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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:03

«Il Golfo» è un modo conveniente per descrivere un'area geografica che ci piace immaginare come un'entità con una propria identità; tuttavia, come tutti i riferimenti cartografici, anche quest'espressione possiede limitazioni definite che si manifestano quando desideriamo descrivere il carattere di un'area vasta e variegata, e ancor più quando vogliano dettagliare fenomeni sociali. È importante riconoscere che il termine comprende sette paesi: Kuwait, Arabia Saudita, Yemen, Oman, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Qatar. Anche se naturalmente essi hanno in comune alcune linee generali - a causa del clima e della religione (e al riguardo dobbiamo ricordare che l'Islam non esercita un influsso monocromo e uniforme, perché in questa religione ci sono differenti accenti ed espressioni) -, le storie estremamente diverse di questi paesi hanno lasciato evidenti tracce nelle loro società; come nazioni distinte e sovrane, nel senso moderno del termine, esse non esistono poi che da un centinaio d'anni, e nel caso di alcune da meno di quaranta. Si tratta quindi soltanto di un modo generale e molto frettoloso di esprimersi e si potrebbe dire che il termine Golfo implica tanta varietà tra le sue società quanta ne manifestano il termine Europa o Sud America. Guardando perciò a queste società per estrapolare atteggiamenti e situazioni simili tra loro, non dovremo dimenticare le molte dissomiglianze che esistono e pertanto dovremo evitare d'essere troppo precipitosi nell'attribuire a una società una situazione che abbiamo osservato in un'altra. Che queste differenze non siano insignificanti lo può forse indicare l'esempio di Dubai, che rappresenta una delle più gettonate destinazioni turistiche (con Mascate, Bahrain e Qatar subito dietro, all'inseguimento), mentre l'Arabia Saudita non lo è affatto. Nel rispondere a domande su popolazioni migranti c'è inoltre un'ulteriore difficoltà da considerare, che cioè i dati sulla popolazione non sono di facile accesso e, di fatto, sono in gran parte frutto di congetture, magari intelligentemente deduttive, ma raramente basate su statistiche indiscutibili, dal momento che i governi forniscono pochi dati. Questo è forse dovuto a un comprensibile timore di svelare una grande debolezza, ma indicare un motivo non rende il compito più facile da analizzare. Per quanto riguarda gli immigrati, i paesi del Golfo sono, a quanto sembra, tra i più vari al mondo. Può darsi che in termini di cittadini stranieri essi non siano molto più diversificati nella loro popolazione di quanto lo siano altri paesi verso cui si dirigono le persone in cerca di una vita migliore, ma è importante ricordare che qui gli immigrati possono costituire la maggioranza della popolazione totale di un paese. Gli stati del Golfo possono perciò "sentirsi" più internazionali. Anche se è certamente vero che esistono quelli che si possono chiamare, con solo una leggera estensione del significato del termine, "ghetti", in molti paesi occidentali, essi sono nondimeno innestati in una società locale, il cui scopo è, alla fine, di assorbirli in modo organico. Ciò con la consapevolezza, e talora con la benaccetta consapevolezza, che la società ospite sarà in qualche modo mutata, ma sempre con il presupposto - forse infondato? - che la cultura locale prevarrà. La domanda centrale è che cosa significhi il termine "immigrato". Nella maggior parte dei paesi del mondo questa parola denota una persona che proviene da un altro stato, non solo per assumere una seconda residenza, ma per stabilirvisi e adottare la cittadinanza di questa nazione. Nei paesi del Golfo questo di solito non è possibile. In primo luogo le popolazioni locali sarebbero certamente spazzate via. L'immigrazione agirebbe come un'onda di marea, perché se la popolazione locale in alcuni paesi rappresenta attualmente meno del 20% del totale, con l'ulteriore stimolo di una possibile cittadinanza l'invasione diverrebbe inarrestabile. Se qualche volta vogliamo criticare i governi del Golfo per le politiche d'immigrazione restrittive e persino draconiane che adottano, dovremmo fermarci e pensare quale sarebbe l'atteggiamento di alcuni paesi europei se i propri cittadini fossero superati in un rapporto di 5 a 1, o anche più, da parte della popolazione immigrata. Un secondo importante fattore è la religione. Anche se alcuni non-musulmani hanno ottenuto il passaporto del paese che li ospita, si tratta di eccezioni. È difficile immaginare che grandi gruppi di non-musulmani possano ricevere questo privilegio in paesi in cui anche il culto cristiano o non è permesso o è tollerato, ma con severe restrizioni. L'Islam, come il Cristianesimo, è una religione attivamente missionaria e perciò è possibile cambiare. Ma solo in una direzione! In altre parole, i non-musulmani possono diventare musulmani e questo presumibilmente gioverebbe alla loro assimilazione. La religione è così potente, tuttavia, che anche se è possibile cambiare fede, la strada è percorribile solo per i non-musulmani. I musulmani non possono. Questo fatto andrebbe tenuto presente quando si soppesa l'importanza della religione rispetto a una popolazione immigrante. Certamente in alcune società, ad esempio in Arabia Saudita, esistono grandi pregiudizi (razziali e religiosi), ma essi sono di gran lunga minori in altre, come ad esempio a Dubai. Tuttavia le cose non sono uniformi in nessuna società del Golfo: le autorità e le persone che hanno studiato sono piuttosto tolleranti, presumibilmente anche in Arabia Saudita, se uno bada bene a che cosa si intende per tollerante (cioè, a patto di non introdurre nulla che minaccerebbe la compattezza religiosa e culturale della società), ma la massa della popolazione lo è in misura minore. L'operato e gli scopi del GCC (1) stanno gradualmente assicurando maggiore uniformità, introducendo regole per standardizzare leggi e pratiche, ma le condizioni e i comportamenti locali variano considerevolmente, com'è ovvio che sia, in relazione alle necessità di sviluppo di paesi differenti. Perciò pregiudizi e razzismo sono diffusi, anche se talvolta solo allo stadio latente. I cristiani e gli altri non-musulmani sono tollerati in posti importanti e anche potenti se sanno farsi rispettare per le proprie abilità personali e professionali. Domina qui un approccio pragmatico. Più basso è il gradino occupato nella scala sociale, più pesantemente si possono esercitare i pregiudizi, perché persone di questo tipo sono più facilmente rimpiazzabili. Nella costante ricerca di manodopera a basso costo, i nepalesi sono molto apprezzati per il loro costo ridotto. Naturalmente possono essere assunti e licenziati a piacere. Un ulteriore bacino per conseguire profitti senza badare ai principi sarà senza dubbio fornito dal crescente numero di cinesi. Nel complesso gli occidentali sono apprezzati per la loro abilità professionale e onestà (se possiedono queste qualità) e molti sono impiegati in posti ben retribuiti. Ma occorre ricordare che essi non possono essere scambiati per membri permanenti della società, e possono essere ugualmente, anche se non così facilmente, allontanati se diventano inutili. Non c'è comunque dubbio che ognuno, in qualsiasi parte del mondo, si sente più a suo agio a lavorare con persone della sua stessa cultura. E la cultura, a prescindere da quello che agli europei piace pensare, è in larga misura fondata sulla religione. Nel bene e nel male la nostra memoria comunitaria, la nostra identità e i nostri punti di riferimento sono il prodotto delle tradizioni che derivano dalla nostra storia religiosa. Molti europei possono illudersi che i diritti umani e la giustizia, pietre angolari del loro pensiero circa una società ideale, siano semplicemente il risultato del fatto di essere uomini. Non è così. Si può facilmente ricostruire la storia di questi concetti e le loro radici parlano da sé. Questo non per rivendicare una superiorità della civiltà europea, né di qualsiasi altra civiltà, nel possedere tali caratteristiche, ma semplicemente per affermare che dove le persone si sentono a casa loro sono più a loro agio, e la confusione, che rappresenta una costante minaccia al benessere e all'equilibrio umani, può essere tenuta ragionevolmente a bada. Ogni società la pensa allo stesso modo su questi argomenti e il Golfo non fa eccezione. La situazione si è acuita a causa di un fenomeno recente: gruppi di arabi che lavoravano in Occidente, e specialmente negli Stati Uniti, sono giunti negli Emirati (e presumibilmente anche altrove) sull'onda della sfiducia nei loro confronti che ha seguito l'11 settembre. La nostra esperienza con alcuni di essi è che sono molto intransigenti e adottano un atteggiamento musulmano più estremista della gente locale, essendo determinati a sbarazzarsi, per quanto possibile, dei non-musulmani, in particolare dei cristiani, sui posti di lavoro; quanto meno essi voglio imporre costumi islamici come il velo per tutte le donne. Queste persone tuttavia sono lavoratori migranti come tutti gli altri. La cosa più imponderabile è valutare oggi il grado di influenza che avranno. Gli arabi locali non sono più sprovveduti degli altri, e sapranno probabilmente distinguere quelli che scommettono molto sull'Islam, perché serve ai loro fini, da quelli la cui sincerità e storia personale possono, nel lungo periodo, renderli ospiti indesiderati. Marcare distinzioni e differenze Proprio come i governi non puntano tutto su un unico obiettivo per cercare di evitare il dominio di una razza o di una nazione in una posizione strategica (di commercio o di potere), così anche le imprese commerciali fanno lo stesso. Se per allargare la base di potere devono impiegare non-musulmani, lo faranno, e probabilmente abbastanza di buon grado, perché ci sono leggi che permettono di sbarazzarsi dei lavoratori stranieri con il minimo incomodo per la società. La società in generale riflette la stessa tendenza a marcare le differenze: ogni comunità tende a essere distinta. Si noti, ad esempio, la libertà con cui le persone richiedono negli annunci un impiegato o un inquilino proveniente solo da una particolare razza o paese. Le nostre bacheche in chiesa sono costellate di offerte di alloggio solo per scapoli o famiglie di origine ben specificata. Un approccio di questo tipo non sarebbe pubblicamente possibile in Europa e in altre parti del mondo. Per effetto della generale esplosione nelle comunicazioni nella vita moderna, dei periodi di studio all'estero e dell'arrivo di numerosi operai stranieri, si sono ovviamente aperte maggiori possibilità di trovare una moglie di un'altra nazione, spesso non-araba. In alcuni casi è diventata addirittura una tendenza. I governi sono consci del pericolo, al punto che gli uomini negli Emirati hanno bisogno di permessi speciali per sposare donne non del posto, che possono o no ricevere la cittadinanza. Le donne locali sono assolutamente svantaggiate e ci sono state rumorose - e inefficaci - proteste da parte di donne con mariti stranieri, i cui figli devono avere passaporti stranieri. Un pericolo simile e insidioso è evidenziato nella pratica, quasi universalmente diffusa, di assumere personale di servizio straniero. Lettere ai giornali rivelano la paura che i domestici, e in particolare le baby sitter, possano esercitare una grande influenza sui bambini. Questo è particolarmente temuto nell'ambito della religione. Non si tratta qui semplicemente di altre razze che non si mescolano con gli arabi puri. Le razze non si mescolano molto in nessuna circostanza, eccetto che al lavoro e, dove ciò avviene, non accade in modo molto disteso. Questa mi pare essere qui una caratteristica notevole della società. È pur vero che qualche mescolamento ha luogo, ma ci sono pochi matrimoni misti tra comunità, o persino una reale socializzazione su larga scala. Con reale socializzazione intendo quel tipo di commistione che è il risultato o che conduce ad amicizie aperte e disinteressate, e allo scambio di opinioni franche. La Chiesa è probabilmente il più grande caso di commistione tra razze. Occorre tuttavia tenere presente che tale difficoltà non è soltanto un esempio di distanza razziale e culturale, ma è dovuta anche al fatto che le persone non possono prendere la cittadinanza del paese in cui lavorano e crescono le loro famiglie; perciò devono prevedere di ritornare al loro paese e alla loro società quando arriverà il momento di andarsene. Il risultato è che le persone restano legate al proprio gruppo e avvertono come non necessario lo sforzo di andare oltre. C'è anche un sentimento diffuso che un tale modo di procedere non sarebbe saggio. La mancanza di comprensione tra le culture può trasformare ogni incontro, persino un gesto o un approccio amichevole, in un campo minato. Il sospetto e la paura sono largamente diffusi, non solo tra popolazione ospite e indigena, ma tra gli stessi variegati gruppi di espatriati. Con il desiderio, spesso frutto di responsabilità avvertite su di sé, di trovare lavoro per persone della propria famiglia o nazione o religione, i lavoratori stranieri possono diventare grandi esperti nel far fuori i concorrenti. In tutti i paesi del Golfo esistono diritti fissati dalla legge per il lavoro, ma possono essere applicati e risultare d'aiuto solo con grande difficoltà. Il risultato è inevitabilmente che le persone, anche dopo anni di servizio soddisfacente, possono essere licenziate senza preavviso. Se si ha una famiglia da mantenere e si è trascorso qui un tempo sufficientemente lungo da rendere molto basse le probabilità di trovare lavoro in patria, allora si può facilmente capire che la paura e l'insicurezza divengano emozioni con cui le persone devono imparare a convivere giornalmente. La sicurezza sta nel noto. Non si corre da altre razze, altre religioni, e altre nazionalità per trovare sicurezza. Mondo di incomprensioni Gli arabi non del Golfo non sono necessariamente privilegiati tra gli immigrati. Spesso sono visti come una minaccia più grande alla coesione della società locale rispetto a uno straniero, che è chiaramente estraneo e perciò spesso preferito. Si può fare un paragone con l'importazione della letteratura. Introdurre bibbie e letteratura religiosa è in alcuni posti permesso, ma questi materiali non devono essere in arabo. La tolleranza verso gli arabi non-indigeni dipende largamente dalla loro posizione sociale e professionale e dal loro status finanziario. Molti arabi stranieri sono poveri e in nessun modo privilegiati. Gli arabi cristiani spesso se la passano male perché gli arabi musulmani che non conoscono la storia presuppongono che arabo e musulmano siano naturalmente sinonimi; i cristiani arabi sono perciò in qualche modo degli apostati. La questione dell'elemento arabo spalanca un intero mondo di incomprensioni. Visti, per così dire, da fuori, tutti i popoli che parlano arabo sono arabi, ma un berbero, un sudanese, o anche un libanese accetterebbe senza problemi questo nome? È qui che la questione di una conoscenza - o ignoranza - della storia è importante, in quanto esercita un influsso moderatore sui giudizi e sulle espressioni di giudizio. Circa l'aspetto religioso, è facile pensare nei soli termini di musulmani e cristiani. Tuttavia ci sono anche molti hindù, sikh e, a causa del basso costo della manodopera dello Sri Lanka, anche buddisti. Gli hindù contribuiscono molto all'economia delle società del Golfo a tutti i livelli, professionisti, manodopera qualificata e non, ma, non rientrando nell'ampia categoria delle Genti del Libro, che comprende musulmani, cristiani ed ebrei, sono in teoria, anche se non sempre in pratica, guardati con sospetto. Sono assunti con la stessa rapidità di tutti gli altri, se hanno abilità o conoscenze richieste in quel momento. Tuttavia non passano il test religioso di adorare il solo Dio, con il risultato che è loro concesso un tempio in uno o due posti, ma, per la maggior parte, non hanno luoghi di culto e quando muoiono non possono essere cremati secondo la loro tradizione. Si possono vedere musulmani che fremono di disgusto a sentir nominare un sikh, ma rimane il fatto che alcuni di loro sono molto qualificati e se ce n'è bisogno saranno assunti. I buddisti sono invece più una sorta di enigma, perché vivono secondo una filosofia piuttosto che secondo una religione, ma di nuovo, come tutti gli espatriati, sono tollerati se forniscono quello che serve, nonostante siano meno che desiderabili sul fronte religioso. C'è un tale intreccio di razzismo e religione che è molto difficile distinguere i diversi elementi. Gli asiatici sono spesso guardati con disprezzo e, di conseguenza, ne soffrono. Questo è parzialmente frutto di razzismo, strettamente legato al fatto che alcune ambasciate hanno i mezzi e la volontà di proteggere i loro cittadini (quelli delle Filippine, ad esempio), mentre altri paesi sono più o meno impotenti a tutelarli. Il bisogno che molti paesi hanno delle rimesse dei lavoratori espatriati condiziona la loro reazione all'ingiustizia o a un trattamento razzista da parte del paese dove queste persone lavorano. Il disprezzo è naturalmente alimentato dalla consapevolezza che alcune persone possono essere trattate male senza paura di cattiva pubblicità o rivalsa. Un circolo vizioso. All'interno dell'Islam, le tensioni tra sunniti e sciiti sono dissimulate a causa della grande preponderanza del sunnismo nel Golfo. Tensioni di questo tipo esistono apertamente in Bahrain, dovute a una popolazione immigrata di più vecchia data, e possono esistere tra la popolazione locale di Dubai, dato il numero di famiglie iraniane che sono state naturalizzate. Ma se le cose stanno così, esse non sono visibili agli estranei. Nel complesso, le società del Golfo sono giuste, pacifiche e ben ordinate. L'Europa e gli Stati Uniti hanno sofferto a sufficienza di dubbi su di sé e differenze d'opinione circa l'immigrazione per capire quale minaccia essa possa essere o possa sembrare di essere. C'è una differenza, menzionata sopra, e cioè che gli immigranti nel Golfo non vengono per stabilirvisi definitivamente, come invece è presumibile che accada in Europa. Non serve molta immaginazione per vedere come le grandi masse, di cui c'è bisogno per alimentare le necessità dello sviluppo di un'economia su una base più ampia del petrolio, possano rappresentare una terribile minaccia per una società la cui fragilità può essere misurata anche solo in termini numerici. Tutte le società desiderano salvaguardare la propria coesione. Una pietra fondante della coesione di queste società è l'Islam, che sta senza dubbio attraversando profondi mutamenti. Questi cambiamenti provocheranno un disagio tale da innescare una reazione violenta? Ritornando all'inizio di quest'articolo, devo nuovamente affermare che le cose saranno diverse da paese a paese. Non si può pensare all'Oman, agli Emirati Arabi Uniti e all'Arabia Saudita, in nessun modo - e neppure per la religione - come un insieme assolutamente coerente. Tuttavia esistono tratti comuni che s'avvicinano in qualche modo a quanto ho cercato di descrivere. Forse avrei dovuto prendere in maggiore considerazione il fatto storico che le società tribali nella penisola arabica, per commercio e per guerra, sono state in contatto con l'Oriente (l'India) tanto quanto lo sono state con l'Occidente (il Mar Mediterraneo e l'Africa nord-orientale) sin da quando abbiamo notizie sulla loro storia. C'è stata anche una lunga storia di relazioni con la Gran Bretagna, legata, nel caso degli Stati della Tregua (gli attuali Emirati Arabi Uniti), a un trattato. Guardando certi volti si possono ancora vedere le tracce di questo coinvolgimento nelle correnti della storia, anche se, nella maggior parte dei casi, non fu sicuramente la libera scelta delle persone, ma il volere della parte più forte, a dettar legge. E tuttavia: non è così anche oggi?


(1) Gulf Co-operation Council, comunità di cooperazione internazionale che unisce i paesi del Golfo (N.d.T.)

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