Nata in Algeria, è tra le più celebri cantautrici arabe contemporanee. Nel 1999 si è trasferita in Francia, lasciandosi alle spalle critiche e minacce, ma non ha dimenticato le sue origini. La sua voce è pura e dolce, la sua musica una commistione di generi e stili

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:03:21

Tarab_Oasis-02.pngDefinita a giusto titolo un “faro” per le nuove generazioni di musicisti tra le due rive del Mediterraneo, Souad Massi è tra le più celebri cantautrici arabe contemporanee. La mente corre subito alle sue canzoni romantiche, come ghir enta (“solo tu”, tra i brani che compongono la colonna sonora di Napoli velata di Ferzan Özpetek, 2017), oppure al suo primo successo, nella quale l’artista chiede a un Raoui (titolo della canzone e dell’omonimo album, traducibile con “trovadore) di raccontarle storie. Lei, in vent’anni di carriera, di storie ne ha raccontate a non finire. Ma facciamo un passo indietro.

 

Souad Massi nasce nel 1972 nel cuore della capitale algerina, a Bab el Oued (sì, proprio il quartiere del film di Merzak Allouache, diventato a partire dagli anni ’80 una roccaforte islamista). Di origini berbere (della Cabilia), compie studi di ingegneria e si avvicina al teatro e alla musica. Nel 1989 inizia ad esibirsi in un gruppo di flamenco (Les Trianas d’Algiers) e successivamente nel gruppo berbero, rock e politico degli Atakor (dal nome dell’importante massiccio montuoso algerino), con il quale non solo acquisisce un modesto successo, ma si attira anche critiche e minacce.

 

La svolta, dal sapore di rivincita contro certi estremisti ostili alla musica, e in particolare alla musica di una donna  che continua tenacemente a cantare, avviene però all’estero. Nel gennaio 1999 i due produttori televisivi Mohammed Allalou e Aziz Smati (quest’ultimo scappato dall’Algeria a seguito di un attentato estremista che lo aveva ridotto in fin di vita) organizzano a Parigi un festival dedicato alle donne algerine, e l’esibizione di Souad Massi è un successo: subito scritturata, la cantante decide di installarsi definitivamente in Francia, lasciandosi alle spalle un’Algeria instabile e lacerata da una guerra civile (conosciuta anche come “decennio nero”) dove far musica sarebbe stato più pericoloso e sicuramente più difficile. D’altronde, proprio quella stessa Algeria rimarrà la sua fedele fonte di ispirazione.

 

Attenta alla politica, ma refrattaria alle etichette, nelle sue interviste parla spesso e volentieri di libertà e di speranza, di temi sociali e politici, del complicato rapporto con la fede, della sua volontà di scardinare alcune narrazioni fobiche e di mostrare invece la ricchezza e l’eterogeneità delle cultura algerina e araba, usando la musica sia come un rifugio che come un’arma.

 

Musicalmente, nelle canzoni di Souad Massi solo la voce è “pura” (e dolce). Il resto è uno “sporchissimo” impasto di lingue, generi musicali, ritmi e strumenti da tutto il mondo (dal flamenco al reggae, dal rock allo sha‘bī passando per il fado). Proprio la sua world music donchisciottesca” (tra confusione e idealismo) le è valsa diversi premi, condivisi con la pletora di ottimi musicisti con cui ha collaborato, dal Pakistan allo Zaire, dall’India alla Guyana.

 

Come attrice ha invece fatto parte del cast di Eyes of a Thief (“Gli occhi di un ladro”), film di Najwa Najjar girato in Cisgiordania. Un’esperienza che l’ha marcata profondamente, portandola a rifiutare di esibirsi in Israele.

Ci sarebbe tanto altro da aggiungere su Souad Massi: la sua evoluzione musicale, i suoi rari ma puntuali ritorni in Algeria, il suo progetto di rivisitazione del ricco patrimonio andaluso Les chœurs de Cordoue (“I cori di Cordova”) con Eric Fernandez e le sue molte collaborazioni artistiche.

 

È stato difficile scegliere un solo brano. In una delle sue prime canzoni registrate, intitolata Bladi (“Paese mio”, 2001) Souad cantava, accompagnata da un ritmo militare, che «il fuoco [delle violenze] ha bruciato la primavera». In Dar Djedi (“La casa di mio nonno”) e Yemma (“Mamma”) il tema è la fuga e l’esilio da Algeri prima e dall’Algeria poi.

Gran parte delle canzoni dell’album al-Mutakallimūn (“I teologi”)[1], ampiamente recensito sia in italiano che in inglese, sarebbero state adatte alla nostra rubrica: il disco è un inno alla poesia araba, interpretata da parte della stampa come una risposta culturale all’ISIS.

 

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In particolare Hadari (“Attento!”), il suo arrangiamento reggae della poesia “Ai tiranni del mondo” del poeta tunisino Abū al-Qāsim al-Shābbī (morto nel 1934, a 25 anni, e autore di parte dell’inno nazionale tunisino) è senza dubbio una perla: «O crudele tiranno / amico delle tenebre, nemico della vita / Tu che hai riso delle sofferenze del debole popolo / con la mano intrisa del suo sangue […] Attento! […] Chi semina spine, raccoglie ferite!».

 

Anche El-Hourriya (“La libertà”) sarebbe stata azzeccata. Un orecchiabile folk-rock di protesta le cui prime linee recitano più o meno così: «Il nostro insegnante ci ha parlato di qualcosa chiamato “libertà” / Ho gentilmente chiesto all'insegnante di parlare “in italiano” / È un termine greco di tempi remoti o cosa? / È qualcosa che importiamo o è qualcosa che produciamo localmente? / Il nostro insegnante ha risposto con tristezza, piangendo / “Vi han fatto dimenticare tutto della vostra Storia e dei valori più importanti / Mi dispiace così tanto che stia sorgendo una generazione che non capisce il significato della libertà».

 

Alla fine, abbiamo scelto di complicarci la vita. Perché optare per due canzoni già tradotte in altre lingue europee e in ottimo ed elegante arabo standard, quando esiste una canzone particolarmente metaforica e di difficile interpretazione in arabo colloquiale algerino? Vi presentiamo dunque Fi Bali (“pienamente cosciente”), eseguita insieme a Sidi Bémol e tratta dal suo ultimo album Oumniya (“Il mio desiderio”, 2019), definito un ritorno alle origini nonché il suo disco più intimo. Si tratta di una poco velata denuncia all’allora presidente Bouteflika (da lei già più volte criticato), in sintonia e perfetto tempismo con le proteste dell’Hirak algerino iniziate nel febbraio 2019, che hanno portato alla destituzione di quest’ultimo.

 

Buon tarab!

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

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Canzone: Fi Bali

Artista: Souad Massi

Data: 2019

Nazione: Algeria

 

Pienamente cosciente[2]

Quante domande rimaste senza risposta

Quante persone care sono cambiate e scomparse

Hai capito la solfa sin dall’inizio[3]

Hai spento la luce, hai chiuso ogni uscita[4]

La barca che comandavi è ormai affondata[5]

Ho visto la morte afferrarmi per il collo

E hai giocato con me, come con una marionetta

Mentre le onde mi sbattevano qua e là[6]

 

Uno è sconfitto dal tempo che passa,

Un altro è contento, nelle vicissitudini della vita[7]

E il terzo è lì nascosto che non si vede,

salta fuori solo per approfittarsene[8]

 

O tu, che ti sei perso in tutti i tuoi calcoli personali[9]

La verità è oramai venuta a galla[10]

e alla casa che non ha né fondamenta né porte

basta un venticello leggero per spazzarla via

in quest’isola[11] non c’è un cammino segnato[12]

La barca intanto si allontana[13]

E tu non conosci le stelle[14]

Ma ascolti invece le sirene[15]

 

Se ti ritieni un buon giudice, allora governaci![16]

Ma sii imparziale![17]

Non farti corrompere![18]

 

Ora dopo l’inverno c’è l’autunno

E voliamo sulla terra e camminiamo in cielo

Capisci quel che dico? Ci sei?

A che serve discernere e capire!


 

في بالي

شحال من سؤال ما لقيت له جواب

شحال من قريب تبدّل وغاب

من العنوان راك فهمت الكتاب

طفيت الشمعة واغلقت الباب

غرقت السفينة اللي كنت فيها الريس

وشفت الموت تعنق فيَّ

لعبت بيَّ كي العرايس

وجميع موجة ترمي فيَّ

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 

يللي حسبت حتى تلف لك الحساب

الحصيرة المفروشة راهي رشات

والدار اللي ما فيها لا ساس لا باب

غير ريح خفيف وراهي مشات

لا في الجزيرة طريق معلوم

وراهي بعدت السفينة

وما راك قاري علم النجوم

وعروس البحر فيك تستنّى

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 

احكم ما بيننا إذا أنت قاضي

وما تغلط في الميزان

ياك بالمرايا راك علينا راضي

والتالت اللي سرجلك الحصان

بعد الشتا كاين الخريف

انطيرو في الأرض ونمشو في السما

افهم يللي عقلك خفيف

ولّت ما تفيد حتى فهامة

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 

واحد مغلوب من الزمان

وفرحان معاه طيحة ونوضة

والتالت مخبي ما يبان

يخرج كي تنحط الميدة

 


[1] Letteralmente “gli esperti di Kalām, parola che significa “discorso” o “dibattito”, ma è utilizzato come termine tecnico per riferirsi alla teologia islamica, indicandone il suo aspetto speculativo e dialettico. Nella traduzione del titolo, Souad Massi ha giocato sulla polisemia del termine kalām, traducendo mutakallimūn con “maestri della parola”.

[2] Lett. “nella mia mente”, dove il termine bāl indica in arabo sia “mente” che “pensiero” e “animo”. Si è scelto qui di seguire la traduzione ufficiale in francese della stessa Souad Massi, che risulta estremamente “libera” su un testo già particolarmente metaforico e poetico, e che rende il titolo con “piena coscienza”.

[3] Lett. “Dal titolo hai capito il libro”.

[4] Lett. “Hai spento la candela, hai chiuso la porta”.

[5] Lett. “della quale tu eri il comandante”. Si noti il gioco di parole con “comandante”, traduzione dell’arabo ra’is, che significa anche “capitano” o “capo” e, in questo caso, “capo di Stato”.

[6] A differenza del testo originale in arabo, chiaramente alla prima persona, la traduzione francese della cantante cambia il soggetto alla seconda persona singolare: “La morte è in agguato intorno a te, l’ho vista chiaramente / Hai lasciato che tirassero i fili (che ti legassero, come una marionetta) / Eccoti di fronte alle onde che ti malmenano (di qua e di là)”. In questa traduzione particolarmente libera, si può forse immaginare che il soggetto, dunque il capitano di cui sopra (il presidente Bouteflika), prossimo alla morte, sia comandato da qualcuno – come una marionetta – lasciandosi guidare inerme dalla volontà altrui?

[7] Nella buona o nella cattiva sorte, o più lett. nelle “cadute” (tāha, indica l’atto di “smarrirsi” o “perdere la strada”) e nel “rialzarsi” (nūda, da nahada con caduta della seconda consonante, è un termine colloquiale traducibile con “alzarsi”, “rialzarsi” o “sorgere”).

[8] Nella traduzione francese della cantante: “L’ultimo si nasconde dietro le quinte / Esce solo per intromettersi”. Il testo arabo sembra però suggerire un’intromissione al fine di approfittare del lavoro (del cibo in tavola) degli altri.

[9] Lett. “o tu che hai così tanto calcolato che ti sei sbagliato di calcolo”, mentre la versione francese riporta: “O tu, che hai così tanto mentito che hai perso il filo (delle tue stesse menzogne)”. Il riferimento a una persona che si perde nei propri interessi personali risulta evidente in entrambe le versioni.

[10] Lett. “il tappeto s’è ormai consumato”, dove “tappeto” (hasīra) indica probabilmente un elemento (oramai usurato) che “copriva” le bugie del capo di Stato. La versione in francese, particolarmente libera, riporta infatti: “Il tuo discorso è assolutamente inutile” dopo aver citato delle “menzogne” nel verso precedente.

[11] Si noti il gioco di parole: Algeria, in arabo è al-Jazā’ir (lett. “isole”, plurale di jazīra). Perché chiamare una nazione “le isole”? Qui la più probabile e non breve risposta.

[12] Ma‘lūm, lett. “noto”, “conosciuto”.

[13] La versione francese aggiunge che la barca è “per scappare”, in riferimento al fenomeno emigratorio algerino.

[14] ‘Ilm al-nujūm, lett. “la scienza delle stelle”, traducibile sia come “astronomia” che “astrologia”, qui intesa come la capacità di navigare in acque sicure.

[15] ‘Urūs al-bahr, lett. “le spose del mare”, termine arabo etimologicamente più vicino all’inglese mermaid che alla non pacifica etimologia del termine di origine greca “sirena”. Queste due linee possono essere comprese in diversi modi. Oltre alla nostra interpretazione, segnaliamo quella della versione francese: “Sei ben lungi dal possedere l’intelletto necessario / dipendente come sei dalla voci delle sirene.”

[16] La versione francese recita: “Ti confidiamo il nostro caso, se tu sei giudice”. Il testo originale in arabo recita letteralmente: “Giudica (ihkam) ciò che c’è fra noi (il nostro caso), se sei giudice”, dove ihkam indica etimologicamente sia la capacità di giudizio che la saggezza, e infine la capacità di governare.

[17] La versione francese recita: “ma esigiamo la tua imparzialità”. Il testo in arabo, lett.: “ma non sbagliarti con la bilancia”.

[18] Il testo in arabo colloquiale algerino presenta delle oscurità. In questo caso, ci siamo affidati all’interpretazione del testo francese e del video ufficiale, che richiamo una situazione di corruzione, forse legata al “terzo” personaggio menzionato dal ritornello.

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