La band egiziana è stata tra le più presenti nelle rivolte di Piazza Tahrir del 2011, ma non può essere identificata solo con questo momento. Ha infatti alle spalle una storia più che decennale, che corre lungo il filo di ripetute ingiustizie

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:13:54

Eskenderella è un gruppo profondamente arabo (e profondamente egiziano) e a suo modo radicale, senza compromessi, sempre attento a dove e come suona: elementi che lo hanno reso forse più marginale di quanto meriterebbe, ma pienamente libero di esprimersi in luoghi magari piccoli, ma politicamente più coscienti.

 

Per presentare questa piccola orchestra, è utile partire dal suo leader Hazem Shaheen e dall’ambiente in cui si è formato. Hazem cresce in una famiglia di Alessandria che ha la fortuna di contare, tra le sue amicizie più strette, quella di Sheikh Imam, una leggenda della musica egiziana e araba che avremo modo di esplorare in una prossima puntata di T-arab.

 

Seguendo le tracce di questo “mostro sacro”, Hazem diviene un abilissimo suonatore di oud, formandosi all’Istituto superiore di Musica Araba di Alessandria (1999) e diplomandosi (tra i primi a farlo) alla splendida Casa dell’Oud Arabo, fondata (nel 2002) dall’illustre musicista Naseer Shamma.

 

Oggi Hazem lo si incrocia al Teatro dell’Opera del Cairo, dove lavora come insegnante di oud o lo si può apprezzare ascoltando la colonna sonora della serie Netflix Paranormal (in arabo: mā wara’ al-tabī‘a, adattazione ispirata alla celebre e numerosa – più di 80 volumi – serie di libri per ragazzi dello scrittore Ahmed Khaled Tawfik).

 

Inoltre, le sue collaborazioni (ad esempio, con Abdou Dagher) e i suoi due album parlano da soli del suo livello musicale: al-‘aysh wa-l-malh (“il pane e il sale”) con la band Masar del 2006 e, da solista, Hagat Wahshany (“cose che mi mancano”), nel 2009, sono stati entrambi definiti come una fusione perfetta, intelligente e sensibile, di diversi stili musicali arabi.

 

Proprio in questo ambiente virtuoso, tra il Cairo e Alessandria, Hazem si circonda di eccellenti musicisti, i quali, soprattutto a partire dal 2005 (con un primo concerto in un luogo particolarmente degno di nota, El-Sawy CultureWheel), si presentano al pubblico con il nome Eskenderella (nome tratto da un poemetto di Khamis Ezz Al-Arab).

 

L’intento dichiarato del gruppo è far rivivere l’eredità musicale di Sheikh Imam, Sayed Darwish, Zyad Rahbani (con il quale hanno poi collaborato) e musicare le voci di grandi poeti contemporanei egiziani (e non) come Fouad Haddad, il figlio Amin e il nipote Ahmed Haddad, Salah Jahin, Naguib Shihab al-Din e Tamim Barghouti.

 

Cognomi importanti, che ritornano nella formazione stessa della band, che conta (o ha contato) alcuni figli e i nipoti di questi poeti (in particolare Samia, figlia di Jaheen, forse più conosciuta per la sua arte di cantastorie, Salma e May Haddad, nipoti di Fouad).

 

Vi è un’altra caratteristica saliente che riguarda la composizione del gruppo, al di là del lignaggio e dell’abilità musicale: si tratta di una band “corale e mista”, due peculiarità che gli stessi componenti del gruppo tendono a sottolineare. Colpisce infatti la loro (affollata) presenza scenica, quasi teatrale, l’equilibrio tra voci femminili e maschili e l’intesa tra il pubblico e i membri, che fanno della coralità la loro forza, l’unione delle voci delle masse e degli artisti in un canto di liberazione collettivo (qui durante un loro concerto all’Università Americana del Cairo). Un elemento che rispecchia le loro convinzioni politiche (sono stati definiti “di sinistra” e hanno partecipato ad alcuni eventi del Partito Comunista Libanese)[1] o quantomeno la loro volontà di essere voce del popolo.

 

E qui si inseriscono gli eventi del 2011: la band è stata infatti tra le più presenti nelle rivolte di Piazza Tahrir del 2011, guadagnandosi il titolo giornalistico (decisamente non originale) di «band che ha fatto da colonna sonora alla primavera araba».

 

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Certo, come avevamo visto con Ramy Essam, molte loro canzoni sono frutto di eventi vissuti in prima persona nel bel mezzo della rivolta (al-hurriya min al-shuhada’, “libertà dai martiri”, celebra e commemora gli scontri di via Mohammed Mahmoud nel novembre 2011), spesso veri e propri inni rivoluzionari, euforici e speranzosi (come Rag‘een, “torneremo!”, Hanfdal Thawrageya, “rimarremo rivoluzionari!”, al-layla thawra “stanotte rivoluzione!”).

 

È inoltre certo, come loro stessi affermano, che le rivolte del 2011 hanno rappresentato per la band uno spartiacque, dandole nuovo slancio, una rinnovata identità e una maggiore fama. Un fatto che si rispecchia fisicamente nel loro primo e per ora unico album del 2014. Intitolato Safha Gedida[2] (“una nuova pagina”, ossia “un nuovo capitolo”) si presenta infatti come un doppio CD: un disco con le canzoni “prima” della rivoluzione, e uno con quelle “dopo”, entrambi dedicati «alla rivoluzione, ai suoi martiri, ai suoi feriti e ai suoi rivoluzionari che ancora insistono per realizzare i loro sogni».

 

Un album che ricorda che la loro storia è più lunga, iniziata ben prima delle rivolte e dunque nettamente più interessante di altre parabole artistiche egiziane. Gli Eskenderella compiono infatti un importante lavoro “rivoluzionario” da anni. Come hanno loro stessi dichiarato, due sono gli obiettivi che hanno a cuore sin dalle loro origini: da un lato, rivitalizzare un patrimonio egiziano preziosissimo, in cui l’ascoltatore non è mai passivo, ma è rispettato nella sua razionalità ed emotività; dall’altro, offrire un’alternativa araba a musica commerciale di basso livello e a una scena artistica superficiale e mediocre. Dimostrando così che non c’è contraddizione tra tradizione e modernità, ma che ciò che unisce questo “prima” e “dopo” in Egitto corre spesso lungo il filo della medesima ingiustizia e repressione, dai tempi di Darwish fino a oggi.

 

Sfortunatamente, pochissimi dei loro interessanti testi sono stati tradotti (in qualsivoglia lingua). C’è una canzone in “ebraico eloquente”, una su un orsacchiotto che rappresenta metaforicamente il potere militare egiziano, un brano su degli alieni che descrivono il pianeta Terra, un altro in cui Hazem si cimenta in eulogie per Husayn, richiami alla preghiera musulmana e litanie cristiane, lodando la ricchezza, anche religiosa, egiziana. Siamo contenti di scegliere per voi una canzone “doppia”, che ben rappresenta questa continuità che sta a cuore al gruppo.

 

Yuhkā anna (lett. “si dice”, oppure “dicono” impersonale) è infatti l’unica canzone che figura su entrambi i cd del loro album, posta all’inizio del primo e alla fine del secondo, in due versioni differenti. Il poeta e amico Amin Haddad l’aveva infatti scritta originariamente nel 2003, a seguito della sanguinosa invasione e occupazione americana dell’Iraq e del silenzio arabo su tale questione e quella palestinese. Cantata per la prima volta nel 2007, fu poi profondamente riscritta nel 2011, dopo gli eventi di Piazza Tahrir (esistono inoltre molteplici versioni live con differenze nel testo).

 

Vi lasciamo con le parole di Hazem: «L’arte onesta cambia le persone. Senza doverle dare alcuna etichetta […] Esegui solo arte onesta e non solo cambierai le persone, ma tu stesso cambierai».

 

Buon tarab!

Canzone: Youhkā anna (versione 1 e 2)

Artista: Eskenderella

Data di uscita: 2007-2014

Nazionalità: Egitto

 

 

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

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Dicono (versione 1, prima della rivoluzione)

 

Si dice…

Si dice che hanno derubato i nostri Paesi, quei figli di buona madre

Si dice che… com’è, come non è…[3]

Gli americani hanno derubato i nostri Paesi

Si dice che… di generazione in generazione

Israele ha rubato la Palestina

Invaderanno Baghdad il pomeriggio

E al tramonto invaderanno l’Egitto

 

Si dice…

Si dice che hanno derubato i nostri Paesi, quei figli di buona donna

Si dice che… com’è, come non è…

Gli americani hanno derubato i nostri Paesi

Si dice… che di generazione in generazione

Israele ha rubato la Palestina

Si dice, o nipotini miei!

che gli americani hanno invaso Baghdad

Si dice, o santo cielo!

Che gli americani stanno compiendo uno scempio[4]

Invaderanno Baghdad il pomeriggio

E al tramonto invaderanno l’Egitto

 

Si dice che è stato convocato un vertice

Incapace di dire anche solo una parola!

Si dice che l’ingiustizia si è diffusa ovunque

E le notizie sono intrise di sangue

Si dice che… che noi siamo rimasti in silenzio.

 

Sconfitti così, dal nostro fallimento[5]

Come se non fossimo mai esistiti

Colpiti e umiliati

Profondamente umiliati

 

Pietà del nostro pianto!

Pietà del nostro sonno!

Le tenebre hanno oscurato le nostre lanterne!

Una vergogna inimmaginata

Si dice… e non si dice!

 

Si dice…

Si dice che hanno derubato i nostri Paesi, quei figli di buona madre

Si dice che… com’è, come non è…

Gli americani hanno derubato i nostri Paesi

Si dice… che di generazione in generazione

Israele ha rubato la Palestina

Si dice, o nipotini miei!

che gli americani hanno invaso Baghdad

Si dice, o santo cielo!

che gli americani stanno compiendo uno scempio

Invaderanno Baghdad il pomeriggio

E al tramonto invaderanno l’Egitto

 

Si dice che è stato convocato un vertice

Incapace di dire anche solo una parola!

Si dice che l’ingiustizia si è diffusa ovunque

E le notizie sono intrise di sangue

Si dice che… che noi siamo rimasti in silenzio.

 

 

 

Si dice (versione 2, dopo la rivoluzione)

 

Si dice…

Si dice che hanno derubato i nostri Paesi, quei figli di buona madre

Si dice che… com’è, come non è…

gli americani hanno rubato i nostri Paesi

Si dice… che di generazione in generazione

Israele ha rubato la Palestina

Invaderanno Baghdad il pomeriggio

E al tramonto invaderanno l’Egitto

 

Si dice…

Si dice che hanno rubato i nostri Paesi, quei figli di buona madre

Si dice che… com’è, come non è…

Gli americani hanno rubato i nostri Paesi

Si dice che… di generazione in generazione

Israele ha rubato la Palestina

Si dice, o nipotini miei!

che gli americani hanno invaso Baghdad

Si dice, o santo cielo!

che gli americani stanno compiendo uno scempio

Invaderanno Baghdad il pomeriggio

E al tramonto invaderanno l’Egitto

 

Si dice che è stato convocato un vertice

Incapace di dire anche solo una parola!

Si dice che l’ingiustizia si è diffusa ovunque

E le notizie sono intrise di sangue

Si dice che… che noi siamo rimasti in silenzio.

 

Dormi, caro mio, e lascia questo mondo

(Dormi…)

La notte è calata sul nostro cammino

(Dormi…)

che il lupo nero[6] mette a tacere le nostre aspirazioni[7]

Con melodie di conflitti illusori[8]

La luce si è spenta dentro le case

E i (nostri) sogni svaniscono nei suoi occhi[9]

E, a poco a poco, la nostra storiella è finita[10]

Il lupo dorme, sazio e contento…

Ma il nostro silenzio non era silenzio!

Perché nessuna nazione che è in vita può morire!

 

Si dice…

Si dice che la nostra gente ha preso in mano la luce[11]

Si dice che... com’è come non è…

Quello che la nostra gente voleva, si è realizzato!

Si dice…che generazione dopo generazione

L’Egitto è rinato a (Piazza) Tahrir

 

Si dice, figli miei!

Che il sole della rivoluzione proviene dai martiri

Si dice, o libertà!

che la nostra rivoluzione è una rivoluzione araba!

Alba, mattino, mezzodì, pomeriggio

Tunisia, Libia, Siria ed Egitto

Si dice che si terrà un vertice

Carico di giustizia ed entusiasmo[12]

Si dice che la nostra alba sorgerà

La strada fiorirà

Si dice che c’è luce davanti a noi.

 

يحكى أنّ (النسخة الأولى، قبل الثورة)

 

يحكى أنّ

أنّ إيه

سرقوا بلادنا ولاد الإيه

يحكى أنّ كان ياما كان

سرقوا بلادنا الأمريكان

يحكى أنّ جيل ورا جيل

سرقوا فلسطين إسرائيل

رح يدخلوا بغداد العصر

والمغرب راح يدخلوا مصر

 

يحكى أنّ

أنّ إيه

سرقوا بلادنا ولاد الإيه

يحكى أنّ كان ياما كان

سرقوا بلادنا الأمريكان

يحكى أنّ جيل ورا جيل

سرقوا فلسطين إسرائيل

يحكى أنّ يا أحفاد

أمريكا دخلت بغداد

يحكى أنّ يا حلاوة

أمريكا بتضرب بغباوة

رح يدخلوا بغداد العصر

والمغرب راح يدخلوا مصر

 

يحكى أنّ انعقدت قمّة

مبتعرفش تقول ولا كلمة

يحكى أنّ الظلم استشرى

والدم مطرطش في النشرة

يحكى أنّ

إنّ إحنا سكتنا

 

واتنيلتنا كده بخيبتنا

وكإننا ما كأنّاش كنّا

والذل بيوصل لدقوننا

والذل بيوصل لعينينا

 

والله رحمة إنّ إحنا بكينا

والله رحمة إنّ إحنا نعسنا

والضلمة غطت فوانيسنا

بس خسارة محلمناش

يحكى أنّ وما يحكاش

 

يحكى أنّ

أنّ إيه

سرقوا بلادنا ولاد الإيه

يحكى أنّ كان ياما كان

سرقوا بلادنا الأمريكان

يحكى أنّ جيل ورا جيل

سرقوا فلسطين إسرائيل

يحكى أنّ يا أحفاد

أمريكا دخلت بغداد

يحكى أنّ يا حلاوة

أمريكا بتضرب بغباوة

رح يدخلوا بغداد العصر

والمغرب رح يدخلوا مصر

 

يحكى أنّ انعقدت قمّة

مبتعرفش تقول ولا كلمة

يحكى أنّ الظلم استشرى

والدم مطرطش في النشرة

يحكى أنّ إن إحنا سكتنا

 

يحكى أنّ (النسخة الثانية، بعد الثورة)

 

يحكى أنّ

أنّ إيه

سرقوا بلادنا ولاد الإيه

يحكى أنّ كان ياما كان

سرقوا بلادنا الأمريكان

يحكى أنّ جيل ورا جيل

سرقوا فلسطين إسرائيل

رح يدخلوا بغداد العصر

والمغرب رح يدخلوا مصر

 

يحكى أنّ

أنّ إيه

سرقوا بلادنا ولاد الإيه

يحكى أنّ كان ياما كان

سرقوا بلادنا الأمريكان

يحكى أنّ جيل ورا جيل

سرقوا فلسطين إسرائيل

يحكى أنّ يا أحفاد

أمريكا دخلت بغداد

يحكى أنّ يا حلاوة

أمريكا بتضرب بغباوة

رح يدخلوا بغداد العصر

والمغرب رح يدخلوا مصر

 

يحكى أنّ انعقدت قمة

مبتعرفش تقول ولا كلمة

يحكى أنّ الظلم استشرى

والدم مطرطش في النشرة

يحكى أنّ

إنّ إحنا سكتنا

 

نام يا حبيبي وسيب دنيتنا

(نام هووووه)

الليل خيّم على سكتنا

(نام هووووه)

والغولة تنيّم همتنا

على أنغام أوهام الفتنة

والنور طفّى في قلب بيوت

الأحلام في عيونها تفوت

توتة توتة خلصت حكايتنا

والديب نام شبعان مبسوط

بس سكوتنا ما كانش سكوت

ومافيش أمّة تعيش وتموت

 

يحكى أنّ

أنّ إيه 

شعبنا مسك النور بإيديه

يحكى أنّ كان ياما كان

اللي أرداه شعبنا كان

يحكى أنّ جيل ورا جيل

مصر اتولدت في التحرير

يحكى أنّ يا أبناء

شمس الثورة من الشهداء

يحكى أنّ يا حريّة

ثورتنا ثورة عربيّة

فجر وصبح وضهر وعصر

تونس ليبيا سوريا مصر

يحكى أن ستعقد قمّة

فيها العدل وفيها الهمّة

يحكى أنّ فجرنا طالع

والورد بيطرح في الشارع

يحكى أنّ النور قدامنا

 

يحكى أنّ

أنّ إيه

شعبنا مسك النور بإيديه

يحكى أنّ كان ياما كان

اللي أرداه شعبنا كان

يحكى أنّ جيل ورا جيل

مصر اتولدت في التحرير

يحكى أنّ يا أبناء

شمس الثورة من الشهداء

يحكى أنّ يا حريّة

ثورتنا ثورة عربيّة

فجر وصبح وضهر وعصر

تونس ليبيا سوريا مصر

 


[1] La band ha fatto inoltre parte del primo convoglio culturale a Gaza dopo l'apertura del valico di Rafah nel maggio 2012 come parte del Festival della letteratura palestinese. Segnaliamo inoltre la collaborazione con il gruppo palestinese Yalalan Group, da cui è nato un breve documentario.
[2] Segnaliamo che la loro celebre safha gadida (“un nuovo capitolo”) è stata poi riproposta in un mash-up nell’album Songs From A Stolen Spring (“Canzoni da una primavera rubata”) che include collaborazioni tra artisti anglofoni e arabofoni sul tema “primavere arabe”.
[3] Kāna yā mā kāna (fī qadīm al-zamān), che corrisponde al nostro “c’era una volta (in un tempo lontano)”. Si noti inoltre che la canzone è praticamente tutta in rima.
[4] Lett. “stanno colpendo con stoltezza”, dove però il verbo ghabā indica anche un “agire con scempiaggine”.
[5] Khayba, parola chiave per comprendere una certa “infelicità araba”, traducibile con “delusione”, “frustrazione”, “fallimento”, “insuccesso”, dal verbo khāba, “naufragare”, “andare a vuoto”. Il termine tradotto con “sconfitti” è tnayyilna, che significa letteralmente “indossare indaco (nīlī)”, un colore freddo associato al lutto o a una più generale situazione negativa.
[6] Il ghūl è il corrispettivo del nostro “lupo nero” o “orco”. Può anche essere tradotto con un più generale “mostro pauroso” o “spirito maligno”, dal verbo ghāla, “afferrare di sorpresa”, “ghermire”, “catturare”, “assassinare”. 
[7] Himma, parola araba polisemica, che indica “aspirazione”, “anelito”, “ambizione”, “entusiasmo”, “risolutezza”, “proposito”, “ardore”, “fierezza”.
[8] Oppure: di cosiddetti “conflitti”.
[9] Il ghūl, dopo aver cantato questa ninnananna, “ruba” i sogni, dove “suoi” occhi si riferisce agli occhi del ghūl.
[10] Hikaya, qui tradotto con “storiella”, dal medesimo verbo di yuhkā anna, “si dice”. Tūta tūta è invece parte di una formula fissa (intraducibile letteralmente) utilizzata per concludere le fiabe: tūta tūta khallasat al-hadūtha, simile al nostro: «Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia».
[11] Shab, il “popolo” o la “gente”.
[12] Torna qui il termine himma, visto poco sopra.

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