L’idea di una “eccezione marocchina” è stata smentita dagli attentati di Casablanca del 2003. Tuttavia, grazie a una serie di riforme in ambito religioso, il Marocco sembra essersi riappropriato della sua immagine di potenziale modello, e sta provando a esportarlo anche in Europa

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:57:33

La monarchia marocchina tende a considerarsi come una sorta d’eccezione rispetto ai suoi vicini musulmani e arabi, a causa della presunta assenza di conflitti di ispirazione religiosa al suo interno. L’idea di una “singolarità marocchina” è stata brutalmente smentita dagli attentati di Casablanca del 2003, perpetrati da jihadisti islamici locali. Tuttavia, grazie a una serie di riforme messe in atto nell’ambito religioso, il Marocco sembra essersi riappropriato della sua immagine di potenziale modello, provando a esportarla anche in Europa.

 

Per spiegare la differenza che intercorre tra il Marocco e gli altri Paesi musulmani nelle relazioni tra politica, potere e religione si citano spesso la storia dell’Islam marocchino e le sue specificità. Secondo un membro del Ministero degli Habous e degli Affari Islamici, «Il Marocco presenta una specificità marocchino-andaluso-africana, arabo-berbera, una miscela da cui deriva una specifica mentalità, un modo di vedere le cose, una [sorta di] tolleranza»[1]. Da un punto di vista teologico, studiosi e autorità pubbliche riconducono questa presunta propensione alla tolleranza alla triade delle tradizioni islamiche nazionali: la scuola malikita di giurisprudenza islamica (maddhab), il credo teologico asharita (‘aqīda) e l’influenza di diverse forme di sufismo. Questa combinazione teologica è stata mobilitata dallo Stato per contrastare quello che è stato percepito come il convitato di pietra degli attacchi del 2003: la crescita eccessiva del salafismo wahhabita di matrice saudita nel Paese, descritto come estraneo alle tradizioni religiose del Marocco. L’attuale Re Mohammed VI ha infatti ribadito l’importanza di queste tradizioni nazionali islamiche nel garantire la “tranquillità e la sicurezza spirituale” dei musulmani marocchini, in patria come all’estero, ottemperando così alla sua posizione ufficiale di “Comandante dei credenti” (amīr al-mu’minīn)[2].

 

La possibilità di estendere questa visione statale della tolleranza religiosa e della sicurezza spirituale anche ai membri della diaspora marocchina ha assunto un’importanza crescente a partire dalle prime grandi ondate di lavoratori migranti partiti per l’Europa occidentale negli anni ʼ60 del Novecento. Oggi si possono trovare immigrati marocchini e loro discendenti in ogni Paese dell’Europa occidentale. Essi rappresentano i principali gruppi demografici provenienti dall’immigrazione in Francia, Olanda e Belgio e, più recentemente, sono diventati le minoranze più consistenti anche in Spagna e in Italia. Contestualmente allo sviluppo di queste comunità diasporiche, lo Stato marocchino ha progressivamente elaborato politiche religiose volte a garantire la cura religiosa dei marocchini all’estero, con l’invio di imam durante il mese di Ramadan fino all’erogazione diretta di finanziamenti per la costruzione di moschee e per le associazioni islamiche nei Paesi stranieri. In che misura, tuttavia, queste politiche religiose promosse dallo Stato sono state adattate ai contesti europei e quanto potranno incidere sulla costruzione di un Islam europeo?

 

Una nuova politica per una diaspora in crescita

 

Malgrado la loro specificità, le politiche religiose del Marocco verso l’estero vanno lette nel contesto più ampio dell’evoluzione, negli ultimi decenni, dell’atteggiamento verso la diaspora. Come hanno osservato molti studiosi, dagli anni ’60 fino agli anni ʼ90, il Marocco ha considerato i suoi emigranti nel migliore dei casi come utili fonti di valuta estera e, nel peggiore, come potenziali fonti di agitazioni e di sedizioni politiche[3]. Durante questi primi decenni, lo Stato ha fatto molto poco per aiutare i suoi cittadini all’estero, cercando piuttosto di elaborare un sistema di supervisione e controllo nella forma di una rete di associazioni chiamate Amicales. L’identità marocchina era vista come bisognosa di protezione e lo stesso Re Hassan II reagiva con ostilità al fatto che i marocchini all’estero si stessero integrando nei Paesi ospitanti. Ancora nel 1989, il re affermava che partecipare alle elezioni francesi avrebbe potuto essere visto come un «tradimento delle proprie origini»[4].

 

La creazione, nel 1990, della Fondazione Hassan II per i Marocchini Residenti all’Estero e del Ministero della Comunità Marocchina Residente all’Estero, segnò l’inizio di un cambiamento fondamentale nelle relazioni tra il Marocco e la sua diaspora. Nel corso degli anni ʼ90, lo Stato marocchino cominciò a percepire le proprie comunità all’estero come una risorsa in senso più lato. Ciò riflette un più generico cambiamento verso quella che Ragazzi ha chiamato una forma di “diasporic governmentality”, attraverso la quale Stati con alti tassi di emigrazione cercano di stabilire legami più forti con la diaspora e di ridefinirsi come “nazione globale”[5].

 

Col passare del tempo, l’Islam è diventato il fronte avanzato di questo sforzo dello Stato di intensificare i legami tra i marocchini residenti all’estero e la loro terra d’origine. Eppure, la religione aveva originariamente ricevuto scarsa attenzione dalle autorità dello Stato, le quali normalmente non andavano oltre l’invio di piccole delegazioni di imam nei Paesi dell’Europa occidentale durante il mese di Ramadan. La sfera religiosa all’estero si basava per lo più su reti famigliari informali che si occupavano di reclutare imam per le nuove moschee e sale di preghiera, mentre l’influenza di correnti marocchine più marcatamente politiche come la Gioventù islamica di Abdelkrim Mouti‘ e al-‘Adl wa’l-Ihsān (Giustizia e Carità) di Abdessalam Yassine si faceva sentire sporadicamente. Al contrario, in Europa occidentale marocchini di seconda generazione erano sempre più coinvolti in movimenti panislamici come l’apolitico Tabligh o in gruppi affiliati a diverse correnti dei Fratelli musulmani.

 

Com’era prevedibile, le autorità marocchine hanno reagito in modo molto più perentorio quando hanno percepito che alla competizione religiosa avrebbe potuto partecipare l’Algeria ‒ loro eterna rivale ‒, come nel caso della moschea di Évry-Courcouronnes nella periferia meridionale di Parigi. La moschea di Évry fu completata nel 1990 dopo una raccolta fondi decennale da parte di un gruppo di immigrati marocchini, che inizialmente si erano assicurati l’aiuto finanziario dell’Arabia Saudita, in misura minore del Kuwait e in seguito della neo-istituita Fondazione Hassan II[6]. Tuttavia, una serie di conflitti tra i responsabili della moschea fece balenare lo spettro di una conquista della moschea da parte di gruppi vicini all’Algeria. Questo spinse l’ambasciatore marocchino a inviare in patria una lettera corredata da un piano d’azione intitolato “Il salvataggio dell’Islam marocchino in Francia”[7]. Non molto tempo dopo, le autorità marocchine riuscirono a cooptare la Federazione Nazionale dei Musulmani Francesi (FNMF), un’associazione nata come organizzazione multi-etnica per creare un contrappeso al monopolio che l’Algeria aveva ottenuto con il controllo della Grande Moschea di Parigi[8]. Negli anni successivi, il Marocco avrebbe progressivamente trasferito il suo sostegno diplomatico e finanziario dalle Amicales a una rete di associazioni islamiche marocchine che andavano nascendo in tutto il Paese.

 

Anche se sempre attuale nel caso della Francia, il paradigma della rivalità algero-marocchina nella sfera religiosa è andato declinando con la diversificazione dello scenario europeo. Già tra il 2000 e il 2010, i leader musulmani e le associazioni islamiche marocchine erano ben impiantati in Belgio e in Olanda, in dialogo diretto con le autorità statali nella tedesca Islamkonferenz, a capo della Grande Moschea di Roma (la più grande d’Europa) e, dalla loro base di Barcellona, stavano profondamente ridisegnando il panorama islamico della Spagna. Inoltre, nel 2008, Re Mohammed VI fondò il Consiglio Europeo degli Ulema marocchini (CEOM) a Bruxelles e a Rabat, con l’obiettivo di ottenere un migliore coordinamento delle associazioni islamiche marocchine nel continente. Queste evoluzioni all’estero hanno avuto luogo sulla scia di una serie di sviluppi in patria, che avrebbero posto le basi per la crescita e il rafforzamento della presenza sovranazionale dello Stato marocchino nella sfera religiosa islamica dell’Europa occidentale.

 

 

La riorganizzazione della sfera religiosa in Marocco

 

In seguito al trauma degli attentati di Casablanca, nel 2004 Re Mohammed VI pronunciò un discorso in cui annunciava la riorganizzazione ufficiale della sfera religiosa. L’ampia serie di riforme lanciate dalla monarchia ha avuto un forte impatto sulle istituzioni del Paese: esse hanno portato alla creazione di nuovi dipartimenti della burocrazia religiosa all’interno del Ministero degli Habous e degli Affari Islamici, riorganizzato le istituzioni educative islamiche e i loro curricula, stabilito un monopolio delle fatwe al livello dell’Alto Consiglio degli Ulema, istituzionalizzato la posizione delle predicatrici donne (murshidāt) nell’amministrazione statale e avviato un massiccio programma di formazione per i circa 46.000 imam presenti nel Paese[9]. Uno dei cambiamenti più rilevanti introdotti da queste riforme è stata la crescita della presenza formale dello Stato nella sfera religiosa e la “burocratizzazione” degli imam e delle altre autorità religiose come funzionari statali[10].

 

Data la natura sovranazionale della sfera religiosa marocchina, sarebbe stato strano che la diaspora non rientrasse in queste riforme. Uno dei cambiamenti più significativi è stato l’accentramento di tutte le attività religiose all’estero sotto l’egida del Ministero degli Habous e degli Affari Islamici, guidato dal 2002 da Ahmed Toufiq, professore universitario e membro dell’ordine Sufi Qādiriyya Budshīshiyya. Ogni anno è andata aumentando la consistenza delle delegazioni di imam inviate per il mese di Ramadan, che attualmente includono più di 500 individui, la maggior parte dei quali sono recitatori coranici, ma anche predicatori, predicatrici e professori di teologia. Le delegazioni vengono inviate in decine di Paesi in tutto il mondo, ma principalmente in Europa occidentale, dove le associazioni islamiche vicine allo Stato marocchino aiutano l’organizzazione e il coordinamento delle loro attività. Dal 2010, il Ministero degli Habous destina circa 10-11 milioni di euro annuali ai progetti di costruzione delle moschee e alle associazioni islamiche all’estero.

 

Se le delegazioni di Ramadan e i contributi finanziari annuali rappresentano uno spiegamento impressionante delle politiche religiose per la diaspora, vale la pena chiedersi quale impatto concreto abbiano sullo sviluppo dell’Islam in Europa occidentale. Per esempio, visto che gli imam inviati in occasione del Ramadan non si fermano più di un mese e spesso passano il proprio tempo a viaggiare tra le diverse comunità legate alle moschee, è improbabile che la loro influenza si estenda oltre questi periodi festivi. Nel caso del finanziamento diretto invece, sembra che a volte siano state fissate delle condizioni, ad esempio la preservazione del “carattere marocchino” della moschea nel caso della Grande Moschea di St-Étienne in Francia[11]. Ciò nonostante, lo Stato marocchino non ha la capacità di intervenire nella sfera religiosa fuori dai suoi confini con la stessa autorità sovrana che ha in patria. Di conseguenza, se i politici dell’Europa occidentale possono criticare la “longa manus del Re del Marocco”, le associazioni delle moschee all’estero non possono essere costrette a obbedire agli ordini provenienti da Rabat[12].

 

Al contrario, ci si potrebbe persino domandare, come ha fatto una deputata marocchina nel 2017 nel corso di un’interrogazione parlamentare[13], se il personale religioso inviato all’estero abbia la formazione necessaria per comprendere le realtà vissute dai marocchini della diaspora. Infatti, mentre lo Stato si preoccupa di scartare gli imam e i predicatori che hanno visioni non conformi alla politica ufficiale dello Stato, come ad esempio quelli considerati vicini alle correnti islamiste o al movimento Giustizia e Carità, esso non chiede loro di avere grandi conoscenze pregresse degli Stati in cui vengono mandati. Di conseguenza, per rispondere a questo genere di critiche lo Stato ha lanciato diversi nuovi programmi.

 

Innanzitutto, il Ministero degli Habous impiega in Francia 30 imam su base semi-permanente grazie a un accordo interstatale raggiunto nel 2008. Questa nuova politica sembra imitare le politiche per la diaspora praticate dalla Turchia e dall’Algeria, aprendo a una migliore comprensione in loco dei bisogni e delle richieste dei marocchini musulmani all’estero. Questo stabilisce inoltre un ulteriore livello di controllo sul contenuto e sulla forma di ciò che viene detto nelle moschee all’estero. Talvolta la supervisione della sfera religiosa estera esercitata dal Paese di origine può risultare piuttosto efficace: quando nel 2012 le autorità marocchine hanno cominciato a percepire che i loro ex partner del Rassemblement des Musulmans de France (RMF) si erano avvicinati troppo al partito islamista marocchino Giustizia e Sviluppo (PJD), non hanno perso tempo e li hanno sostituiti con una nuova struttura associativa nazionale, creando l’anno seguente l’Unione delle Moschee Francesi (UMF).

 

In secondo luogo, la fondazione nel 2008 del Consiglio Europeo degli Ulema Marocchini (CEOM) ha avuto anche l’obiettivo di contribuire alla «istituzione di un riferimento religioso marocchino in Europa a beneficio della comunità marocchina musulmana»[14]. Il CEOM organizza seminari ed eventi con associazioni partner in tutta l’Europa occidentale, concentrandosi in particolare su seminari di formazione per gli imam. Questi, a differenza delle delegazioni per il Ramadan, sono pensati per essere inclusivi e non per «preoccuparsi dell’identità [religiosa] o dell’affiliazione degli imam»[15]. La composizione dello stesso Consiglio riflette questo miscuglio di prospettive teologiche, il cui comune denominatore è il nazionalismo: il CEOM riunisce infatti teologi di formazione saudita e il figlio del capo della confraternita Budshīshiyya, così come membri meno formati negli studi islamici ma con una considerevole esperienza di figure religiose nei Paesi dell’Europa occidentale.

 

Infine, ma forse soprattutto, l’Istituto Muhammad VI per la formazione di Imam, Murshidīn e Murshidāt (guide religiose, uomini e donne), fondato recentemente, accoglie dal 2015 studenti francesi di origine marocchina grazie a un accordo tra il presidente François Hollande e le autorità marocchine. Gli studenti franco-marocchini ricevono borse di studio integrali e si preparano con programmi appositamente elaborati per permettere loro, una volta tornati in patria, di occupare ruoli di leadership religiosa. Gli studenti francesi si aggirano tra i 30 e i 50, un numero esiguo rispetto a quello dei marocchini e di altri studenti stranieri (comprese le centinaia provenienti dai paesi dell’Africa occidentale). Tuttavia, questi leader religiosi nati in Europa e formatisi in Marocco rappresentano un fattore significativo e che inciderà sullo sviluppo delle autorità islamiche nell’Europa occidentale. In modo analogo, l’Università Qarawiyyin di Fes, che è legata al Ministero degli Habous e supervisiona l’Istituto Muhammad VI per la formazione degli imam, nel 2017 ha firmato un accordo con l’Università di Siena per poter partecipare alla formazione dei musulmani italiani[16].

 

Malgrado i numerosi ostacoli, la recente politica religiosa marocchina per la diaspora ha tentato di adattarsi alle realtà dell’Europa occidentale in cui vivono i marocchini musulmani. Queste iniziative politiche sono pensate per conseguire una serie di obiettivi complementari: l’istituzionalizzazione di una presenza in loco delle autorità religiose marocchine all’estero più diretta e costante; il controllo sugli intermediari della diaspora (associazioni legate alle moschee e federazioni islamiche) tramite sussidi finanziari e l’invio di personale religioso; l’influenza sullo sviluppo dell’Islam all’estero tramite la formazione delle prossime generazioni di leader religiosi. Quale potrebbe essere allora il contributo del Marocco a un Islam europeo che vada oltre la semplice riaffermazione del nazionalismo marocchino?

 

 

Dall’Islam marocchino all’Islam europeo

 

Da un punto di vista teologico, è ancora difficile immaginare il profilo di un “Islam europeo”. Quale scuola di giurisprudenza seguirà? Ci sarà davvero una giurisprudenza delle minoranze? A quali autorità darà ascolto per stabilire le date di inizio di Ramadan?

 

La risposta più ovvia è che in Europa ci sarà tanta diversità teologica quanta se ne trova in qualsiasi altra società musulmana. Tuttavia, lo sviluppo in Europa occidentale di sfere religiose transnazionali distinte, frammentate lungo linee etniche e linguistiche ma situate all’interno di un contesto generalizzato di un Islam minoritario, porta a chiedersi in che misura questa diversità sarà semplicemente il riflesso delle origini nazionali dei migranti e dei loro discendenti. Hashas, seguendo studiosi come Nielsen, afferma con forza che i musulmani europei si trovano nel bel mezzo della creazione di una loro teologia plurale, uno dei cui tratti caratteristici è la razionalizzazione dell’etica religiosa[17]. Jouili, in modo simile, richiama l’attenzione su come alcuni concetti islamici centrali come la maslaha (“interesse comune”) e la ricerca del bene comune (istislāh) vengano re-impiegati dalle donne musulmane in Germania e in Francia come strumento confessionale e però razionale per comprendere le azioni e le relazioni di un musulmano nei confronti della maggioranza non-musulmana[18].

 

Nel caso del Marocco, le autorità religiose dello Stato tendono a insistere sul fatto che la scuola malikita attribuisce una particolare importanza alle tradizioni delle comunità locali e al concetto della maslaha rispetto a interpretazioni più rigide e letterali. Aggiungono anche che è grazie a questa flessibilità che l’Islam si è adattato così bene alla popolazione multi-etnica del Marocco e che potrebbe fare altrettanto nel contesto europeo[19]. Il Consiglio per la Comunità Marocchina all’Estero ha persino organizzato una conferenza internazionale e pubblicato un libro dedicato alla questione dei possibili modelli di Islam in Europa e al ruolo potenziale dell’Islam marocchino[20]. In modo complementare, Halverson ha sostenuto che la valorizzazione asharita del pensiero razionale abbia il potenziale di creare nuovi spazi per l’interpretazione (ijtihād) e il rinnovamento (tajdīd), all’opposto di quanto avviene con le visioni letteraliste e conservatrici promosse dai movimenti salafiti wahhabiti, ma in modo abbastanza simile ai casi delle donne europee musulmane analizzati da Jouili[21].

 

In un mondo ideale, questi pochi casi potrebbero rappresentare esempi di come le tradizioni religiose marocchine potrebbero contribuire allo sviluppo teologico dell’Islam europeo. Tuttavia, è importante considerare che, quando una religione è legata allo Stato, essa dipende dalle mutevoli contingenze degli interessi statali quanto qualsiasi altro elemento delle politiche pubbliche. In passato, infatti, il Marocco non ha esistato a sostenere il salafismo wahhabita nel tentativo di reprimere i movimenti di sinistra degli anni ʼ70 e ʼ80. Allo stesso tempo, malgrado le preoccupazioni dei legislatori dell’Europa occidentale, l’influenza di Paesi come il Marocco nello spazio religioso estero rimane piuttosto debole. È vero che il Marocco potrebbe giocare un ruolo chiave nel creare dei quadri di riferimento per le sue comunità della diaspora, e questo potrebbe fungere da sorgente di capitale simbolico e monetario. Tuttavia, questa realtà strutturale non riduce la libertà d’azione delle persone coinvolte: alla fine l’Islam europeo sarà il riflesso di ciò che milioni di musulmani europei faranno della propria fede.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

[1] Intervista al membro del Gabinetto responsabile della comunità all’estero, Ministero degli Habous e degli Affari Islamici (Rabat, 30 maggio 2011).

[2] Regno del Marocco, Dahir n. 1-08-17 du 20 chaoual 1429 (20 octobre 2008) portant organisation du Conseil marocain des ouléma pour l’Europe «Bulletin officiel» (n. 5688, dicembre), pp. 1642–44.

[3] Per un approfondimento si veda Abdelkrim Belguendouz, Le traitement institutionnel de la relation entre les Marocains résidant à l’étranger et le Maroc, Working Paper, European University Institute, 2006, http://cadmus.eui.eu/handle/1814/6265 e Laurie A. Brand, Citizens Abroad: Emigration and the State in the Middle East and North Africa, Cambridge University Press, Cambridge 2006.

[4] Hein de Haas, Between Courting and Controlling: The Moroccan State and “Its” Emigrants, University of Oxford COMPAS Working Paper n. 54, 2007, https://bit.ly/2PbNy1L.

[5] Francesco Ragazzi, Governing Diasporas, «International Political Sociology», vol. 3, n. 4 (2009), pp. 378-397 (per le citazioni pp. 378, 384).

[6] Khalil Merroun e Isabelle Lévy, Français et musulman: est-ce possible?, Presses de la Renaissance, Paris, 2010.

[7] Si veda Mustapha Tossa, Sauver l’islam ‘marocain’ en France, «Maroc Hebdo International», 2 novembre 1996.

[8] Bernard Godard e Sylvie Taussig, Les musulmans en France. Courants, institutions, communautés : un état des lieux, Hachette, Paris 2007, pp. 246-247.

[9] Per un approfondimento si veda Mohammed al-Katiri, The Institutionalisation of Religious Affairs: Religious Reform in Morocco, «Journal of North African Studies», vol. 18, n. 1 (2013), pp. 53-69.

[10] Ann Marie Wainscott, Bureaucratizing Islam: Morocco and the War on Terror, Cambridge University Press, Cambridge 2018.

[11] Centro Socio-Culturale marocchino Saint-Étienne, Statuts du centre socio-culturel marocain de Saint-Étienne, 2012, https://bit.ly/2NQ4jLl.

[12] Kamer wil geen extra imams uit Marokko, «Volkskrant», 17 luglio 2008, https://bit.ly/2Aimt4F.

[13] La domanda è stata posta dalla parlamentare marocchino-belga Latifa El Hammoud. Si veda https://bit.ly/2P7Wvcu.

[14] Regno del Marocco, Dahir n. 1-08-16 du 20 chaoual 1429 (20 octobre 2008) modifiant et complétant le dahir n. 1-03-300 du 2 rabii I 1425 (22 avril 2004) portant réorganisation des conseils des oulémas, «Bulletin officiel» (n. 5688, dicembre), 2008, pp. 1641–42.

[15] Intervista con il Segretario Generale del Consiglio Europeo degli Ulama marocchini (CEOM), Parigi, 15 luglio 2013.

[16] Michele Brignone, Il Marocco formerà i musulmani italiani ad Arezzo, 14 dicembre 2017, https://bit.ly/2ytGR1v.

[17] Mohammed Hashas, The Idea of European Islam: Religion, Ethics, Politics and Perpetual Modernity, Routledge, New York 2019, p. 203.

[18] Jeannette S. Jouili, Pious Practices and Secular Constraints: Women in the Islamic Revival in Europe, Stanford University Press, Stanford 2015.

[19] Intervista con il Segretario Generale del Consiglio per la comunità marocchina all’estero, Rabat, 9 giugno 2011 e con un membro del Consiglio d’amministrazione dell’Istituto Reale della Cultura Amazigh (IRCAM), Rabat, 8 giugno 2011.

[20] Consiglio della Comunità Marocchina all’Estero (CCME), Islam en Europe: quel modèle ? Actes du colloque international organisé par le Conseil de la communauté marocaine à l’étranger, Éditions Marsam, Rabat 2011.

[21] Jeffry R. Halverson, Theology and Creed in Sunni Islam. The Muslim Brotherhood, Ash’arism, and Political Sunnism, Palgrave, New York 2010.

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Benjamin Bruce, La via marocchina all’Islam europeo, «Oasis», anno XIV, n. 28, novembre 2018, pp. 45-53.

 

Riferimento al formato digitale:

Benjamin Bruce, La via marocchina all’Islam europeo, «Oasis» [online], pubblicato il 20 novembre 2018, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/via-marocchina-all-islam-europeo.

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