Parla lo shaykh Rashid al-Ghannoushi, fondatore e guida di an-Nahda, il movimento-partito che ha ottenuto il miglior risultato alle elezioni tunisine del 2011, le prime dopo la caduta di Ben Ali. Un partito islamista che ha conosciuto la stessa evoluzione “democratica” del suo fondatore.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:50

Non lascia indifferenti la sede di an-Nahda: fino all’inizio del 2011 il partito era perseguitato dal regime, ora – dopo poco più di un anno – è iperattivo in una sede centrale che conta sei piani, sostenuta dalle offerte dei suoi iscritti e forse anche – secondo alcune fonti – da fondi stranieri, si dice del Qatar. Rashid al-Ghannoushi ci riceve qui, nel suo ufficio del quinto piano, al termine di una giornata che in agenda prevede appuntamenti ogni mezz’ora. Il tratto è cordiale e lo sguardo concentrato. Attivo nei social network (oltre 200.000 followers tra Facebook e Twitter), non teme alcuna domanda e manifesta la sua consuetudine per gli incontri con la stampa. Se non cela una certa stanchezza, forse noia per le interviste, mostra una disponibilità che rende possibile una conversazione a tutto campo. Finché il suo assistente, che tutto registra, avvisa che il tempo riservatoci è scaduto.

 

Nei suoi interventi pubblici Lei utilizza spesso l’espressione “Stato civico”, in arabo dawla madaniyya, per descrivere il modello che an-Nahda auspica per la Tunisia in questa fase di transizione democratica. Che cosa intende con questo termine? È l’equivalente di “Stato neutrale”?

Noi crediamo nell’unità, e questo significa che non possiamo separare completamente le credenze (beliefs), la fede e la vita, perché i Profeti (la pace sia su di loro) e i Messaggeri di Dio ci sono stati inviati non per insegnarci che ci sono Dio e l’Aldilà, ma sono venuti anche per fare in modo che la nostra fede si rifletta nella vita e nei nostri comportamenti, individualmente e come comunità. Quindi, la separazione totale tra la vita e la fede, tra la politica e la morale, nell’Islam non è accettata. Tuttavia, ciò non significa che lo Stato sia il rappresentante di Dio. Il governo rappresenta il popolo. Esso trae la sua autorità solo dal popolo, che ha pieno diritto di scegliere i governanti, di criticarli e anche di sostituirli. La politica deve essere influenzata dalla fede, dalla morale e dalla religione. Tuttavia, ciò non significa che lo Stato sia uno Stato religioso perché la nozione per cui i governanti sono i rappresentanti di Dio non esiste nell’Islam. I governanti rappresentano il popolo. Il nostro Stato è dunque uno Stato civico, non religioso. Questo fatto implica che la democrazia e l’Islam non sono in contraddizione, ma sono compatibili. Nell’Islam c'è la nozione di shûrà, consultazione: ciò significa che il sovrano non può guidare il popolo secondo la propria opinione, ma deve consultarsi con lui. Noi crediamo perciò che la democrazia, nel senso della libertà di stampa, di elezioni, assemblee, pluralità, sia compatibile con la nostra fede, con l’Islam.

 

Come intende attuare lo “Stato civico” nel testo della nuova Costituzione? Quale genere di disposizioni sono in grado di assicurare l’edificazione e la difesa di uno Stato di questo genere?

La Costituzione deve riflettere l’opinione pubblica. Se questa opinione è influenzata dalla fede islamica, è normale che la Costituzione e le leggi rechino il marchio dell’Islam, perché l’Islam è la religione del nostro popolo. In Italia per esempio avete i Cristiano-democratici che sono influenzati dai valori cristiani. Nello Stato ebraico, la politica è normalmente influenzata dall’ebraismo, etc... Ma nell’Islam non vi è alcuna Chiesa né alcun rappresentante di Dio. Tutti i musulmani sono in grado di leggere il Corano e capirlo. Nessuno può pretendere di rappresentare Dio sulla terra. Neanche i dotti dell’Islam, gli ‘ulamâ’, possono pretendere di rappresentare Dio. Infine, troviamo molte interpretazioni del Corano. Nessuno può dire qual è quella esatta e vera. Sarà la democrazia, attraverso le urne, a scegliere la giusta interpretazione del Corano.

 

Nei dibattiti sulla Costituzione il suo partito ha avanzato la proposta di inserire la sharî‘a come fonte principale della legislazione. Un tale articolo potrebbe essere facilmente interpretato come un tentativo di costruire uno Stato religioso islamico, invece di uno Stato civico. Come risponderebbe a questa obiezione?

Lo Stato costruito da Bourguiba non è uno Stato laico, si basa su valori islamici, ovvero sulla sharî‘a. Con sharî‘a si intendono alcuni principi. Qualsiasi Costituzione tunisina sarà naturalmente influenzata da valori e principi islamici. Bourguiba personalmente era laico, ma aveva capito che il popolo tunisino è musulmano e non ha osato contraddire i principi fondamentali della religione. Si è trovato costretto a rispettare i principi fondamentali dell’Islam. Neppure la colonizzazione francese è stata capace di agire contro questa costante. A questo punto sarebbe probabilmente utile chiarire cosa intende con il termine sharî‘a: è un insieme di principi e di valori o un sistema di norme giuridiche? Per esempio, in Sudan o in Nigeria la reintroduzione della sharî‘a ha condotto a un sistema di norme positive, solitamente sfavorevoli alle donne e alle minoranze, e che ha presentato molti problemi per i diritti umani. A fronte di diverse interpretazioni della sharî‘a, quale di queste dev’essere adottata? La risposta è: quella accettata dalla maggioranza del popolo. L’ultima istanza di autorità è il popolo. Che cos’è l’Islam? Questo o quello? Sarà il popolo a scegliere qual è l’interpretazione più giusta.

 

E qual è l’interpretazione del suo partito?

Io non ho il diritto di imporre la mia interpretazione dell’Islam. Io ho il diritto di esprimere un’opinione e discutere con gli altri per convincerli, ma alla fine la maggioranza deciderà di quale l’Islam abbiamo bisogno.

 

La maggioranza del popolo tunisino ha votato per il suo partito... Quasi la maggioranza, il 42% ...

 

Sì, la maggioranza relativa, 24 dei 57 seggi dell’Assemblea. Questi elettori che cosa hanno trovato di convincente nel suo partito? Dipende dal fatto che voi eravate già strutturati sul territorio?

Negli ultimi 22 anni siamo stati sradicati dal governo. Come si può dunque considerare la nostra organizzazione come la meglio strutturata? Volete sapere perché abbiamo vinto? Il motivo è che la gente ha scelto di sostenere noi. E ora siamo messi alla prova. La gente ci ha eletti e ci ha dato l’opportunità di risolvere i loro problemi. Se ci riusciremo, ci rieleggerà, altrimenti eleggerà altri. A partire dall’indipendenza, Bourguiba e Ben Ali hanno tentato di secolarizzare il nostro popolo con la forza e distruggere la sua identità. Il nostro popolo desidera fortemente ritornare alla sua identità e risolvere i suoi problemi all’interno della sua identità e dei suoi valori. Cinquant’anni di governi indipendenti sono stati segnati dalla repressione, da arresti, processi, abuso di potere per imporre altri valori e ideologie che non provenivano dal cuore della gente, ma dall’esterno. Ma questo governo non è riuscito a risolvere i problemi sociali. Hanno promesso alla nostra gente: se abbandonate l’Islam, sarete più ricchi, più liberi... ma poi non sono seguite né libertà, né giustizia. Le nostre famiglie sono state distrutte e disgregate e la gente ora decide di ritornare alla propria fede.

 

La parola “identità” rischia di essere ambigua e talvolta sembra essere abusata e vaga. Qual è l’identità tunisina secondo lei?

È molto chiaro. Noi siamo musulmani e arabi, ecco tutto.

 

Che dire della presenza europea nel passato? Ha influenzato la mentalità tunisina? La cultura e la tradizione europea hanno lasciato un segno nel suo Paese? Come considera e legge questa parte della storia del suo Paese?

Si tratta di un elemento esterno. Gli europei sono nostri vicini, la geografia ci costringe a trattare con loro, noi abbiamo un accordo con l’Europa e lo manteniamo. Il regime di Bourguiba ha chiuso tutte le porte verso l’Oriente arabo, ora noi le abbiamo riaperte. La Tunisia non ha solo una porta verso l’Europa, ne ha ¬molte. Noi teniamo aperta la porta europea, ma ne apriamo anche altre: in ¬particolare verso i Paesi arabi e il Maghreb arabo.

 

 

Il “fattore religioso”: crede che questo sia chiamato a svolgere un ruolo nella piazza pubblica o è solo un affare privato?

L’identità dell’Islam è che la fede e la società sono unite. L’Islam non separa la fede dalla dimensione sociale, perché la religione è venuta per unire la fede e ciò che è sociale. La fede è un sistema di valori che una persona applica nei diversi ambiti della sua vita.

 

Per difendere l’identità islamica del popolo, la Repubblica iraniana, dopo la rivoluzione, ha creato un Consiglio di esperti religiosi incaricati di controllare la coerenza delle leggi con i principi islamici. Pensa che un corpo simile potrebbe essere utile anche alla Tunisia o è peculiare dell’Islam sciita?

Il modo iraniano di organizzare lo Stato è un’opinione: la si può accettare o rifiutare, ma noi la rifiutiamo. Noi riteniamo che nell’Islam non sia necessario avere un’autorità religiosa che monopolizza l’interpretazione del testo sacro. In Iran tale organismo esiste in virtù del principio della wilâyat al-faqîh etc…, ma nell’Islam sunnita non esiste nulla di simile. Ci sono gli ‘ulamâ’, ma le loro interpretazioni possono essere accettate o rifiutate. Si può adorare Dio direttamente, senza alcun mediatore. Nel caso in cui un partito laico vinca le prossime elezioni e proponga delle leggi che vanno contro la vostra interpretazione dell’Islam, che cosa fareste? Dovremmo cercare di convincere la gente, attraverso i media, i dibattiti etc…, che la nostra interpretazione è quella giusta, la più corretta. Se ci riusciamo, questo è ciò che volevamo. In caso contrario, dobbiamo accettare l’opinione pubblica e continuare a cercare di far cambiare loro idea.

 

Le nostre società in Occidente, ma sempre di più anche in Oriente, sono plurali e come tali tendono ad essere segnate da conflitti. Come può uno Stato garantire tutte le componenti di una società plurale, maggioranze e minoranze?

La pluralità è un elemento dell’universo. Dio ci ha creati plurali, una pluralità di colori, lingue, religioni. La pluralità non è artificiale, è l’elemento principale della nostra creazione. Pertanto dobbiamo accettare questo fenomeno e affrontarlo. Come possiamo garantire la pluralità? La religione islamica garantisce questo diritto e spesso conferma che è inutile cercare di dominare i cuori delle persone. I cuori sono nelle mani di Dio. Bisogna accettare il fatto che Dio ha creato persone diverse fra loro.

 

L’individualismo è generalmente visto come il compimento della modernità. Tuttavia l’Occidente sta sperimentando anche i suoi aspetti negativi, in particolare la confusione tra desideri soggettivi e diritti positivi. Qual è la sua opinione a questo proposito?

Come sapete, nel 1998 ci fu una Conferenza internazionale che divise le comunità in due campi, quello religioso e quello laico. Al-Azhar si ritrovò sulla stessa linea del Vaticano. I cattolici difesero i valori della famiglia ricevuti da Dio, e vi è un solo Dio. Anche a Pechino i musulmani collaborarono con i cattolici per difendere i valori della famiglia. La filosofia dell’individualismo può essere considerata come la principale minaccia ai valori della famiglia e noi dobbiamo lottare contro questa posizione. L’individualismo è il frutto dell’ateismo. Lei ha fondato il movimento an-Nahda alcuni decenni fa, in circostanze storiche del tutto diverse. Vede un’evoluzione nella storia del suo movimento? In un certo qual modo, rispecchia la sua esperienza? L’evoluzione è una legge universale. Tutto evolve. An-Nahda è un fenomeno sociale ed è quindi suscettibile di evolvere. All’inizio degli anni ‘70, per esempio, abbiamo quasi rifiutato la pluralità, la democrazia, la parità tra i sessi, il riconoscimento dei partiti laici. Ma dopo dieci anni, all’inizio degli anni ‘80, ci siamo presentati come un partito democratico, abbiamo reinterpretato i testi e abbiamo proposto una nuova comprensione dell’Islam. Infine abbiamo accettato la democrazia e ritenuto che l’Islam sia compatibile con essa e con la parità dei sessi; cosa ancora più importante, abbiamo accettato di lavorare nel rispetto della legge. Prima di allora, eravamo abituati a rifiutare le leggi e optavamo per cambiarle con la rivoluzione. Da allora abbiamo scelto di non usare la violenza, né di imporre la nostra religione e la nostra ideologia.

 

Tale evoluzione è stata il risultato di uno sviluppo interno o avete seguito qualche pensatore islamico?

Si è trattato principalmente di uno sviluppo interno. È anche vero che queste idee sono state rafforzate quando abbiamo dovuto emigrare nelle società democratiche.

 

Il tassista che ci ha portato qui era molto orgoglioso di mostrarci la nuova stagione di libertà in Tunisia: «Ora possiamo parlare, ora possiamo votare etc…», ci ha detto. Ma era sinceramente arrabbiato con i salafiti: ce li ha mostrati lungo la strada e ci ha detto di odiarli. Come considera l’aumento della presenza dei salafiti in Tunisia?

Quando abbiamo iniziato, nei primi anni ‘70, somigliavamo a questi salafiti. In loro vedo la mia giovinezza perché, quando abbiamo iniziato, abbiamo reagito alla laicità di Bourguiba. Penso che cambieranno perché il nostro Islam tunisino è moderno. Essi dovranno sviluppare le loro idee per raggiungere la maggioranza delle persone, altrimenti saranno emarginati. Pensate ai movimenti estremisti di sinistra in Europa negli anni ‘70. Ora siedono nei parlamenti europei. La democrazia può rieducare le persone. In Egitto per esempio, dopo circa 30 anni di lotta contro il governo, i salafiti hanno smesso di usare la violenza e accettano le regole democratiche. Dobbiamo spingere i salafiti ad accettare il gioco democratico.

 

Negli anni Novanta gli Stati Uniti le hanno rifiutato il visto a causa delle sue dichiarazioni pubbliche contro l’America. Anche altri Paesi europei non le hanno aperto le porte quando ha dovuto emigrare dalla Tunisia, dopo molti anni di prigione. Oggi non sente alcun desiderio di vendetta?

Due mesi fa ho potuto viaggiare negli Stati Uniti e sono stato accolto calorosamente. La religione mi ha insegnato la tolleranza. Sinceramente, non ho alcun desiderio di vendetta contro le persone che mi hanno arrestato o contro chi mi ha costretto a emigrare dalla Tunisia. Il passato è passato.

 

Dal carcere ai piani alti, una vita per un’idea di Tunisia Rashid al-Ghannoushi, nato nel 1941 a El Hamma, dopo gli studi all’Università Zaytûna di Tunisi, si trasferisce al Cairo, dove si appassiona al nazionalismo nasseriano. Costretto a lasciare l’Egitto per via del deteriorarsi delle relazioni tra Nasser e Bourguiba, ripara a Damasco, dove si dedica agli studi filosofici e approfondisce la tradizione islamica. Nel 1966 decide di passare definitivamente dal nazionalismo arabo all’Islam politico. Così, quando nel 1968 si trasferisce a Parigi, si coinvolge attivamente con i gruppi di studenti musulmani. Alla fine degli anni ’60 rientra a Tunisi dove si dedica alla promozione dell’Islam integrale nelle scuole, nelle università e nelle moschee. Ma la predicazione non gli basta, punta a un maggior impegno politico e fonda, insieme ad altri, il Movimento della Tendenza Islamica (MTI), che ha come obiettivo la re-islamizzazione della Tunisia contro qualsiasi tendenza occidentalizzante. Tale presenza mette in allarme il governo che comincia a vedere in Ghannoushi un elemento pericoloso. Arrestato e processato, nel 1981 viene condannato a undici anni di carcere. Liberato nel 1984, viene nuovamente arrestato e condannato ai lavori forzati nel 1987. Ma proprio in quell’anno Bourguiba viene deposto da Ben Ali, che nel 1988 libera Ghannoushi. A quest’epoca risale la vera svolta del suo movimento: il MTI diventa il Partito an-Nahda, “la rinascita”, che accetta il patto nazionale proposto dal nuovo regime e partecipa alle elezioni. Forte del 12% di voti, entra in rotta di collisione con il regime. Dopo la scoperta di un complotto contro Ben Ali, alcuni esponenti di an-Nahda vengono incarcerati e Ghannoushi decide di lasciare il Paese per trasferirsi a Londra dove, da rifugiato politico, risiederà fino all’inizio del 2011. Dopo la fuga di Ben Ali, atterra a Tunisi, acclamato come un eroe da alcuni e contestato da altri. Infatti, se il 40% dell’elettorato guarda a lui come a un padre della patria, i suoi oppositori lo considerano l’emblema dell’ambiguità islamista. Il suo ultimo libro, pubblicato nel 2012 dal Centro studi di Al Jazeera, si intitola Al-Dîmuqrâtiyya wa Huqûq al-Insân fî-l-Islâm (Democrazia e diritti umani nell’Islam).

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