Diplomazia culturale e tolleranza sono i cardini della politica di Abu Dhabi. Principi richiamati costantemente ma non sempre coerenti con le scelte del Paese

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:58:00

Gli Emirati Arabi si preparano a ricevere la visita di Papa Francesco, in programma dal 3 al 5 febbraio. Claudio Fontana ne ha parlato con Matteo Legrenzi, Professore associato di Relazioni internazionali all'Università Ca' Foscari di Venezia ed esperto di Paesi del Golfo. 

 

CF – Che significato può avere la visita di papa Francesco per un Paese come gli Emirati, che punta molto sulla costruzione di un’immagine di realtà aperta e tollerante?

 

ML – La visita è un grande successo diplomatico per gli Emirati che inaugurano quest’anno “l’anno della tolleranza” e che fanno della diplomazia culturale una stella polare. Mutuo rispetto e tolleranza religiosa si respirano ogni giorno nel Paese. Le difficoltà nascono quando si crea una tensione tra questi valori declamati e praticati e le conseguenze di una politica estera e di difesa che negli ultimi anni è diventata più assertiva. Inoltre vi sono stati singoli casi consolari che hanno messo in dubbio la libertà accademica e di ricerca, un campanello d’allarme per un Paese che ha investito in maniera così decisa sull’istruzione universitaria: pensiamo solo a realtà come NYU Abu Dhabi e la Sorbona e ricordiamoci che non si investe solo sui giovani emiratini, generose borse di studio portano giovani da tutto il mondo a studiare negli Emirati. 
 


CF – Negli Emirati – seppur con limitazioni – esiste una libertà di culto che non si trova così facilmente in altri paesi musulmani. A cosa è dovuta questa apertura? Qual è il tessuto sociale del Paese?

 

ML – L’apertura è dovuta all’impulso decisivo di Shaykh Zayed, fondatore degli Emirati, che ha sempre propugnato e praticato la necessità del mutuo rispetto e della libertà di culto. Pensiamo solo alle numerose visite, anche dei suoi successori, a chiese e ad altri luoghi di culto spesso accompagnate da sussidi. A questo impulso iniziale si sono aggiunte negli anni ottime ragioni commerciali. È impensabile immaginare che Dubai, il secondo emirato per estensione e la capitale commerciale del Paese, sarebbe potuto prosperare senza un’atmosfera di tolleranza. Essa è vista come ingrediente fondamentale per un centro commerciale internazionale. 


CF – L’emiro di Abu Dhabi è il presidente degli Emirati, mentre quello di Dubai è il primo ministro. Tuttavia il vero uomo forte del Paese è il principe ereditario Muhammad Bin Zayed, che incontrerà anche il Papa. Come funziona la divisione del potere dello Stato? Che rapporti ci sono tra Abu Dhabi e gli emirati “periferici”?

 

 

ML – Abu Dhabi è senz’altro il luogo dove si prendono le decisioni fondamentali di politica estera ed interna. Questa centralità si è rafforzata dopo la crisi del 2008 in seguito al salvataggio finanziario di Dubai da parte di Abu Dhabi, che ricordiamo ha accesso alla gran parte delle rendite derivanti da idrocarburi. Gli emiri di tutti gli emirati siedono nel Consiglio Supremo e vengono consultati regolarmente, però non vi è dubbio su chi sia a prendere le decisioni finali. È interessante notare come ogni singolo emirato poi trovi una propria “specializzazione”: pensiamo per esempio come Sharjah, sotto la guida di un Emiro che ha completato gli studi superiori in Gran Bretagna ed è uno studioso egli stesso, sia stata antesignana nel campo delle arti visive e dell’istruzione superiore. 
 


CF – Quali sono gli obiettivi della politica estera degli Emirati nella regione mediorientale? Come può un Paese così piccolo proiettare la sua influenza in maniera così estesa?

 

ML – Gli obbiettivi della politica estera degli Emirati sono contrastare l’influenza dell’Iran e di tutti quei movimenti più o meno legati alla Fratellanza Musulmana, sviluppare relazioni oramai non più solo commerciali con Cina, India ed altre grandi e grandissime potenze emergenti, preservare il rapporto di alleanza con gli Stati Uniti, che rimane fondamentale. Negli ultimi anni si assiste senz’altro ad un rinnovato protagonismo, che sfocia da molti fattori: una nuova guida, il proliferare di quelle che vengono percepite come minacce a livello regionale ed una sempre maggiore capacità nel campo strategico. Gli Emirati aspirano al ruolo di media potenza militare e diplomatica e si comportano di conseguenza: dovremo attendere del tempo per vedere se saranno raggiunti i risultati sperati nel corno d’Africa e nel Golfo. 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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