteso come civiltà, la quale, senza dimenticare il proprio nucleo di fede e di culto, si presenta come geneticamente plurale, perché formatasi, nel corso dei secoli, in stretta relazione con altre fedi, popoli, culture e tradizioni.

 

Da un’intuizione a un progetto educativo

 

Questo tipo di lavoro, iniziato nel 2009, sentiva la necessità di una cornice all’interno della quale fare muovere in modo più sicuro e orientato gli altri elementi. A questa cornice siamo arrivati nel 2014 con il progetto “Diritti, doveri, solidarietà” (DDS), pensato per la scuola del carcere e che nell’arco di un biennio ha coinvolto circa 150 studenti, in massima parte musulmani del Nord-Africa. Il progetto DDS è nato da una felice collaborazione tra istituzioni: il Centro per l’Istruzione degli Adulti di Bologna, l’ufficio della Garante regionale dei diritti in Emilia Romagna, la direzione del carcere. Sua idea fondamentale è l’utilizzo della Costituzione italiana come testo di dialogo tra culture, in particolare quelle dei Paesi a maggioranza musulmana. Per arrivare allo scopo nel modo più diretto e corretto, abbiamo accostato alla Costituzione italiana tre Costituzioni arabe, prodotte nel periodo della cosiddetta Primavera araba: quella marocchina del 2011 e quelle della Tunisia e dell’Egitto del 2014. L’accostamento tra Costituzioni non è casuale: storicamente, il movimento costituzionale nel mondo arabo-islamico, dai suoi esordi nella metà del XIX secolo, è stato frutto di un rapporto crescente con i Paesi a nord del Mediterraneo. Rapporto sofferto, certo, per i pesi del colonialismo, così come per i limiti interni posti dal sistema della sharī‘a, ma comunque rapporto reale e non solo conflittuale.

dett foglio0.jpgProgetto per la scrittura di una nuova Costituzione

 

DDS ha avuto due versioni, una lunga di 24 lezioni e una breve di 14. Nella prima abbiamo coinvolto un buon numero di docenti esterni: islamologi, costituzionalisti, imam. La seconda è stata realizzata con maggiore utilizzo di forze interne, a partire da un nucleo stabile di tre docenti: l’insegnante di scienze sociali, l’islamologo, il mediatore culturale di lingua araba. Abbiamo toccato soprattutto i temi delle libertà, dei diritti e dei doveri che definiscono la dignità e l’identità del cittadino, inclusa la libertà religiosa. In tutti questi ambiti si cerca di mostrare i punti comuni tra i vari documenti esaminati, anche alla luce delle antiche tradizioni alle quali ho fatto cenno. Per altro verso vogliamo mostrare anche le differenze, cosa indispensabile perché le persone capiscano meglio l’identità del Paese nel quale si sono trasferiti. La comparazione tra testi, l’utilizzo stabile della lingua araba come seconda lingua “ufficiale” del corso, il ricorso a materiali video scaricati dal web arabo, così come collegamenti video (registrati) con qualche esponente arabo della cultura e della politica, servono a stimolare l’interesse per i temi trattati, a fare sentire gli studenti-detenuti protagonisti delle lezioni.

 

 

Il “grandangolo” che salva dal radicalismo

 

Il lavoro sulle Costituzioni intende stimolare il recupero di un senso politico alto, di una consapevolezza civica, del desiderio di pensare alla società nel suo complesso. Si tratta di un altro modo di allargare gli orizzonti, parallelo a quello descritto precedentemente, ed è molto importante anche per la psicologia del detenuto, che vive schiacciato nel suo problema. Lo sforzo è dunque quello di aiutarlo a uscire da questa cella, ancora più stretta di quella materiale, verso una società intrinsecamente plurale. Questo movimento dallo zoom al grandangolo, per usare una metafora fotografica, è decisivo anche per smontare i meccanismi del radicalismo religioso, che per sua natura si concentra in modo ossessivo e assoluto su poche cose, sfocando tutto il resto, fino a cancellarlo.

 

Per aiutare gli studenti a fare “grandangolo”, abbiamo innanzitutto lavorato per stimolare il passaggio da una prospettiva strettamente dogmatica, che spinge inevitabilmente verso l’opposizione tra categorie sentite come inconciliabili (per esempio legge di Dio/legge degli uomini), a una prospettiva storica e geografica, segnata dall’intensa dialettica tra sharī‘a e siyāsa (legge religiosa e politica terrena), tra la visione idealizzata di una comunità “religiosamente realizzata” in alcuni specifici ambiti (culto, diritto di famiglia) e l’organizzazione molto più “laica” della società nel suo complesso. Inoltre ci siamo impegnati a incentivare la comprensione del fatto che sharī‘a e giurisprudenza islamica si sono sviluppate in modo articolato, dialettico e non monolitico e abbiamo invitato a una messa a fuoco più accurata del peso negativo esercitato da tradizioni locali, magari preislamiche, rivestite di sacralità religiosa (lo si vede particolarmente nel campo delle discriminazioni di genere). Infine abbiamo incoraggiato la riflessione sull’edificazione di un “Islam europeo”, progetto in base al quale non si tratta di trapiantare semplicemente pezzi di Tunisia o Marocco a Milano o Parigi, ma di rimodellare identità che integrino il dato europeo nel deposito di partenza.

 

L’ultimo passaggio di DDS consiste nel laboratorio di scrittura: alla fine del percorso i detenuti sono stati cioè invitati a descrivere e scrivere il bene. Tutte le lezioni erano infatti aggredite da una critica costante dei partecipanti: le parole delle Costituzioni non sono altro che parole… vuote. C’è una parte di verità, poiché la mancata applicazione delle leggi è un problema oggettivo. A ciò si aggiunge il sentimento soggettivo di un pessimismo distruttivo, a cui va però aggiunto, più in positivo, l’anelito profondo a un’autenticità della vita politica e sociale, il desiderio di vedere realizzato ciò che è stato deciso e scritto. Allora trasformiamo tutto questo travaglio interiore in una sfida allo studente: «Mettiti tu nei panni del legislatore!» Una sfida che può apparire paradossale: scrive la legge colui che l’ha violata. Ma è proprio la caduta nell’illegalità ciò che mette una persona nella condizione di percepire in modo più chiaro qual è la via buona e legale, anche se non ha la forza di percorrerla.

 

Un regista di documentari sociali, Marco Santarelli, ha seguito con la sua telecamera tutta la prima edizione di DDS, ricavandone il film Dustur (Costituzione) che ha girato per l’Europa ed è stato premiato in numerosi festival internazionali, tra cui quelli di Torino, Milano e Parigi. Richieste di proiezione sono giunte anche dalla Turchia e dalla Tunisia.

scrittura cost10.jpgDiscussione durante il progetto DDS

 

Oltre l’intelligence

 

Merita infine di essere segnalato che l’esperienza maturata in questi anni nel cantiere DDS sembra avviarsi a uno sviluppo europeo. Tale sviluppo è legato all’investimento che lo Studio Diathesis di Modena (una realtà che opera nel campo della progettazione e della consulenza, e che ha fornito le informazioni che seguono) ha deciso di fare sull’esperienza sopra illustrata. Sulla base di una analisi dei vari comparti metodologici e contenutistici di DDS e dei primi risultati da esso ottenuti, Diathesis ha proceduto ad una elaborazione che approfondisce ed amplia la best practice fatta alla “Dozza”, nella quale vengono coinvolte altre realtà sensibili a questo tema. Ciò ha portato alla messa a punto di un progetto triennale (dicembre 2016 – dicembre 2019) che è stato approvato dal programma europeo “Erasmus plus”.

 

Il progetto si muove lungo le linee sperimentate, mira cioè a costruire un approccio alla questione del radicalismo religioso che non confidi soltanto negli interventi di intelligence ma che, guardando più lontano, si impegni a costruire le condizioni per poter operare anche sul versante educativo. Questa prospettiva è già contenuta nel suo titolo: “Rigths, Duties, Solidariety: European Constitutions and Muslim Immigration”.

 

Come è nella natura di questo tipo di progetti, sono previsti partenariati tra i Paesi europei, che nella fattispecie sono l’Italia, la Germania, la Spagna e la Romania. Più precisamente, le attività previste nel progetto, con la regia di Diathesis, sono state messe in atto in Italia, dal Centro per l’Istruzione degli adulti di Bologna (già responsabile di DDS alla Dozza) e dal Gruppo Ceis di Modena; in Germania, dalla Scuola superiore di Cham (un comune della Baviera); in Spagna, dall’Associazione Ambit di Valencia; in Romania, dall’Associazione per la formazione permanente di Timisoara e dalla Fondazione Professional di Singeorgiu de Mures (un comune della Transilvania).

 

Quanto alle attività previste, i promotori segnalano due aspetti di fondo, che sviluppano e portano avanti l’esperienza bolognese ed esprimono la spiccata valenza educativa del progetto europeo: anzitutto il fatto che le sue attività non si rivolgeranno soltanto agli immigrati in condizione di detenzione (come in DDS), ma riguarderanno anche gli immigrati che accedono agli organismi ordinari operanti nel circuito dell’istruzione degli adulti; in secondo luogo, le attività non si rivolgeranno soltanto agli immigrati, ma anche al personale dei centri di formazione coinvolti, in modo che questi possano sostenere stabilmente azioni e iniziative su questo delicato terreno dell’integrazione culturale e civica degli immigrati.

 

DDS ha fatto da “apripista” nel corso di un biennio, producendo alcuni incoraggianti risultati. La sua “versione europea” ha preso il via grazie all’impegno di nuovi soggetti e protagonisti, con finalità ben più ambiziose e un campo d’azione ben più vasto. Ci sarà occasione per verificarne gli esiti, nella speranza siano altrettanto e maggiormente incoraggianti, al fine di procedere ulteriormente sulla pista dell’educazione come più efficace prevenzione ai rischi della radicalizzazione. Quando si modificano le idee nutrite dai soggetti “a rischio”, vengono automaticamente meno i pericoli dei quali essi sono potenziali o attuali portatori.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Ignazio de Francesco, Quando i pericoli diventano opportunità, «Oasis», anno XIV, n. 28, novembre 2018, pp. 120-127.

 

Riferimento al formato digitale:

Ignazio de Francesco, Quando i pericoli diventano opportunità, «Oasis» [online], pubblicato il 23 novembre 2018, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/radicalizzazione-quando-pericoli-diventano-opportunita.

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